Pause di piacere: prima di tutto i primi
I liguri appresero dal mondo islamico, ricco di spezie, l’uso di pestare il basilico per ottenere una “salsa” speciale, il pesto.
Non solo: alla redditiziaattività mercantile della Superba, che portò i genovesi a contatto con il mondo orientale, si deve anche l’importazione e la diffusione nel Nord Italia della pasta secca a lunga conservazione; un’invenzione degli arabi che i liguri appresero al meglio, talvolta migliorandola e arricchendola di varianti, ritocchi, peculiarità diverse da località a località.
Ad esempio, a Levante, dinanzi al Golfo del Tigullio, le trofiette rappresentano una vera delizia. Il nome deriva da struffugia (strofinare) e descrive il movimento del palmo della mano per ottenerne la caratteristica forma a truciolo. Sono e restano l’abbinamento ideale per il pesto.
Una variante è rappresentata dalle troffie “bastarde” fatte con farina di castagne (tipiche della Valle Scrivia), anche queste dal disegno particolare, simile ad una sorta di piccolo cannolo. Nell’ambito della forma e dell’originalità il primato spetta però ai corzetti, realizzati in due versioni: quelli valpolcevereschi hanno la forma a piccolo 8, mentre quelli del Levante sono dischi di pasta che presentano un disegno in rilievo (che peraltro ha il vantaggio di trattenere il sugo del condimento) impresso dalla superficie di uno stampo di legno intagliato.
Se invece volete pasteggiare passeggiando, la focaccia non presenta rivali per versatilità, comodità, bontà. Diffusa in tutta la Riviera fin dal Medioevo, la focaccia si ottiene dall’impasto di farina, acqua e lievito di birra, componenti semplici per una delle specialità più note al mondo. Alla ricetta base si possono abbinare altri ingredienti, ottenendo così la focaccia con la cipolla, con la salvia, con le olive, addirittura con acciughe e sardine (stese sulla pasta insieme a olive nere, basilico, pomodori e origano), come palesa la sardenaria, tipica di Sanremo.
Spostiamoci ora a Recco: qui la focaccia al formaggio, abbinando versatilità e delizia, può essere consumata a tavola o come pasto frugale, a passeggio come al ristorante, a cena come a colazione. La storia però insegna che la sua progenitrice era nata soprattutto come cibo di emergenza, quando gli anziani, le donne e i bambini si rifugiavano sulle alture per sottrarsi alle razzie dei saraceni.
Nei giorni che restava nascosta dai pirati musulmani, la popolazione si garantiva il pasto grazie alla farina, all’olio e alle formaggette trasportate con se durante la fuga nei boschi.
Prestando attenzione a non farsi individuare dal mare, accendevano il fuoco per arroventare una lastra di ardesia dove veniva appoggiato uno strato di formaggio sovrapposto a due sfoglie di pasta sottile. Naturalmente nel tempo i panettieri hanno affinato il metodo di preparazione, ma gli ingredienti sono rimasti invariati (farina bianca di grano duro, olio di frantoio e sale), rispecchiando in modo speculare quella grande semplicità che è prerogativa della cucina ligure.
D’inverno un’altra vera leccornia è rappresentata dalla farinata, soprattutto nel capoluogo ligure e nella vicina Savona, seppure questa si distingua dalla farinata del Genovesato perché oltre che con i ceci, è fatta pure con farina bianca.
La preparazione resta comunque la stessa: all’impasto di ceci o grano, si aggiunge un po’ d’olio, e dopo circa quattro ore si cuoce nel forno a legna dentro a larghi testi.
Abbiamo così citato l’olio extravergine di oliva, che qui in Riviera ha una storia antica quanto quella dell’uomo che da sempre, con fatica e cocciutaggine, si spacca la schiena per dissodare e addomesticare una terra, quella ligure, tanto avara quanto generosa.