Norvegia: in viaggio nel grande Nord!

18 marzo 2020 - 13:45

Vento del Nord

Quello che sposta i capelli e ti fa stringere le spalle, cercare il tepore della sciarpa, anche se è agosto e se la luce del sole ti toccherà per 20 orelasciando solo poche ore ad una notte indecisa.

Filetto di balena. Affondare il coltello nella carne alta, scura e polposa e farsi sorprendere dal sapore del mare.

Cigolio del legno sotto i piedi. Le travi dei pavimenti delle case cedono sotto il peso di chi le attraversa e sembrano prenderne la forma, le pareti raccontano il vento cui oppongono resistenza.

La Norvegia è questo e molto altro.

È nelle cose grandi, gli spazi immensi, il silenzio assoluto della natura incontaminata ed è nelle cose piccole, i dettagli che la rendono un Paese gentile, in cui senti la vita scorrere lenta.

Il Paese delle candele e delle decorazioni alle finestre, del tè caldo e litri di caffè sempre pronti, dei vasi di fiori colorati a impreziosire gli ingressi di case piccole e perfette.

Ritmi lenti, rispetto della natura, amore per le cose semplici. Non c’è da stupirsi se la Norvegia mi abbia rubato il cuore, troppa bellezza tutta insieme e una sensazione di pace diffusa che ti permette di coglierne ogni sfumatura.

Della immensa Norvegia ho scelto di visitare le Isole Lofoten e di percorrere poi la strada che attraversando le regioni Troms e del Finnmark, porta a Capo Nord, in un viaggio on the road di soli 8 giorni che sognavo da tempo.

Il volo interno Oslo – Evenes / Narvik (uno degli aeroporti delle Isole Lofoten) è solo il preludio della meraviglia che mi attende: il tramonto, quando sono ormai le 22.30, dura il tempo dell’intero volo.

Anche se nella seconda metà di agosto il sole comincia a tramontare prima della mezzanotte, resta comunque a lungo all’orizzonte e la notte non è mai completamente buia. Si resta sospesi sino all’alba nella luce crepuscolare.

Il primo giorno ha come destinazione Hennigsvaer, a 197 km da Bogen i Lofoten, il mio punto di partenza: un gruppo di case che definirlo “paese” pare davvero eccessivo.

Mi ha svegliata la luce dell’alba alle quattro del mattino, e l’eccitazione di essere qui mi ha impedito di riposare ancora. Il Bogen Hostel, che avevo scelto dando priorità alla posizione comoda rispetto all’aeroporto, mi ha sorpresa per le sue stanze interamente in legno poggiate su palafitte dotate di grandi finestre affacciate sul mare.

Comincia così il mio viaggio alla scoperta di questo arcipelago, formato da una moltitudine di piccole isole (di cui cinque le principali: Austvågøy, Gimsøya, Vestvågøy, Flakstadøya, Moskenesøya) caratterizzate da montagne a strapiombo sul mare e che insieme creano un paesaggio unico al mondo.

Non è soltanto la loro incredibile geografia ma è anche il meteo a decidere il viaggio: le nuvole basse coprono cime aguzze – spesso innevate – che il vento poi scopre, i raggi del sole accendono i colori che la pioggia nasconde.

Il panorama sembra cambiare continuamente, la strada ininterrotta fa dimenticare che non ci troviamo sulla terraferma e fa perdere il senso dell’orientamento.

Per pranzo mi fermo a Svolvaer, la città più antica del circolo polare artico ed una delle più affollate delle Lofoten, con i suoi quasi cinquemila abitanti.

In un bar con veranda che affaccia sulla piazza principale si può mangiare un panino ad un prezzo relativamente accettabile e da lì si può poi perdere qualche minuto visitando i bellissimi negozi di arredamento, i magazzini che vendono lana di ogni colore per lavorare a maglia i famosi maglioni ricamati simbolo di questa fredda Nazione.

Per chi ne volesse approfittare, proprio dalla banchina del porto partono le escursioni in gommone per l’avvistamento delle aquile di mare (“sea eagle safari”).

Poco distante da Svolvær si incontra Kabelvag, un piccolo concentrato di Norvegia, con il suo porticciolo, la chiesa costruita interamente in legno, i giardini delle case ordinati ed abbelliti da fiori che incredibilmente resistono alle temperature solo raramente miti di queste latitudini.

Passeggiando mi imbatto in una cabina telefonica trasformata in biblioteca civica. Accesso libero e servizio gratuito: ecco le piccole cose che sanno di magia.

