La leggenda di Baltimore Jack, l’uomo che ha dedicato la sua vita al cammino e alla natura

13 novembre 2020 - 19:17

Un uomo diventato una leggenda per ogni appassionato di trekking e outdoor degli Stati Uniti, il suo nome è Baltimore Jack e ha lasciato tutto per vivere camminando sull'Appalachian Trail. Ha vissuto lungo quel sentiero aiutando centinaia di persone ad affrontarlo, un profondo conoscitore di storie e leggende di quelle terre, che amava raccontare a chi incontrava lungo il cammino.

Negli Stati Uniti c’è un cammino che più di tutti è presente nell’immaginariodegli amanti del trekking e dell’outdoor, un percorso di oltre 2000 miglia che attraversa ben 14 stati della costa est, il suo nome è Appalachian Trail e deve il nome proprio alla catena degli Appalachi.

Gli Stati Uniti hanno immense aree selvagge, ideali per vivere esperienze outdoor autentiche, perfino rischiose, senza una adeguata preparazione.

Proprio le grandi distese, le foreste, i deserti e i numerosi ambienti naturali che si ritrovano in Nord America hanno reso l’outdoor una disciplina mitologica nella cultura americana.

L’uomo vive in città solo da pochi secoli, per gran parte della sua storia era la natura il suo habitat, il contatto con gli elementi della terra è connaturato nel nostro DNA. Infatti oggi molte patologie fisiche e mentali così diffuse nel mondo occidentale sono proprio legate alla sedentarietà a un deficit di natura.

Torniamo però agli Stati Uniti, per la precisione a Brookline, una piccola cittadina vicina a Boston nel Massachusetts, un agglomerato di vie e casette grigie tipiche dei sobborghi americani. In una di queste nasce nel 1958 un bel bambino dagli occhi chiari e i capelli scuri, il suo nome è Adam Tarlin, l’ultimo arrivato di quattro figli, l’unico maschio.

Adam fin da piccolo dimostra una spiccata intelligenza e una gran voglia di capire il mondo, ama conoscere cose nuove, è appassionato di storia e di geografia, ma non sopporta le regole, come quelle scolastiche.

Ben presto però la vita inizia a segnare il suo spirito con traumi enormi, che nessun bambino dovrebbe mai vivere. Quando ha solo 9 anni sua madre muore, Adam affronta il lutto chiudendosi in se stesso, il suo carattere diventa sempre più ribelle alle regole della società.

 

A scuola diventa un punto di riferimento per i suoi compagni, meno per gli insegnanti che faticano a gestirlo, ma apprezzano la sua intelligenza e dedizione allo studio.

Il padre è il suo punto di riferimento, l’unico che riesca a dargli una direzione, a controllarlo. La vita però sembra aver preso di mira il piccolo Adam, pochi anni dopo anche il padre muore improvvisamente, lasciando lui e le sorelle soli, disorientati e storditi.

Un colpo che nessun ragazzino può incassare senza conseguenze e infatti Adam cambia profondamente, a scuola è brillante e ottiene buoni risultati, nonostante segua poco i professori, nel tempo libero cerca la solitudine, non frequenta i compagni, preferisce passare i pomeriggi a camminare nella natura.

Amava leggere e spesso, dopo aver camminato per ore, si fermava sotto qualche albero a sfogliare i suoi libri nel silenzio dei boschi. Era uno dei più bravi della sua classe, di quelli che non segnano i compiti, non prendono appunti, ma poi potrebbero spiegare la lezione anche ai professori.

I professori lo ammiravano, anche se non lo capivano, nemmeno i suoi compagni riuscivano ad avere la sua attenzione, anche se avrebbero voluto tutti essere amici di quel ragazzino così carismatico.

Adam però non vuole giocare, gli interessa studiare e gli piace parlare di quello che studia. Negli anni della scuola soffre molto, cerca spesso la solitudine per elaborare la grande sofferenza per la perdita dei genitori, ma non si chiude mai in se stesso, rimane socievole e aperto.

Dopo la scuola frequenta il college, sempre in Massachusetts. Nonostante il suo stile di vita sia fuori dalle righe, riesce a completare gli studi e a laurearsi in storia. Sono anni di profondo cambiamento, studia e collabora col giornale scolastico, ma continua a passare molto tempo a camminare, una passione autentica.

