La percezione del paesaggio, concetto astratto o realtÃ
In uno dei tanti convegni frequentati nell’ultimo periodo, ho molto apprezzato la presa di posizione netta di un Assessore provinciale che, parlando dello svilupposostenibile della montagna laziale, condannava alcuni amministratori del suo territorio completamente proni davanti alla proposta di occupare 14 ettari di montagna per installare una centrale fotovoltaica.
Abbiamo già affrontato, in modo laico, la problematica relativa all’inserimento delle sacrosante fonti rinnovabili nel paesaggio italiano e continueremo a farlo con lo stesso spirito, però bisogna ammettere che in alcuni casi si sta un po’ esagerando.
Il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio così definisce lo stesso: per paesaggio si intende una parte omogenea di territorio i cui caratteri derivano dalla natura, dalla storia umana o dalle reciproche interrelazioni.
La Convenzione Europea del Paesaggio, che quest’anno compie dieci anni, recita all’incirca la stessa cosa, e cioè che i caratteri fondanti dei nostri territori sono un mix di storia umana e naturale e l’accento sul rapporto storico dell’uomo con la natura non è trascurabile.
In sostanza è un dato oggettivo che il paesaggio sia in continua trasformazione ma fino a qualche decennio fa erano metamorfosi dai tempi lunghi in cui le comunità locali non venivano snaturate ma avevano il tempo di cambiare la loro percezione.
Mi piace molto la riflessione dell’Agronoma Elisabetta Norci che in un breve articolo dal titolo “Paesaggio e cultura rurale” evidenzia come oggi lo studio del paesaggio e quindi anche delle sue trasformazioni o ipotesi di utilizzo, viene realizzato con i mezzi moderni della tecnologia (simulazione in 3D, macchine digitali, etc.) e invece andiamo poco a “camminare” sui luoghi oggetto di studio; quindi la percezione da parte degli abitanti enfatizzata dalla Convenzione Europea del Paesaggio rischia di non essere assolutamente considerata.
Tornando quindi all’inserimento di impianti che rischiano di avere una durata non superiore ai 20 anni, anche considerando che stiamo parlando di un settore che dovrebbe aiutarci ad andare verso una società fossil-free, è giusto porsi il problema dell’eventuale impatto ambientale e anche socio-economico.
Sarebbe importante che nelle aree montane o collinari la priorità venga data ad impianti di piccola taglia da mettere in rete, Rifkin insegna, invece di togliere spazio ai terreni cosiddetti incolti. Dobbiamo forse porci il problema, seriamente, su quale deve essere, in un contesto di crisi economica dall’onda lunga, il cammino da intraprendere per far rivivere le “aree marginali” dentro un contesto di modernità che però sia altro, anche in termini valoriali, rispetto alla cultura urbana.
Qualcuno dice che i paesaggi montani sono sempre più spesso sede di infrastrutture che sono al servizio delle grandi aree urbane ed è come se questi territori fossero solo attraversati, sorvolati, senza quindi che il mondo dell’impresa abbia quella responsabilità sociale di cui si parlava in modo chiaro nel Libro Verde della Comunità Europea redatto nel 2001.
Agendo in modo socialmente responsabile, l’impresa tiene conto del contributo dato dalla propria attività alla qualità dell’ambiente e al sociale, preoccupandosi dei rapporti con i propri collaboratori, clienti, fornitori, partner e con la comunità e le istituzioni.
La responsabilità sociale d’impresa, dunque, va al di là del solo rispetto dei requisiti legali e si riferisce a pratiche e comportamenti che un’impresa adotta su base del tutto volontaria, anche nella convinzione di ottenere dei risultati che possano arrecare benefici e vantaggi alle comunità locali.
Allora in questa logica la difesa della qualità del paesaggio può essere la strada maestra per fare in modo che le attività economiche debbano coinvolgere le realtà locali ma soprattutto debbano inserirsi dentro misuratori dello sviluppo diversi dal PIL, cosa che per fortuna in parte sta avvenendo anche da parte di economisti classici.
A settembre come Movimento Camminare per Conoscere lanceremo con forza una campagna in difesa del paesaggio, e forse chissà che dalla crisi economica non si esca con l’esaltazione della bellezza.