Le renne salveranno l’Artico dal riscaldamento globale?

19 marzo 2020 - 12:15

Le renne avranno anche il merito di trainare la slitta di Babbo Natale nell’immaginario occidentale, ma potrebbero avere un altro merito forse più importante: contribuire a ridurre il riscaldamento globale.

Si tratterebbe di una rivincita, perchè mai come negli ultimi anni questa specie sarebbe in pericolo, secondo alcuni scienziati, proprio a causa dei cambiamenti climatici.

La ricerca di cui parliamo è stata pubblicata su Environmental Research Letters  e sostiene che la densità delle renne in un dato territorio potrebbe indirettamente agire sulla temperatura riducendo gli effetti del global warming.

Lo studio, condotto da  un team dell’università svedese di Umea, ha utilizzato strumenti propri di differenti campi della scienza: dalla microbiologia alla botanica, dalla meteorologia alla chimica, dall’etologia alla matematica.

Il concetto chiave però viene dalla fisica ed è quello di albedo.

L’albedo è il rapporto tra la luce che irradia un corpo e quella che viene riflessa dalla superficie irradiata.

Per capirci, l’albedo è un coefficiente che indica quanta luce può essere riflessa o assorbita dalla superficie di un corpo.

Così una superficie perfettamente bianca riflette tutta la luce e si dice che ha albedo 1, una perfettamente nera si dice che che ha albedo zero, perchè non riflette per nulla.

Essendo la luce nient’altro che energia si può ben capire come l’albedo posa influire sulla temperatura atmosferica, su grandi superfici.

Partendo da questa constatazione, il team guidato dalla Drssa Mariska te Beest ha pianificato un’ estate di studio in Norvegia, a Reisadalen nel distretto di Troms, per verificare se le abitudini alimentari delle renne potessero modificare l’ambiente al punto da modificare l’albedo di superficie e influire quindi in qualche misura sul clima.

Gli studiosi hanno monitorato 4 differenti aree popolate dalle renne caratterizzate da differenti densità di popolamento e quindi con maggior o minore consumo di vegetazione.

I risultati sono andati oltre le aspettative. “Abbiamo scoperto” – ha dichiarato la D.ssa Beest – “che un’alta densità di renne comporta notevoli cambiamenti nella vegetazione della tundra che comportano a loro volta un aumento sostanziale dell’albedo per tutta la stagione. I nostri modelli mostrano che a questo aumento dell’albedo corrisponde una diminuzione delle radiazioni atmosferiche e di conseguenza dei flussi di calore“.

Per farla breve, tra le aree monitorate dagli studiosi quelle più densamente popolate da renne mostrano assorbire meno radiazioni, con conseguente potenziale riduzione dei problemi legati all’aumento delle temperature.

E l’aumento delle temperature secondo molti scienziati avrebbe già messo a repentaglio proprio le renne, in particolare quelle dell’Artico siberiano.

Per capire meglio dobbiamo spostarci nella penisola Yamal – Nenetsk, nella Siberia settentrionale.

 

Siberia settentrionale, Russia: il risveglio dell’antrace

Nella Siberia settentrionale ancora oggi le popolazioni Nenets vivono dell’allevamento di renne. Buona parte dell’economia della regione dello Yamal – Nenetsk si fonda su questo animale.

Negli ultimi anni l’incremento della temperatura attribuito al riscaldamento globale ha messo in pericolo le renne e l’economia dei Nenets.

La scorsa estate la temperatura nell’area ha raggiunto il livello record di +35 gradi.

Questo innalzamento ha provocato due conseguenze nefaste.

La prima è stata lo scioglimento di parte del permafrost siberiano.

Questo terreno perennemente ghiacciato ha conservato, come una sorta di congelatore naturale, molti microorganismi spesso provenienti da ere geologiche antichissime e oggetto di interessanti studi paleologici e paleobotanici.

Con le alte temperature lo scioglimento di permafrost ha provocato però la anche liberazione di microorganismi nocivi, primo fra tutti il carbonchio, il batterio dell’antrace.

L’infezione è ben nota nell’Artico siberiano, tanto che in russo non viene chiamata antrace ma ulcera siberiana.

Si trasmette agli esseri umani attraverso cibo contaminato, inalando le spore o attraverso contatti con animali infetti e e proprio le renne, brucando la vegetazione della tundra, possono infettarsi facilmente diventando il primo vettore del bacillo e favorendone la trasmissione all’uomo.

La scorsa estate la morte di un bambino, il ricovero di un centinaio di persone e l’infezione accertata di centinaia di renne ha fatto scattare l’allarme.

Le autorità russe per scongiurare il diffondersi dell’epidemia hanno così deciso l’abbattimento di ben 250000 esemplari e hanno inviato 200 soldati e specialisti in armi batteriologiche, prevedendo contestualmente la vaccinazione su larga scala degli animali non infetti.

La seconda conseguenza temibile del riscaldamento per le renne è indicata nella maggior quantità di piogge estive e autunnali con conseguente allagamento di vaste zone dell’artico siberiano.

Le aree allagate in estate e autunno hanno favorito la creazione, con l’abbassarsi delle temperature in inverno, di ghiaccio di spessore molto maggiore del normale, tale da rendere difficile se non impossibile per le renne di rompere la superficie con gli zoccoli per nutrirsi degli arbusti sottostanti.

Secondo il Prof. Forbes dell’Università di Rovaniemi in Findlandia questi cambiamenti avrebbero provocato, nel 2006 e nel 2013, la morte  di 20 mila e 80 mila esemplari di renne.

La speranza dallo studio in Norvegia

Lo studio del team svedese guidato dalla D.ssa Mariska te Beest  ci racconta invece una storia diversa, di speranza.

In questa storia le renne, vittime del riscaldamento globale, diventano esse stesse paladini del pianeta, della loro stessa sopravvivenza e di quella delle popolazioni che vivono con loro.

Certamente rimangono molte questioni aperte.

Fino a che densità si può popolare un’area con le renne senza che questa densità non divenga un problema sanitario, come sostengono alcuni veterinari russi che si sono occupati del problema nord siberiano?

E poi, quale sarebbe l’impatto di questa “controffensiva delle renne”? Avrebbe davvero significato e se sì su quale scala?

A quest’ultima domanda risponde ancora la D.ssa Beest: “Le nostre ricerche mostrano che le renne hanno un potenziale effetto di raffreddamento sul clima attraverso il cambiamento dell’albedo estivo. Sebbene le differenze rilevate potrebbero apparire piccole su scala planetaria, sono tuttavia grandi abbastanza da avere conseguenze su scala regionale“.

Insomma, almeno per quanto riguarda l’Artico, i giochi sono aperti: le renne potrebbero davvero fare un inatteso regalo di natale al pianeta.

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