Dopo le lezioni, continua ad andare nei boschi in compagnia solo dei suoi libri. Gli articoli che scrive per il giornale scolastico, eccentrici e schietti, gli provocano qualche scontro con la direttrice Alegra Brestford, una compagna d’università.

Alegra capisce presto che gli scontri non servono, Adam non ama le regole, i suoi pezzi sono taglienti, talvolta spietati, ma piacciono molto agli studenti, e anche ai professori che di nascosto leggono sempre il giornale. Adam è un ragazzo moro, bel fisico e un modo di fare affascinante, tanto che tra una lite e l’altra la direttrice s’innamora di lui.

Allegra e Adam iniziano a frequentarsi, si fidanzano e poco dopo la fine del college si sposano. Allegra ricorda ancora oggi Adam come un ragazzo di grande personalità e intelligenza.

Dopo il matrimonio però il loro rapporto si deteriora, nonostante abbiano una figlia, Adam fatica ad abituarsi a quella vita, non trova lavoro, o meglio non vuole stare otto ore in un ufficio, vuole essere libero.

Riesce a trovare pace solo quando cammina per i boschi, spesso sparisce per giorni interi, lasciando sua moglie nell’angoscia. Non è cattiveria, ma quando inizia a camminare non riesce a fermarsi, ogni passo lo rasserena e lo spinge verso il successivo.

Questa inquietudine però rovina il rapporto con sua moglie, che esasperata dal suo stile di vita decide di allontanarlo da casa.

Da quel momento inizia un periodo particolare per Adam, prende poche cose le infila in un grosso zaino e se ne va, non lasciando tracce.

Né Alegra, né le sorelle e nemmeno gli amici sanno come abbia passato gli anni successivi però, nonostante la vita nomade, è sempre informato su sua figlia, per il compleanno o altri avvenimenti importanti, arriva sempre un pacchetto con il timbro di una diversa cittadina.

Chi lo ha conosciuto in quel periodo racconta che girava nei dintorni di Boston tra un lavoro saltuario e l’altro, senza mai fermarsi in un posto tanto a lungo da pagare un affitto.

In questi anni lavora in diverse città del Massachusetts, il primo impego stabile lo trova in una falegnameria nel New Hampshire.

Il proprietario gli offre di vivere in una piccola baracca, come parte della paga per il suo lavoro, è una casetta in legno in mezzo ai boschi che si trova sul tracciato dell’Appalachian Trail, al miglio 1748. Durante quei mesi incontra molti camminatori che gli raccontano storie e leggende legate al sentiero.

Quegli incontri riaccendono la sua passione per il cammino e per quel lungo itinerario che avrebbe dovuto percorrere col padre che, purtroppo, non fece in tempo a mantenere la promessa.

E’ un ragazzo di trent’anni, ha fallito nel matrimonio e con la famiglia e non ha nulla di stabile nella sua vita, all’infuori di quel grande senso di inquietudine e alla grande passione per il cammino e la natura

Probabilmente spinto dai racconti dei trekker incontrati, dieci anni dopo aver lasciato casa, nel 1995, Adam lascia il lavoro e decide di percorrere finalmente l’Appalachian Trail.

Difficile spiegare cosa rappresenta quell’itinerario per gli americani, non ha un significato religioso come il Cammino di Santiago o la Via Francigena per gli europei, ma ha comunque un forte significato spirituale legato ai luoghi che attraversa, al legame con gli antenati e con madre natura.

Per percorrerlo tutto ci vogliono almeno dodici mesi e un buon allenamento, proprio intorno a questo percorso è nato il concetto di thru-hiking, che per gli americani è un viaggio a piedi dall’inizio alla fine di un lungo itinerario.

I primi lavori di sistemazione dell’itinerario risalgono al 1920 e si concludono nel 1937, certo nulla a che vedere con la storia secolare dei cammini europei, ma per gli americani le terre selvagge hanno un significato sacrale e questo percorso segue una delle più imponenti catene montuose del paese.

 

Tarlin ha sempre amato il trekking e questo percorso è per lui un punto di riferimento. Percorrerlo tutto, almeno una volta, quasi una ragione di vita. Ne aveva già calpestato il tracciato altre volte, percorrendone piccoli tratti, ma ora è il momento della grande sfida.

Le chiacchierate con quei trekker che passavano vicino alla falegnameria, i racconti delle esperienze vissute lungo il sentiero lo hanno spinto a seguire la sua vocazione. Mettersi in cammino sul quel percorso, un appuntamento rimandato da troppo tempo.