Prima di arrivare a destinazione, c’è tempo per lasciare la macchina a bordo strada per qualche passo in riva al mare, approfittando della bassa marea che dà vita a una spiaggia che tra poche ore scomparirà. Anche con la nebbia l’atmosfera è speciale.

Henningsvaer:

A Hennigsvaer, dove arrivo a metà pomeriggio, ho prenotato una casa color menta arredata in perfetto stile nordico (Lyndsvolbrigga): la struttura, abitata dal padrone di casa, è una palafitta su due piani sita all’estremità del paese, con una grande stufa al centro della zona giorno e cucina a vista.

Poco distante da qui è possibile visitare il campo da calcio più spettacolare del mondo: costruito su uno scoglio in mezzo al mare e in erba sintetica, non ha tribune ma, in compenso, è circondato da strutture in legno per l’essiccazione dello stoccafisso e un faro a pochi metri dal dischetto di centrocampo.

Decido di cenare presso il bed & breakfast, che accoglie solo me, e di godermi l’atmosfera magica di questi posto. Ancora una volta lascio che sia la luce a svegliarmi, intorno alle 4 e 30, quando il sole buca finalmente le nuvole e illumina il paese tanto silenzioso da sembrare deserto.

Anche la colazione è una buona occasione per conoscere meglio la Norvegia. Come sempre, l’anima di un Paese si conosce a tavola.

Il proprietario della struttura – che prepara il caffè – è un ragazzo sui 25 anni, che nonostante la timidezza si lascia fare alcune domande e mi spiega che ad Henningsvær non esistono seconde case.

Chi decide di avere una casa qui è costretto a viverci – oppure a venderla: una politica volta a combattere lo spopolamento e a preservare la vitalità di questi luoghi.

In tavola ha portato salmone affumicato, aringhe sottaceto, uova, diversi tipi di pane fatto in casa, burro (delizioso) e diverse marmellate.

Assaggio un formaggio che scoprirò poi essere elemento indispensabile nella dieta dei norvegesi: il brunost un formaggio scuro (caprino o vaccino) di siero di latte, che ha uno strano gusto di caramello.

Il secondo giorno la mia destinazione è Reine, probabilmente uno dei villaggi più noti delle Lofoten: mi aspettano 114 km di curve e molte tappe intermedie.

La prima è Haukland Beach: una mezza luna di sabbia bianchissima, tra le pendici delle montagne con pecore al pascolo a pochi metri dal mare. Tutte le sfumature del verde, dell’azzurro e del grigio sono lì, dentro quell’acqua cangiante.

La seconda è Uttakleiv beach: separata dalla prima spiaggia da una sola galleria, vi si accede a pagamento, poiché dotata di servizi igienici e campeggio. Non c’è nessuno a controllare, ma tutti pagano.

La spiaggia è immensa, circondata da montagne aguzze e prati verdissimi. Un sentiero porta sulla sommità della montagna e consente di vederla dall’alto, un altro invece collega a piedi le due spiagge.

Anche qui, sulla battigia, sventola la bandiera norvegese. Un vero must: anche il viaggiatore meno attento non potrà  non notare come ogni casa sia dotata di un’asta in cortile e come molti comuni lungo la E10 usino delimitare il proprio territorio con una coppia di bandiere all’ingresso e all’uscita del paese.

La terza tappa, raggiungibile prendendo una breve e spettacolare deviazione dalla strada principale, è Nusfjord e toglie il fiato.

Pare che questo antico villaggio di pescatori conti oggi ben 31 abitanti. In ogni caso conta una piccola pasticceria incantata, un ristorante in legno con vista mozzafiato sul porticciolo naturale, un vecchio negozio (credo abbia 130 anni!) con articoli e insegne vintage, due stabilimenti per la lavorazione del merluzzo e il sapore dei luoghi che non esistono (quasi) più.

Mi sembra il posto giusto per assaggiare una zuppa di pesce, che si rivela davvero ottima.

Lungo la strada che porta a Reine appare chiaro che il meteo non abbia nessuna intenzione di collaborare: rovesci, nebbia e vento a 40 km orari escludono la possibilità di salire sul Reinebringen, probabilmente il trekking più famoso delle Lofoten per la vista mozzafiato che riserva dalla cima.

L’escursione è in ogni caso normalmente sconsigliata ai principianti anche con buone condizioni meteo, essendo il sentiero molto ripido e poco battuto. L’atmosfera è suggestiva, ma la delusione c’è.

