Carnia, crocevia di genti e culture

18 marzo 2020 - 10:16

Qualcuno dice che la Carnia è un grande villaggio, dove i piccoli paesi, disseminati fra le verdi vallate cui fanno da corona selvagge pareti dolomitiche, sono come frazioni, ciascuno con le proprie peculiarità e tradizioni, ma tutti permeati da una comune atmosfera, qualcosa d’impalpabile che però manifesta, fin dal primo approccio, il carattere unico di questa terra e dei suoi abitanti. Forse quella che si respira è semplicemente “aria di Europa” visto che queste montagne, estrema propaggine nordoccidentale del Friuli, sono da sempre luogo di transito, scontro e incontro dei popoli e delle culture del Vecchio Continente. Basta passeggiare per le vie di Tolmezzo, adagiato nell’ampia conca del Tagliamento, dove confluiscono le principali valli della Carnia – i “canali”, come li chiamano qui – per percepire l’influenza del mondo mediterraneo nei segni lasciati dalla dominazione veneziana, ai quali si affiancano però stili architettonici e artistici che rimandano chiaramente ai costumi e alla tradizione mitteleuropea.
La porta dell’Europa
Il destino di questa regione come crocevia di popoli e culture è segnato fin dai tempi più antichi. Le prime popolazioni ad insediarsi in zona furono probabilmente di origine etrusca, poi soppiantate da etnie celtiche (i Gallo Carni da cui l’area prese il nome). Fu però l’abilità ingegneristica dei romani a trasformare la Carnia in quella che, per molti secoli, sarebbe rimasta una delle principali “porte delle Alpi”. Qui, infatti, transitava l’ardita via Julia Augusta, che, risalendo la Valle del But (o meglio, il Canale di San Pietro, per usare la denominazione locale) varcava il Passo Monte Croce Carnico, collegando la città di Aquileia con i territori del nord Europa. Della struttura originaria della strada sono oggi ancora visibili alcuni tratti, come quello che affiora nei pressi di Passo Monte Croce. Ma della presenza romana rimangono anche vestigia più significative. Nel paese di Zuglio, l’antico Iulium Carnicum, i resti dell’imponente foro raccontano la prosperità di un territorio che non fu solo luogo di transito e strategico baluardo militare, ma anche centro economico e turistico. Qui, infatti, le famiglie patrizie di Aquileia venivano in “villeggiatura” per godere delle qualità curative della Fons Putens, la fonte che ancor oggi alimenta le Terme di Arta. Nelle epoche successive eserciti e popoli continuarono a percorrere la via aperta dai romani, alcuni diretti verso mete lontane, altri con l’intenzione di stanziarsi proprio fra queste valli, dando vita ad un crogiuolo unico di tradizioni e culture.
Piccoli mondi antichi
Ciascun “canale” della Carnia – dalla Valle del Tagliamento a quella di Chiarso, passando per la Val Pesarina, la Val Calda e quelle di Degano e del But – racchiude un suo mondo di tradizioni e leggende che meritano di essere scoperte passo a passo, soffermandosi fra le contrade e le piazze dei paesi, gustando i sapori dell’enogastronomia locale o camminando sui sentieri. Ma forse uno dei luoghi più rappresentativi dello “spirito carnico” è la piccola Val Lumiei, dove sorge il paesino di Sauris, affacciato sulle sponde dell’omonimo lago. Secondo le tradizioni popolari, fondatori del paese furono due soldati germanici, che, stanchi degli orrori della guerra, trovarono rifugio in questa valle impervia e isolata. Probabilmente la storia non andò esattamente così, ma la leggenda, come spesso accade, nasconde un fondo di verità, perché i primi abitanti di Sauris giunsero proprio dal nord delle Alpi, forse da dalla vicina Carinzia, e si stabilirono qui attorno al 1200. A testimonianza di questa origine restano la parlata locale, dove è evidente l’influenza del tedesco antico, le tipiche case in legno con tetti in scandole (perfettamente conservate) la cucina, i prodotti tipici, l’artigianato e le numerose tradizioni autoctone, ancora oggi vivissime e rimaste pressoché immutate per sette secoli, come il culto di Sant Osvaldo di Nortumbria, tipico del Nord Europa, o le celebrazioni del Natale e dell’Epifania, quando giovani e adulti percorrono il paese eseguendo antichi canti augurali natalizi (i Canti della Stella, Stearnliedlan) in tedesco antico, italiano e latino.

Abitare la tradizione
Gli abitanti di Sauris sono rimasti tenacemente ancorati alla loro cultura e al loro territorio, conservandone l’essenza senza
però rinunciare a farne una fondamentale risorsa turistica. L’uovo di colombo è stato l’adozione del sistema dell’albergo diffuso, una formula di ospitalità ideale per le piccole realtà come quelle dei paesi montani, nella quale, invece di creare grandi e invasive strutture ricettive, vengono valorizzate e adibite al soggiorno degli ospiti proprio le costruzioni caratteristiche, cascine, case e baite, che sono una parte fondamentale del fascino del luogo. Il verbo che più si adatta all’albergo diffuso è “abitare”, piuttosto che “alloggiare”. Dormire in una casa di pietra di Sauris, accendere la stufa a legna, uscire la mattina sul ballatoio per respirare l’aria frizzante di montagna godendosi la vista sul lago, per poi incamminarsi fra le vie del paese, far visita ai numerosi laboratori artigiani, al museo etnografico, oppure dedicarsi ad una giornata di sport e relax significa, infatti, entrare un po’ a far parte di questa piccola comunità, vivere gli stessi ritmi e capirne lo stile di vita. Ogni stagione è buona per un’esperienza di questo genere, ma l’inverno è probabilmente il momento migliore per chi vuole carpire lo spirito più autentico del luogo. Quando la neve copre il villaggio e attutisce i suoni, sembra davvero di poter fare un viaggio di secoli a ritroso nel tempo e, affacciandosi alla finestra, può ancora capitare di scorgere al limitare del bosco la sagoma sfuggente degli sbilf, i misteriosi folletti che secondo le tradizioni popolari vivono da sempre fra le montagne della Carnia.

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