E’ il 1995 quando decide di partire, in tasca qualche soldo guadagnato con i lavoretti saltuari, sulle spalle un grosso zaino con dentro la sua vita, un paio di scarpe comode ai piedi e al collo i medaglioni di suo padre che portava sempre con se.

Dopo il primo giorno di cammino, qualcosa nella sua testa inizia a cambiare, sente un’energia particolare provenire dagli alberi, dalle montagne intorno a lui, quasi come fosse tornato a casa, come se quel posto fosse sempre stato lì per lui.

Quell’irrequietezza che sentiva dentro fin dalla morte dei suoi genitori, che lo turbava al punto di avergli fatto perdere la famiglia finalmente abbassa la sua voce. Un acufene fastidioso, un disturbo fisico, che un passo dopo l’altro lascia la sua morsa.

 

Oltre la California, oltre New York e Miami, oltre quell’America che ci arriva attraverso la televisione e il cinema, esiste un’altra nazione, quella degli stati industriali, delle grandi campagne, città dove le strade non hanno nome, esiste un’America operaia e contadina che non ha nulla a che spartire con Hollywood o Broadway.

In quell’America è cresciuto Tarlin e in quella stessa America, proprio in quegli anni, c’è un musicista che sta diventando un vero e proprio mito per molti americani, grazie all’incredibile capacità di raccontare con le sue canzoni lo spirito e l’anima di quegli Stati Uniti lontani dalle luci della ribalta.

Il suo nome è Bruce Springsteen, soprannominato il Boss, il musicista che meglio di chiunque altro ha cantato la vita di città come Philadelphia, di stati come il Nebraska e di tutte quelle zone degli Stati Uniti che dall’altra parte dell’oceano non riusciamo nemmeno ad immaginare.

Tarlin ascoltava spesso le sue canzoni durante i lunghi anni passati in solitaria tra un lavoro e l’altro. All’inizio quella voce così intensa e profonda passava in radio raramente, ma negli anni quel ragazzo scalava le classifiche musicali.

In una notte, di quelle notti senza sonno, in cui pensi alla famiglia mentre sei solo in un posto di cui non conosci nemmeno il nome, in cui il tuo cuore è affamato d’amore e di casa.

In quella notte, dalla radio accesa, arrivano le note di un ballata rock del Boss, si chiama Hungry Heart, Tarlin è sdraiato sul letto, stordito da qualche bicchiere di whisky di troppo, ma improvvisamente si riprende.

Nella prima strofa della canzone Bruce canta “Got a wife and kids in Baltimore, Jack i went out for a ride and i never went back, like a river that don’t know where it’s flowing. I took a wrong turn and i just kept going.”.

“Ho una moglie e dei figli a Baltimora, Jack sono uscito a fare un giro e non sono mai tornato indietro, come un fiume che non sa dove scorre, ho preso una svolta sbagliata e ho continuato ad andare.”

Questo dice la canzone e Tarlin forse ha dentro di se anche quella sensazione, forse questo lo ha spinto a continuare a cercare una strada, una direzione.

Da quando è sul cammino quella maledetta voce ha iniziato ad affievolirsi, finalmente può liberarsi di quel peso, finalmente non ha più bisogno di quei versi che tanto lo avevano aiutato.

Quando una canzone ti sostiene in un momento difficile per riconoscenza alcuni si tatuano alcune frasi sulla pelle, Tarlin deice di fare qualcosa di più. Da quel momento si sarebbe fatto chiamare Baltimore Jack.

Proprio qui inizia la leggenda di una delle figure più carismatiche dell’Appalachian Trail e di tutto il mondo dell’outdoor americano.

Da quel momento il nome di Baltimore Jack si lega indissolubilmente a quell’itinerario, superando i confini dello stato, giungendo alle orecchie di appassionati in ogni parte degli Stati Uniti.

Baltimore Jack sta affrontando per la prima volta l’Appalachian Trail, il suo passo è sicuro e cadenzato dai tanti chilometri percorsi a piedi fin da piccolo, cammina da solo godendosi ogni singolo miglio, ogni salita, ogni bosco, ogni rumore della foresta e ogni incontro con altri thru-hiker.

