Snowshoeing.
Se nelle giornate estive di tempo stabile e temperature elevate si può anche partire per una gita in versione “fast&light”, con solo una maglietta indosso e un guscio leggero di sicurezza nello zaino, già a partire dai primi giorni di settembre l’esperienza e il buonsenso ci insegnano che è tempo di portarsi appresso uno strato termico un po’ più corposo.
I “freddi numeri” ci fanno capire subito di cosa stiamo parlando. Quando il termometro scende sotto i 20°, l’effetto “wind chill”, cioè la differenza fra la temperatura effettiva dell’aria e quella percepita dal nostro corpo in presenza di vento, comincia, infatti, a far sentire i suoi effetti fastidiosi.
Con una temperatura esterna di 15 gradi e con una semplice brezza vivace (fra i 20 e i 28 Km/h), la temperatura percepita può scendere sotto ai 10°, quanto basta per sentire il bisogno di “mettersi addosso un giacchetto”. A 5° ambiente e con lo stesso vento, la temperatura percepita comincia già ad andare sotto lo zero…
Perché accade ciò? Cosa si intende esattamente con il termine “temperatura percepita”, insomma: cosa determina il wind chill?
È importante prima di tutto chiarire che la temperatura percepita non esiste! Almeno, non esiste come realtà fisica. Non è che, dal punto di vista fisico, c’è una temperatura dell’aria di 5° e una temperatura sulla pelle di -1 o -2°.
Per la fisica, quello che c’è è, ad esempio, la temperatura dell’aria di 5°, una velocità del vento fra i 20 e i 28 km/h, una certa umidità (nella tabella di calcolo del wind chill cui stiamo facendo riferimento, l’umidità è un parametro standard fissato per convenzione al 70%) e un corpo umano che, esposto a queste condizioni, disperde calore nell’ambiente “come se” si trovasse ad una temperatura di -1 o -2 gradi in assenza di vento.
Perché questo accade? È sempre la fisica a dirci che, quando due corpi con temperatura differente vengono in contatto, fra essi si instaura uno scambio di calore. In pratica il corpo più caldo si raffredda e quello più freddo si riscalda, tendendo a raggiungere uno stato di equilibrio nel quale i due hanno identica temperatura in tutte le loro parti.
La stessa dinamica si instaura fra il nostro corpo e l’aria che ci circonda. Quando ci troviamo nell’ambiente outdoor, in sostanza, si avvia un flusso costante di calore che dal nostro corpo si disperde verso l’esterno: il metabolismo lavora in continuazione per mantenere la temperatura corporea attorno ai 37 gradi, ma il calore prodotto si disperde nell’atmosfera.
Più bassa è la temperatura esterna, più veloce è la dispersione del calore (quindi maggiore deve essere il lavoro del metabolismo per produrne di nuovo al fine di mantenere costante la temperatura all’interno del corpo).
La dispersione però non è istantanea: il calore del corpo passa da prima alle molecole d’aria che lo circondano più da vicino e poi, via via, a quelle più lontane.
In questo modo, attorno a noi si forma un sottile strato di aria più calda, che funge da “cusinetto isolante”, rallentando i tempi della dispersione.
Quando si è in presenza di vento queste molecole d’aria più calda vengono spazzate via e sostituite da altre con temperatura più bassa.
Maggiore è la velocità del vento, più incisiva è questa azione e di conseguenza più rapido lo scambio termico (l’abbigliamento che indossiamo ci tiene caldo proprio perché ostacola questa azione da parte del vento).
A parità di temperatura, dunque, il calore del corpo si disperde tanto più velocemente quanto maggiore è la velocità vento.
Il rapporto di proporzionalità fra velocità del vento e dispersione del calore è stato negli anni definito attraverso diversi algoritmi, sulla base dei quali vengono elaborate le tabelle del wind chill (diciamo che il principio è sempre quello, ma le tabelle si differenziano leggermente nei valori attribuiti).
I valori che le tabelle riportano (quindi le temperature percepite, o meglio “apparent temperature”, come vengono definite in lingua inglese), non sono pertanto delle “temperature” nel senso più proprio della parla: infatti, non sono contraddistinti dal simbolo dei gradi Celsius o Farenheit.
Si tratta piuttosto di indicazioni di come avviene la dispersione del calore. Ad esempio un valore wind chill di -2 ci dice che il calore del corpo si disperde “come se” ci fossero -2°.
Questo “come se”, però, rappresenta per l’escursionista un’indicazione importantissima, fondamentale per il comfort e la sicurezza durante le gite.
Con una previsione di wind chill a -2 sappiamo, infatti, che, anche se la temperatura dell’aria è ben più alta, ci dovremo equipaggiare per affrontare il freddo come se ci fossero -2°, che ci affaticheremo come se ci fossero -2°, che il nostro metabolismo dovrà consumare energie come se ci fossero -2°, ecc.
L’Arpa Piemonte ha realizzato un’interessante scheda in PDF con indicazioni e consigli sull’effetto wind chill.
Potete scaricarlo cliccando qui.