“Straordinarie”: la storia di 6 donne che hanno deciso di gestire un rifugio

26 maggio 2025 - 15:04

Qualche volta si può andare in montagna anche senza muoversi. É il caso del Trento Film Festival, dove ogni anno, per dieci giorni gli appassionati possono vedere in anteprima video da tutto il mondo, assistere a presentazioni di libri incontri con gli autori ed eventi a tema, tutti con il comune denominatore delle terre alte.

Tra i film presentati alla 73ma edizione, sicuramente lascia un segno “Straordinarie”, di Giorgia Lazzarini. Storia, anzi storie, di 6 donne che hanno scelto di gestireun rifugio. La vita in alta quota è la vera protagonista di questo racconto, che ne mostra, senza perdite di equilibrio, momenti di difficoltà e momenti di meraviglia.

Chiunque abbia dormito almeno una notte in luoghi dove alle dieci di sera si spegne la luce e i ritmi sono dettati da albe e tramonti rivivrà tante emozioni note e farà, anche, tante scoperte.

Se trascorrere mesi interi in un luogo talvolta raggiungibile solo a piedi o in elicottero appare fuori dall’ordinario, nell’ottica comune lo appare di più se a fare questa vita è una donna, magari anche mamma. O se questa donna va anche a fare scalate.

Giorgia – alla sua prima esperienza come regista, ma non si direbbe – con il suo lavoro porta a guardare tutto questo con altri occhi, facendo capire che ad essere straordinarie sono certe scelte, a prescindere dal genere di chi le fa.

L’idea nasce da una ricerca personale di nuovi stimoli e dalla passione per la montagna che la regista ha ereditato dai genitori. “Mi ci portavano sempre, da piccola – racconta – e da allora per me si identifica con il trovare la tranquillità. Per diverso tempo ho vissuto a Milano, abituata al caos e al correre, e la montagna mi ha sempre fatto rallentare, capire a cosa stavo andando incontro, riconnettermi”.

Giorgia lavora come videomaker e lo fa con passione ma a un certo punto prova la sensazione di star facendo sempre le stesse cose, e questo non le appartiene. Decide di avviare un progetto completamente suo, e la montagna non poteva non farne parte.

Mentre cerca l’idea giusta il caso, o forse la capacità di cogliere lo spunto, le mette sotto gli occhi un articolo su una donna molto giovane che aveva preso in gestione il rifugio Nuvolau. Una storia in cui vede riflessa la sua, perché anche lei spesso deve fronteggiare l’opinione diffusa che la sua professione abbia un genere: quello maschile.

Parte allora un grande lavoro di ricerca e di contatto con le rifugiste. Alcune non rispondono, altre rispondono a riprese già iniziate, altre preferiscono non apparire per non dare ulteriore visibilità a luoghi che hanno delicati equilibri da preservare.

Il film viene girato in quattro regioni: Veneto, Lombardia, Friuli Venezia Giulia e Trentino Alto Adige, e in sei rifugi: Roda di Vael (Tn) gestito da Roberta Silva; Re Alberto I (Bz) gestito da Valeria Pallotta; Contrin (Tn) gestito da Francesca Debertol; Sasso Bianco (Bl), gestito da Elena Bergamini; Pordenone (Pn) gestito da Marika Freschi; Grassi (Bg) gestito da Anna Bortoletto.

Per giorni, la troupe segue da vicino ogni aspetto della vita quotidiana in rifugio, dall’approvvigionamento via teleferica al bicchiere di vino al tramonto, dalle piccole riparazioni ai momenti di gioco con i bambini all’ombra di un albero.

E noi che in quei luoghi andiamo a gratificarci con qualcosa di buono dopo un trek impegnativo o a passare una notte fuori dal mondo, grazie a questo racconto possiamo capire meglio tutto il lavoro che c’è dietro, renderci conto che per farci fare colazione alle 7 c’è chi si alza alle 5,30.

Tutto spiegato senza drammi né esaltazioni, descritto per quello che è da persone che hanno fatto una scelta consapevole e convinta, inclusa quella di avere figli e farli crescere, parte dell’anno, circondati da montagne.

Tra i clienti c’è ancora chi quando le incontra chiede di “parlare con il gestore”, ma per Roberta, Valeria, Francesca, Elena, Marika e Anna maschile e femminile non sono mondi contrapposti. Padri, mariti o compagni, figli sono presenze costanti e di costruzione comune di una vita diversa, talvolta ereditata e proseguita con convinzione, talvolta progettata insieme.

Il retroscena forse più imprevisto di questa vita nella natura è il senso di responsabilità con cui la affrontano. Chi abita questi luoghi sa quanto sia delicato l’equilibrio tra uomo e natura e cerca di alterarlo il meno possibile, ma spesso fatica a fare da tramite tra l’ambiente che si sforza di preservare e il turista che frequenta la montagna ma spesso non la rispetta.

Chi gestisce un rifugio ha talvolta a che fare con persone poco consapevoli, anche sul piano della sicurezza, e si sente responsabile per loro anche quando i consigli restano inascoltati.

