Ghiacciai: camminare sui sovrani della montagna

24 gennaio 2022 - 3:43

Avete mai visto l’alba camminando sul ghiacciaio di una grande montagna? Ricordo la prima volta che mi è capitato. L’immagine di quegli istanti mi è rimasta incisa dentro con la forza di un rito iniziatico. L’iniziazione alla montagna, che tuttora porto con me.

Ore cinque, suona la sveglia. La camerata è ancora buia eppure qualcuno è già in piedi e armeggia svelto con gli zaini. “Sarà sicuro un polacco, o peggio ancora unceco!” sento dire dai più assonnati.

Quelli se non conquistano la montagna come un battaglione al fronte non sono contenti!”.

Mi alzo e infreddolito inizio a prepararmi. I miei compagni sono già tutti pronti: svelto allora! Scendiamo a fare colazione. Una bella tazza di tè con due fette di pane imburrate e spalmate con la marmellata.

Usciamo dal rifugio, il freddo è pungente e il buio ci avvolge.

Accendo la lampada frontale e mi faccio luce come posso. Sento subito il rumore della neve sotto gli scarponi, allora scelgo un punto riparato e calzo con attenzione i miei ramponi nuovi. “Pronto?”, mi chiedono i miei due compagni di cordata. “Via!” rispondo deciso e insieme agitato.

Così ci leghiamo e iniziamo l’ascensione. Davanti il più esperto di noi, dietro il secondo e in mezzo io, il novizio da tenere sott’occhio.

Cerco di camminare seguendo il ritmo dei loro passi; a capo chino illumino la porzione di neve tra me e i talloni del capo cordata.

È ancora buio pesto e dall’ombra esce solo il rumore della neve ghiacciata rotta dal nostro lento incedere.

Passa così circa mezz’ora, nel freddo più intenso. Poi, lentamente, ecco che il buio attorno a noi inizia a schiarirsi e ad accogliere la prima luce fioca.

È l’alba! Non vediamo ancora spuntare il sole all’orizzonte, eppure una tenue e vaporosa luce cilestrina si cosparge attorno a noi dando profondità al panorama che ci circonda. Ci troviamo dentro un mare di neve e ghiaccio che sembra non avere fine.

Alla nostra destra, non molto lontano, un grande seracco di un azzurro vivo pende minaccioso sopra un imponente contrafforte di roccia e ghiaccio. Sulla sinistra, un crepaccio della larghezza di circa due metri mette a nudo il cuore pulsante e cupo del ghiacciaio.

Davanti a noi, a venti minuti di cammino, appare un erto pendio copiosamente innevato che le nostre gambe, con pazienza, dovranno scalare e lasciarsi infine alle spalle.

Solo lassù in cima saremo nel sole più pieno, abbagliati dal bianco accecante della neve: fino a quel momento la nostra marcia sarà immersa nella fredda luce azzurra ai primi bagliori del giorno.

 

La fusione e il ritiro

Un paesaggio come quello appena descritto rischieremo di non vederlo più se il trend climatico degli ultimi anni dovesse continuare.

La sopravvivenza e la crescita di un ghiacciaio sono legati al susseguirsi di inverni nevosi ed estati fresche, dove il manto accumulato nella stagione fredda serve a proteggere, nella stagione calda, lo strato di neve e ghiaccio esistente e a preservarlo dallo scioglimento.

Viceversa, se a inverni scarsi seguono estati torride, in cui lo zero termico raggiunge o addirittura supera i 4000 metri di quota (come è successo negli ultimi tre anni), non solo si scioglierà la poca neve caduta nella stagione fredda appena trascorsa, ma fonderà anche quella accumulata negli anni precedenti e, con essa, il ghiaccio stesso.

Da qui si capiscono le ragioni dello straordinario ritiro di molti ghiacciai alpini negli ultimi tempi.

Se, per esempio, deciderete di raggiungere d’estate la vetta del Gran Paradiso (m 4061) partendo dal rifugio Chabod (m 2750), dovrete camminare almeno un’ora sul sentiero roccioso che risale gli sfasciumi della morena del ghiacciaio di Laveciau prima di indossare i ramponi e mettere i piedi sulle lingue grigiastre e detritiche del ghiacciaio.

Oppure, sempre d’estate, se vi capiterà di osservare il versante meridionale valdostano del Monte Rosa, vi accorgerete di quanto il grande ghiacciaio del Lys si sia ritirato e come sia ormai “nudo” ed esposto ai violenti raggi del sole.

Questa formazione, che solo nel 2005 aveva una superficie di 9,6 km², ha ormai lasciato quasi completamente scoperto il grande apparato morenico della Piccola Età Glaciale (che durò fino alla fine dell’Ottocento), oggi in gran parte colonizzato da pascoli e lariceti.

Inoltre, si può vedere chiaramente come la lingua terminale del ghiacciaio si sia ormai completamente staccata e come, non essendo più alimentata dal resto del ghiacciaio, resista al definitivo scioglimento solo grazie alla copertura detritica che si è formata sulla superficie.

Questi sono solo due degli innumerevoli esempi che si potrebbero portare a dimostrazione dei tangibili cambiamenti che stanno intervenendo nel paesaggio alpino d’alta quota.

Gli itinerari:

Da Punta Indren a Punta Gnifetti: i ghiacciai del Monte Rosa

La Vedretta del Venerocolo, ghiacci sull’Adamello

Marmolada: da passo Fedaia a Punta Penia

Gran Paradiso: la via normale