Capo del Soccorso Alpino: record di morti, turisti impreparati

28 luglio 2025 - 16:25

C'è chi sale a 4000 metri con le scarpe da ginnastica, chi rischia la vita per un selfie , chi va in ferrata col bambino in braccio senza legarsi. Il grido d'allarme del capo del Soccorso Alpino: mai così tanti morti per impreparazione sui sentieri

“Mai così tanti morti in montagna”: l’estate nera del Soccorso Alpino

Io, un’estate così, con tanti morti in montagna, non me la ricordo. Siamooltre ogni limite. Ottantatré decessi e cinque dispersi solo nel primo mese di vacanza. Quasi tre incidenti fatali al giorno, siamo a circa un 20 per cento in più di interventi rispetto alla media“.

Un bollettino di guerra, quello reso pubblico da Maurizio Dellantonio, presidente del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico, in una lunga intervista al Corriere della Sera.

Le sue parole arrivano in una delle estati più tragiche degli ultimi anni, con un numero altissimo di interventi, spesso per cause legate all’imprudenza o alla totale mancanza di preparazione.

Le statistiche dicono che l’afflusso in montagna è aumentato, ma la consapevolezza no. I numeri impressionano: migliaia di soccorsi già effettuati, decine di vite spezzate, un lavoro incessante che coinvolge ogni giorno decine di squadre, elicotteri e unità specializzate.

Dietro ogni cifra c’è una storia. A volte a lieto fine, sempre più spesso no.

 

L’imprudenza, un tempo eccezione, ora è la regola

La storia di un giovane escursionista salvato in ipotermia su in Val Senales è un caso-limite, ma sempre più frequente, di chi sottovaluta la montagna in nome dell’esperienza da postare.

La settimana scorsa” – racconta Dellantonio – “siamo andati a recuperare un cuoco trentenne che si era messo in testa di raggiungere Cima Palla Bianca, a 3600 metri, partendo di sera, dopo il turno di lavoro. Arrivato a 3100, in piena notte, ci ha chiamati perché stava congelando. Indossava solo scarpe da ginnastica“.

La montagna non è un set fotografico, ma un ambiente esigente e imprevedibile.

Eppure, molti si avventurano su sentieri attrezzati e vie ferrate con sneakers, senza mappa, acqua, o una minima conoscenza del percorso.

In alcuni casi, ha raccontato il capo del Soccorso Alpino, le richieste di aiuto arrivano da persone disorientate dopo pochi chilometri, oppure esauste per una semplice salita.

Uno fa una foto e scrive: “Sono arrivato in cima”. Il giorno dopo c’è subito chi ci prova, anche senza prepararsi. Un tempo mi chiamavano: È sicuro quel sentiero? Ora sembra umiliante farsi trovare impreparati. Si va al buio. E poi, se posso dire, i ragazzi di oggi sono anche meno forti di un tempo…“.

Quella che un tempo era un’eccezione – la leggerezza, la scarsa preparazione – è oggi diventata routine.

A pesare non è solo il numero di incidenti, ma la tipologia: escursioni azzardate, imprese fuori portata, tempistiche folli, abbigliamento inadatto.

A spingere molti a salire, spesso, non è la passione per la montagna, ma il desiderio di replicare un’immagine vista online, di girare un video estremo, di raccontare un’impresa che impressioni i follower.

Una montagna da consumare, più che da conoscere.

 

Il sistema soccorsi è sotto pressione: la stanchezza degli operatori

L’aumento esponenziale degli interventi – spesso evitabili – ha messo a dura prova i volontari del soccorso. Dellantonio non nasconde la fatica e l’enorme carico di lavoro che ricade sugli operatori del Soccorso Alpino.

Un carico così grande che anche il Capo dei Soccorsi è operativo su campo.
Sì, mi metto a disposizione del caposquadra. In Val di Fassa viaggiamo al ritmo di 6-8 interventi al giorno“.

Le chiamate arrivano da tutta Italia, dalle Dolomiti all’Appennino. Chi sale senza torcia o affronta una via al tramonto, chi segue un’app invece che una carta topografica.

Alcuni, racconta, si fanno sorprendere dal buio o dal maltempo su tracciati chiaramente impegnativi.

Tutto questo ha un costo: umano, operativo e anche emotivo.

Spesso ci si dimentica del rischio che corrono i volontari. L’altro giorno, sulle Tofane, tre alpinisti erano bloccati. Uno era volato giù. Siamo intervenuti di notte, senza elicottero. Ci siamo calati dalla cima, su una via difficilissima. Un intervento al limite.

Gli operatori del Soccorso Alpino sono spesso volontari, che mettono a rischio la propria vita per salvare quella degli altri.

Le operazioni in alta quota, soprattutto di notte o con maltempo, espongono chi le compie a un livello di pericolo altissimo. E quando gli incidenti si ripetono a ritmi serrati, la fatica si somma allo stress psicologico.

Non si tratta solo di recuperi tecnici, ma di scene drammatiche. Di famiglie in attesa, di corpi da restituire, di vite spezzate per un errore banale. È questo carico emotivo che, negli ultimi mesi, sta pesando più di tutto.

 

Rispettare la cultura della montagna e insegnarla

La montagna non è un ambiente democratico: non tutti i percorsi sono per tutti. Alcuni richiedono esperienza, altri attrezzatura, altri ancora condizioni meteo precise.

Eppure, molti si affidano solo al GPS o a contenuti visti su TikTok. L’app GeoResQ, utile per essere geolocalizzati in caso di emergenza, è ancora poco usata. Così come poco consultati restano i bollettini meteo, i segnavia CAI o le regole base di sicurezza.

C’è un tema, dunque, che va oltre la cronaca. Ed è quello dell’educazione. L’educazione alla montagna. Alla sua bellezza, ma anche alla sua severità.

Un’educazione che andrebbe insegnata a scuola, trasmessa nei media, integrata nelle offerte turistiche.

Perché altrimenti il pericolo è grande, come quando un tipo imboccò una ferrata con la figlia al braccio, non legato e con sotto 50 metri di vuoto.

L’indomani mi sono fatto dare il numero e l’ho chiamato. Caro mio, gli ho detto, non funziona così. Ti è andata bene, sei vivo per miracolo“.

Tutti, a partire dai media e dalla comunicazione, devono fare la propria parte.
La montagna è un luogo meraviglioso, adatto a tutti — anche ai neonati — purché si sappia dove e come andare“.

Lo sviluppo turistico, sempre più orientato all’esperienza immediata e alla spettacolarizzazione, deve fare i conti con i propri limiti.

La montagna continuerà a essere un luogo aperto a tutti solo se ognuno saprà rispettarla.

Perché non è la montagna a tradire chi la affronta: sono gli uomini a tradirne il senso, trasformandola da spazio di silenzio e rispetto a becero sfondo da esibire sui social.

 

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