“Mi hanno fatto capire quanto si sentano responsabili su entrambi gli aspetti – spiega Giorgia – e io ho voluto portare nel film tutto questo perché fa parte della loro storia. Hanno aggiunto tanto alle prime idee che avevo in mente, il processo creativo è andato avanti insieme a loro. Di fatto, loro sono coautrici di questo documentario”.

Giorgia e la sua squadra escono da questa esperienza con un grande appagamento a livello lavorativo e a livello umano, e il risultato è un film che è un piacere per gli occhi, dà da pensare e lascia un senso di armonia. La montagna lo fa.

Le rifugiste anche: “Tutte e sei mi hanno fatto sentire completamente a casa, e in hotel questo non lo trovi”. Il calore del condividere una cena allo stesso tavolo senza essersi mai visti prima è qualcosa di connaturato all’esperienza del rifugio e tutti noi che frequentiamo la montagna, guardando il film, saremo presi da una voglia improvvisa di fare lo zaino.

Il film verrà proiettato il 25 luglio a Canazei, il 5 agosto a Due Ville (evento Cai) e il 18 agosto a Pozza di Fassa. Per informazioni o per organizzare altre proiezioni si può contattare la producer: valentina@stokedstudios.it

 

Gli itinerari per raggiungere i rifugi protagonisti del film

Rifugio Roda di Vael

Il Rifugio Roda di Vael (2283 mt.) è raggiungibile solo a piedi, e si trova in una conca rocciosa circondata dalle vette dello Sforcellone e dalle Pale Rabbiose. La mattina si può vedere spuntare il sole tra le cime della Marmolada e del Gruppo del Sella.

Ci si può arrivare da Passo Costalunga, che si trova a 1745 mt. di quota, percorrendo il sentiero 548 per un dislivello di 530 metri.

Rifugio Roda di Vael – Foto Getty Images

Un’alternativa di maggiore impegno è partire da Vigo di Fassa, percorrendo il sentiero 547, prima, e il 545, poi, per un dislivello di 900 mt. Un itinerario tra boschi e saliscendi finali, che non presenta difficoltà tecniche.

Decisamente più adrenalinico è il percorso che, sempre partendo da Passo Costalunga, arriva al Rifugio Paolina (per chi vuole accorciare i tempi, questa prima tratta è coperta dagli impianti) e da qui si dirige al Passo del Vajolont. Per salire al Passo c’è un tratto attrezzato con scale e corde metalliche.

Il Passo offre una vista eccezionale sulla Val d’Ega, da un versante, e sulla vallata rocciosa che ospita il Rifugio, dall’altro. Anche la discesa finale è di tutto rispetto. Non è raro vedere le stelle alpine.

Rifugio Re Alberto I 

Il Rifugio Re Alberto I si trova a quota 2621, nel cuore del Gruppo del Catinaccio, uno dei luoghi più suggestivi e amati dagli appassionati di trekking e di alpinismo. Per raggiungerlo si possono prendere gli impianti a Vigo o a Pera di Fassa e arrivare, tramite il Sentiero delle Leggende o il sentiero 540, a Gardeccia.

Rifugio Re Alberto I – Foto Getty Images

Di lì, una sterrata ghiaiosa a zig zag porta in circa un’ora minuti al Rifugio Vajolet. Siamo già a quota 2243 mt. Da lì parte un sentiero per escursionisti esperti, che in alcuni punti è attrezzato con corde metalliche. Percorrerlo richiede attenzione e buone ginocchia ma nessuna particolare preparazione tecnica.

Si sale in una gola rocciosa che da sola vale l’impegno. Arrivati al pianoro dove si trova il rifugio si è finalmente faccia a faccia con le Torri del Vajolet, dove gli architetti della natura si sono veramente sbizzarriti.

Chi arriva da Bolzano potrà arrivare con gli impianti da Passo Costalunga o da Passo Nigra, tramite sentieri semplici, fino al Rifugio Fronza alle Coronelle. Da lì, si sale al Passo delle Coronelle percorrendo il sentiero 550 e valicato il passo si scende su un ghiaione per poi imboccare il sentiero 541, che conduce al Rifugio.

In tutto, questo percorso comporta un tempo di percorrenza di circa 2,30 ore, che diventano 4,30 se si vogliono evitare gli impianti.

 

Rifugio Contrin

Il Rifugio Contrin si trova alla fine della Val di Fassa, ai piedi del Gruppo della Marmolada, ed è circondato da diverse vette che superano i 3.000 metri, come il Gran Vernel, Cima Ombretta, Sasso Vernale e Cima Uomo.

Nonostante la posizione fantastica, si raggiunge in modo relativamente facile da Alba di Canazei, percorrendo il sentiero 602. 6 chilometri tra conifere e squarci panoramici sulle montagne, che si percorrono in meno di due ore e lo rendono meta agevole anche per il turismo familiare.

Un’alternativa ancora più spettacolare, sempre da Alba di Canazei, è prendere la funivia del Ciampac fino a Séla Brunéch (2420 mt.).