Quando è a poche miglia dalla fine del percorso però, ancora una volta, il destino avverso torna a farsi vedere. Durante un passaggio particolarmente impervio scivola e si sloga una caviglia, per fortuna sta percorrendo quel tratto con alcune persone che lo hanno soccorso e accompagnato nella cittadina più vicina per le cure.

Il primo tentativo di concludere il percorso sfuma a poche miglia dalla fine, ma ormai Tarlin ha dentro di se la forza di Baltimore Jack. Non si arrende e appena la caviglia guarisce si rimette in cammino.

Nei mesi successivi riesce a completare tutto il percorso diventando anche lui un Thru-hiker, sente di aver trovato il suo posto, per lui quel percorso è una casa immensa, in cui cambiare stanza ogni giorno.

Percorrerà l’Appalachian Trail diverse volte, ma soprattutto inizia a viverci su quel sentiero, ogni giorno è in cammino nelle varie tappe, sempre col suo grosso zaino sulle spalle.

Inizia a percorrere centinaia di miglia ogni anno, sempre a piedi, sempre su quelle montagne, vivendo e ascoltando infinite storie su quei luoghi, amava scoprire cose nuove e presto divenne un fine conoscitore del sentiero e delle sue storie.

Quando incontrava altri viandanti li accompagnava per qualche miglio aiutandoli a superare i tratti più difficili e raccontando storie e aneddoti legati al cammino.

Baltimore Jack era un gran narratore, colto e carismatico, tanto che i suoi racconti lungo il percorso iniziarono a diventare famosi tra gli appassionati.

Sempre più persone raccontavano di aver condiviso giornate in cammino con Baltimore Jack, di aver ascoltato consigli e meravigliosi racconti.

In poco tempo il suo nome divenne noto tra tutti quelli che lavoravano intorno all’Appalachian trail: le guide, i gestori di rifugi e ostelli, perfino le autorità e i sindaci dei paesi iniziavano a conoscerlo, era diventato un punto di riferimento.

Non era raro incontrarlo a cena in un ostello, ogni tanto quando i locali erano pieni di persone amava mettersi ai fornelli per cucinare alcuni dei suoi piatti forti e passare poi la serata raccontando storie e aneddoti.

Questo fece crescere la sua leggenda, un uomo dagli occhi chiari, che viveva sul sentiero e aiutava le persone che incontrava, nessuno però sapeva il suo vero nome o da dove venisse.

Era una gran oratore, sempre col sorriso sul volto, l’itinerario era la sua casa e la natura la sua famiglia. Era dedito al cammino, in ogni stagione e in ogni condizione, spesso chi lo incontrava lungo il sentiero lo vedeva segnato da lividi e con bende sulle ginocchia per le ferite dovute a qualche caduta.

Questi momenti di incontro resero la figura di Baltimore Jack mitologica, una vera e propria attrazione per l’Appalachian trail, centinaia di trekker si mettevano in cammino con la speranza di incrociarlo e magari poter ascoltare qualche suo racconto.

Tra questi viaggiatori, nell’autunno del 1996, c’era anche una giovane ragazza di 18 anni, Jen Whitcomb che decise di affrontare quel percorso da sola, per prendersi una pausa dai problemi della sua vita di ragazza madre al college.

Dopo qualche giorno di cammino Jen si ferma in un bar per mangiare e incontra finalmente Baltimore Jack, gli racconta la sua storia, lui ascolta e decide di aiutarla ad affrontare il cammino accompagnandola per qualche tappa.

Jen oggi racconta di quanto fosse affascinante stare con lui, ascoltare i suoi aneddoti era meraviglioso, aveva sempre qualcosa da insegnare, non un maestro ma un fratello maggiore che ne ha passate tante.

Da quel momento tra i due nacque una forte amicizia, Jen tornò sull’Appalachian Trail diverse volte e spesso camminò insieme a Jack.

Jen viveva con suo figlio nel dormitorio del college e decise di offrire al suo amico un posto in cui stare per l’inverno. Baltimore Jack accettò e in cambio si occupò di suo figlio e di altri bambini dandogli ripetizioni di storia e aiutandoli con i compiti.

Jen racconta che il suo amico non aveva mai dimenticato sua figlia, ne parlava spesso con malinconia durante le serate, era addolorato di non poterla più vedere. Era un uomo estremamente buono, trattava anche lei come una figlia, era affettuoso e protettivo.