A pochi km da Reine si trova il paesino di A. È il centro abitato più a sud delle Lofoten, dove la strada E10 finisce, e deve il suo nome all’ultima lettera dell’alfabeto norvegese.

Qui decido di prendere un sentiero che sale sulla collina a ridosso del paese, per poterlo osservare dall’alto. Salgo fin dove riesco, il terreno è incredibilmente morbido – credo anche a causa della pioggia – e ad ogni passo sprofondo e sento l’acqua inzuppare le scarpe.

Dalla sommità, lato monte scopro un lago impossibile da scorgere lungo la strada mentre guardando l’orizzonte si intravede, oltre lo stretto di Moskenesstraumen, l’isola di Vaeroya: chi ha un giorno in più dovrebbe approfittarne per visitarla.

Per la notte ho scelto la piccola isola di sakrisoy: situata ai piedi della montagna Olstind, una delle più iconiche e fotografate dell’arcipelago, ospita alcune strutture ricettive, due ristoranti e un negozio di alimentari.

Qui ci sono alcuni dei più meravigliosi Rorbuer delle Lofoten: si tratta delle tipiche abitazioni palafittiche in origine utilizzate dai pescatori norvegesi, spesso di colore rosso e qui anche color senape, oggi adibite ad alberghi.

Entrare al ristorante equivale ad essere catapultati in un altro tempo: le pareti fanno bella mostra di fotografie d’epoca e oggetti di vita quotidiana appartenenti al passato. Per cena, non senza qualche scrupolo e indecisione, scelgo di assaggiare la bistecca di balena, servita con purè di patate, insalata, salsa di lamponi e una crema pepata davvero ottima.

La meraviglia è di casa: i km, seppur tanti, non pesano mai.

Il terzo giorno la mia destinazione è Andenes,  ben 330 km in direzione Nord. Questa volta mi ha svegliata nella notte il rumore del vento, che fa scricchiolare le pareti in legno della casa. La bambina che è in me ha creduto di finire ad Oz, senza nemmeno un paio di ballerine rosse per tornare indietro.

Fuori, aria di tempesta e stoccafisso.  La E10 è un susseguirsi di tunnel, anche sottomarini, e ponti più o meno brevi da perdere il conto. Percorrere la strada e godersi il panorama vale il viaggio.

I circa 55 km che da Risoyamn, a sud dell’isola di Andoya, portano ad Andenes percorrendo la costa atlantica sono probabilmente i più emozionanti, complice il meteo: le nuvole ed il temporale si spostano ben visibili sul mare, sulla costa esce il sole e più di un arcobaleno appare e resta per molto tempo all’orizzonte.

La costa è favolosa e circa a metà percorso, nei pressi di Noss, si trova il punto panoramico di Bukkerkjerka, segnalato da una struttura in cemento lungo la Norwegian Scenic Route.

Nella roccia, in questo sito sacro per i Sami, uno studio di architetti ha installato un altare (molti scelgono di sposarsi qui), una panchina panoramica e un sentiero che porta ad un piccolo faro bianco e nero.

Prima di arrivare ad Andenes faccio sosta anche a Bleik: il paese in cui forse più di altri una vita “normale” sembra possibile. Qui si trova infatti una scuola, un centro sportivo, un golf a ridosso del mare, una grande spiaggia bianca. La vicinanza di Andenes, poi, aumenta i servizi a disposizione.

Andenes è conosciuta come il centro più importante per l’avvistamento di balene e orche. Il suo simbolo è il faro di colore rosso situato all’estremità del paese, da dove ho ammirato il tramonto.

Il Gryllfjord e l’Isola di Senja: il paradiso terrestre

Anche il quarto giorno è impegnativo: per arrivare a Tromsø è prevista una traversata in traghetto della durata di un’ora e quaranta minuti, e poi 220 km.

Il traghetto che attraversa il piccolo Gryllefjord per attraccare sull’isola di Senja fa solo due tratte al giorno e non è prenotatile (salvo che non guidiate un mezzo di più di 6 metri). Questo significa puntare la sveglia all’alba per mettersi in coda nella speranza di riuscire a salire per avere la possibilità di attraversare l’isola di Senja.

È una tappa a cui tengo molto e oggi che finalmente splende un sole senza nuvole ci tengo ancora di più.

Una volta sbarcati a Senja – molto meno turistica delle vicine Lofoten – mi appare come un’oasi di pace verde smeraldo e azzurro splendente. Qui la strada sale sensibilmente e la vegetazione è più alta e fitta.