Da qui si imbocca il sentiero 613B, attrezzato ma percorribile da tutti purché attenti e in buona forma fisica. Se non soffrite di vertigini vi godrete le emozioni di questo spettacolare sentiero in cresta super panoramico.

Dopo questo tratto ci si immette nel sentiero 613 che, scendendo, porta al rifugio Passo San Nicolò, a quota 2346 metri. Da lì si prende il sentiero 608, che porta al rifugio. Il tempo di percorrenza medio è di 3 ore.

Gli appassionati di trek itineranti passeranno per il Contrin quando si cimenteranno in uno dei percorsi alpini più consigliati: l’Alta Via n. 2.

 

Rifugio Sasso Bianco

Il Rifugio Sasso Bianco è raggiungibile solo a piedi e si trova a 1840 mt., sotto la cima del Sasso Bianco.

Sorge su una grande terrazza naturale, che ha sullo sfondo la parete del Civetta e la inconfondibile sagoma del Monte Pelmo. E’ un luogo rasserenante, che si raggiunge anche tramite sentieri di vario tipo, alcuni dei quali percorribili da bambini.

Si può arrivare al rifugio partendo da Piaia – San Tomaso Agordino e salendo per circa 700 metri.

Da Piaia si percorre la vecchia mulattiera del Sasso Bianco fino all’attacco della teleferica Costa de le Palote (1625 mt.); da lì il percorso si immette nel bosco, e seguendo le indicazioni per Ciamp si arriva, in poco più di mezz’ora, alla piana del Rifugio.

Un percorso di dislivello analogo parte da Caracói Agóin (1256 mt.) e da lì arriva a Bramezza, dove si inizia a vedere il lago di Alleghe. Si seguono poi le indicazioni per Casere Bur, Tabiài Forca, fino a Tabiai Larìz, (1951 mt.), in uno scenario sempre più aperto e panoramico. Ci si trova dopo poco su una sella erbosa dalla quale è già visibile il Rifugio.

 

Rifugio Pordenone

Il Rifugio Pordenone si trova a 1249 mt., ed è stato costruito 95 anni fa su un costone boscato nella alta Val Cimoliana, nel Parco Regionale delle Dolomiti Friulane. É l’unico dei 6 raggiungibile in auto, per una strada in parte sterrata, e persino in auto, il percorso è spettacolare.

Compaiono il Monte Ferrara, le Cime Postegae, le Cime di Brica, il Campanile Gambet, le guglie delle Cime delle Corde, la svettante Punta Pia, la Cima Meluzzo e la Cima Stalla.

Il Rifugio è una base perfetta per trekking e arrampicate. Tra i trekking, l’Anello delle Dolomiti Friulane, un percorso di 5 giorni che implica tappe di anche 1000 metri di dislivello. Ci si può accontentare, per così dire, della prima tappa, che dal Pordenone porta al Rifugio Padova.

Si segue il sentiero 33 fino alla Val d’Arade e poi il 342 e il 346. Punto forte di questo percorso è il passaggio ai piedi del Campanile di Val Montanaia, il “grido di pietra” conosciuto dagli alpinisti di tutta Europa. 1100 metri di dislivello, ambiente grandioso, sentiero per escursionisti esperti.

Chi vuole limitarsi a vedere da vicino il Campanile può risalire la Val Montanaia percorrendo il ripido sentiero 353 e arriva, dopo 800 metri di dislivello, al Bivacco Perugini, dal quale la vista è davvero incredibile.

 

Rifugio Grassi

Il Rifugio Grassi si trova nel cuore delle Orobie, sotto il Picco dei Tre Signori, ed ha quasi 100 anni. Nonostante i 2000 metri di quota e nonostante sia ben lontano da percorsi sciistici è aperto sia d’estate che d’inverno (nei fine settimana). Per raggiungerlo, quindi, i percorsi variano a seconda della stagione. Ce ne sono almeno 6, qui ne vediamo tre.

Il percorso da fare in estate è quello che parte da Barzio e passa per i piani di Bobbio (1600 mt.). L’itinerario, fin qui molto agevole, continua lungo la cresta panoramica del sentiero 101, perfettamente segnalato.

Un’alternativa è partire da Introbio e percorrere il sentiero della Foppabona (n. 27), che immerge in boschi di castagni e faggi, poi tra i larici e, infine, attraversa pascoli fino a raccordarsi al sentiero 101 della Dorsale Orobica Lecchese. La zona è affascinante, panoramica e selvaggia, e il percorso è vario, di medio impegno.

Un percorso riservato a camminatori allenati e ben attrezzati parte da Gerola Alta e si snoda costeggiando le pendici del Pizzo dei Tre Signori. Si seguono le indicazioni per il Rifugio Trona, poi per il Rifugio Falc, la Bocchetta di Piazzocco.

Infine, percorrendo il Sentiero del Cardinale, si arriva a Pian delle Parole e da lì al Grassi. Dislivelli e saliscendi importanti, la maggior parte dell’itinerario è a quota consistente. Ma la soddisfazione è infinita.