Dopo il college Jen si trasferì ed entrò nella Guardia Costiera, Baltimore Jack dopo un periodo di lontananza fece ritorno all’Appalachian Trail, siamo verso la fine degli anni ’90, Jack ha quasi cinquant’anni e ormai è diventato una vera autorità per gran parte degli appassionati di outdoor.

Chiunque aveva percorso anche solo un tratto dell’Appalachian Trail aveva sentito parlare di lui almeno una volta. Jack era un uomo curioso ed intelligente e quando internet iniziò a diffondersi lui lo utilizzò per raccontare le sue storie e scrivere post con consigli sul sentiero.

Scrisse moltissimi articoli su siti web specializzati, su forum e blog che si possono trovare ancora oggi. Erano contenuti ricchi di informazioni e scritti molto bene, che vennero letti da decine di migliaia di trekker di tutta America.

Grazie a questo lavoro la leggenda di Baltimore Jack divenne nazionale, le persone incuriosite scoprirono che davvero viveva gran parte del suo tempo camminando.

Sul forum specializzato White Blaze scrisse centinaia di guide diventate letture obbligate per ogni trekker deciso ad affrontare l’Appalachian Trail.

Lo stesso trail diventava ogni anno più famoso, alcuni personaggi iniziarono a presentarlo al pubblico come una meta per pochi, dura e inaccessibile.

Una visione opposta a quella di Baltimore Jack che lottava per rendere l’Appalachian Trail accessibile e divertente, un itinerario per godersi la natura con leggerezza.

Intorno al 2003, dopo anni di chilometri percorsi a piedi con un grosso zaino in spalla, Baltimore Jack comincia ad avere problemi alle  ginocchia che lo costringono a fermarsi. Stava ancora bene, ma non era più in grado di percorrere 20 miglia la giorno, come aveva sempre fatto.

Il suo impegno per sostenere l’Appalachian Trail non si fermò, diventò un vero e proprio Trail Angel, dedicando la sua vita ad assistere le persone che camminavano sul sentiero, dando loro preziosi consigli e accogliendole nei posti tappa.

Iniziò a frequentare gli ostelli lungo il percorso offrendosi di cucinare la cena per i trekker. Tutti i gestori lo conoscevano ed erano onorati di poterlo ospitare, questa nuova missione di vita consegnò definitivamente il nome di Baltimore Jack alla leggenda.

Centinaia di persone ogni anno lo cercavano per conoscerlo e scambiare qualche parola con lui, molti gli portavano regali e bottiglie del suo amato whiskey. Era considerato un San Francesco dell’Appalachian Trail, un uomo che aveva deciso di spogliarsi di tutto e dedicare la sua vita alla natura e al prossimo.

Col passare degli anni il fisico di Baltimore Jack iniziò a soffrire, in particolare per l’alcol e un problema congenito al cuore, era un uomo forte e sano, ma quella vita forse lo aveva consumato in fretta, così nel 2016, a soli 57 anni, Baltimore Jack si spense in un ostello vicino al sentiero, li dove aveva sempre vissuto.

Non appena la notizia iniziò a circolare tra le associazioni e gli appassionati di trekking, il web e i social media vennero invasi da migliaia di messaggi di cordoglio.

Le persone che lo avevano incrociato erano molte, ancor di più chi lo conosceva di fama, tutti loro tributarono migliaia di saluti alla leggenda.

Dopo pochi mesi sui social e nei forum compaiono molti racconti di persone che lo avevano incontrato, alcuni erano stati aiutati in situazioni difficili, altri avevano ricevuto un consiglio utile per il loro cammino.

Davi Royan, che aveva percorso l’Appalachian Trail insieme alla moglie, ha raccontato che Baltimore Jack aveva salvato sua moglie dopo una caduta che le provocò la rottura della gamba, la trasportò in spalla fino ai soccorsi.

Molti altri hanno riportato racconti e storie udite in qualche ostello lungo il percorso, gustando un piatto cucinato da Jack.

Adam Tarlin, detto Baltimore Jack, aveva ispirato e toccato la vita di moltissime persone, la sua dedizione al cammino era profonda, proprio come il suo desiderio di aiutare le persone ad affrontarlo.

Un uomo saggio e buono che ha lasciato una traccia indelebile sull’Appalachian Trail, dopo la sua morte in molti punti di sosta si trovano foto e targhette in ricordo del suo nome.