Appena fuori dall’ennesima galleria, dopo aver costeggiato uno dei tanti laghi che ruba il verde dalle pendici, la strada piega in discesa e verso la fine della curva la vista si apre sul Bergsbotn, dove un ponte in legno a picco sul fiordo regala una vista mozzafiato.

Nessuna foto potrà mai rendere giustizia a questa meraviglia della natura, ne può rendere l’idea di cosa significhi affacciarsi su questo panorama e viverne il silenzio. Terminata la discesa troviamo un nuovo punto panoramico: Tungeneset.

Il pranzo è al sacco, in spiaggia a Ersfjord: se non fosse per la brezza artica, penserei di trovarmi alle Seychelles. Mentre addento il mio panino, con il piumino smanicato ed il cappello di lana, una famiglia con tre bambini, di origine chiaramente nordica, decide di fare il bagno.

Arrivo a Tromso in serata, di nuovo sotto la pioggia e ho giusto il tempo per un giro in centro e una cena non troppo economica. C’è da dire che il cibo è ottimo e l’atmosfera nei locali, caldi e accoglienti, irresistibile.

 

Vivere la Norvegia: attività all’aperto, cani da slitta, pic-nic lungo la strada

La prossima meta è Alta: si punta dritti dritti verso Nord per ben 309 km. Lungo la strada la vegetazione cambia, le cime si abbassano e diventano più dolci, mare e laghi si confondono.

E sembrano olio. Anche in questa regione la strada regala viste panoramiche di straordinaria bellezza. La città di Alta è una tappa d’obbligo lungo la strada verso Caponord (a meno di non voler guidare per più di 10 ore). La cittadina di per sè non è granché, ma offre diverse attività, sia lungo il fiume da cui prende il nome sia nelle foreste circostanti.

Per la notte ho scelto di soggiornare presso holmen husky ed è un paradiso: immerso nel verde, offre alloggi in tipiche tende sami dotate di caminetto e la possibilità di visitare gratuitamente l’allevamento di cani da slitta (94 husky adulti e 32 cuccioli).

I ragazzi che gestiscono la struttura si occupano dell’addestramento e insegnano agli ospiti come approcciarsi e comportarsi con questi animali, tanto amorevoli quanto selvaggi.

Curato in ogni dettaglio, arredato in perfetto stile nordico e con ampie zone relax, questo albergo ha superato ogni aspettativa.

 

L’emozione più grande: arrivare a Capo Nord

Il sesto giorno, dopo una abbondante colazione, si parte. A Capo Nord mancano ormai soltanto 235 km. Splende il sole e prego che resti fino a sera.

La prima tappa della giornata è l’Alta Museum: un percorso di 3 km immerso nel verde e che costeggia il mare, che consente di osservare incisioni rupestri scoperte soltanto negli anni ‘70. Merita.

Intanto l’ansia di arrivare nel punto più alto d’Europa comincia a farsi sentire: i cartelli sono sempre più frequenti e l’emozione cresce. Mano a mano che scorrono i km la vegetazione si abbassa e cominciano a intravedersi le prime renne.

Finalmente, si lascia la terra ferma per attraversare il tunnel che porta sull’isola di Mageroya, alla cui estremità si trova Capo Nord.

Il tunnel è lungo 6780 m e scende sino a 212 m sotto il livello del mare.

L’isola sembra un posto incantato, semi deserto fatta eccezione per le renne, che diventano sempre di più e attraversano la strada. Poi, verso le cinque di questa giornata pazzesca e indimenticabile, eccomi arrivata e sono piena di gratitudine.

In pochi hanno la fortuna di intraprendere questo viaggio e arrivare a Capo Nord trovando non soltanto il sole ma anche l’arcobaleno.

Ed era talmente bello, questo grande mappamondo a picco sul mare, che siamo tornati per vederlo al tramonto. Uno dei più emozionanti (e freddi) di sempre.

Dormire a Skarvåg – a soli 20 minuti da capo nord – si è rivelata un’ottima scelta. Dato che l’accesso alla scogliera non è gratuito (anzi!) permette di sfruttare il prezzo del biglietto e tornare sul punto più alto dell’Europa continentale in diversi momenti della giornata (e così con luce diversa e meteo a favore). Il pass infatti dura 24 ora (o, pagando un sovrapprezzo, 48). Certo, è importante organizzarsi per la cena.

Altrimenti finirete per spendere (come me) 17 euro per una pizza. A caponord.

 

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