Robiola di Roccaverano Dop

18 marzo 2020 - 10:25

L’attuale disciplinare, che ha istituito la Dop, permette infatti una
percentuale di latte vaccino pari all’85% e, cosa ancora più
sorprendente, la percentuale residua può essere composta da latte
caprino, oppure a scelta, ovino. I produttori storici non si sono
arresi a questa normativa e, alcuni di loro continuano a fare robiole
come si faceva duecento anni fa. Slow food ha inserito questa
formaggetta tra i suoi presidi e – pare quasi superfluo aggiungerlo –
valorizza e promuove esclusivamente la Robiola di Roccaverano classica,
quella cioè totalmente composta da latte crudo di capra.
Agli appassionati consigliamo comunque di tenere alto il livello d’attenzione sull’argomento.

Ma andiamo a  ripercorrere la storia di questo  formaggio:
Ha origini antichissime, il caprino di Roccaverano, l’unico caprino
storico italiano, il solo degno di confrontarsi con i chèvres
d’oltralpe che come attestato da testimonianze che risalgono al periodo
celtico-ligure, in seguito raccontato da Plinio e Pantaleone, che ne
apprezzarono le qualità e ne illustrarono il ciclo produttivo. Il suo
nome richiama sia il latino “robium”, con riferimento al colore
rossiccio della parte esterna della pasta, sia il nome del paese di
Roccaverano nell’astigiano da dove si è originato il prodotto.
Attualmente, la Robiola di Roccaverano è l’unico formaggio Dop italiano
che può essere prodotto con tre tipi diversi di latte: vaccino, caprino
e/o ovino, anche se, come detto, una volta era prodotto solo con latte
di pecora. Il latte proviene da due mungiture giornaliere, ed è
leggermente scremato per affioramento. La Robiola di Roccaverano è un
formaggio grasso a pasta fresca, la maturazione è breve e può durare al
massimo 20 giorni a seconda della microflora lattea. L’alimentazione
base degli animali deve essere costituita da foraggi verdi o
conservati. Si produce in ogni periodo dell’anno.

Materia prima
Latte intero vaccino e ovino, oppure vaccino e caprino, con un massimo
dell’85% di latte vaccino. Eccelle quello da razza piemontese.
Alimentazione: foraggio fresco o fieno della zona di produzione.
Tecnologia di lavorazione
Si porta il latte, previa pastorizzazione o crudo, a circa 18°C,
aggiungendo caglio naturale liquido più fermenti lattici
(nell’eventualità il latte fosse pastorizzato). Coagula in circa 24
ore. Successivamente, la massa viene sistemata negli appositi stampi
dove rimane per una giornata. La salatura si effettua solo talvolta,
tramite aspersione di sale fino.

Stagionatura
Facoltativa, massimo 20 giorni.
Caratteristiche
Altezza: cm 3-4; diametro: cm 12-16; peso: Kg 0,2; forma: cilindrica;
crosta: assente; pasta: tenera, friabile, compatta, bianca o colore
paglierino che tende al giallo se il prodotto viene stagionato; sapore:
intenso e piccante, se stagionato.

Area di produzione
Comuni di Bubbio, Cessole, Loazzolo, Mombaldone, Olmo Gentile, San
Giorgio Scarampi, Roccaverano, Monastero Bormida, Serole, Vesime
(provincia di Asti), Ponzone, Montechiaro d’Acqui, Castelletto d’Erro,
Denice, Malvicino, Merana, Pareto, Ponti, Spigno, Cartosio (provincia
di Alessandria).
Calendario di produzione
Tutto l’anno.
Note
Formaggio già noto nel Medioevo, è riconosciuto Doc dal 14 marzo 1979 e Dop dal 2 luglio 1996.

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