Ciao Walter!

18 marzo 2020 - 10:03

Ecco un estratto dell’articolo su Walter Bonatti di Michele Dalla Palma.

Leggetelo e scaricatelo per intero qui.

Scaricate qui l’articolo con l’intervista a Walter Bonatti

Ciao Walter,
da qualche tempo mi frullava per la testa un tarlo insistente che mi diceva di chiamarti, anche solo per un saluto e sentire come stai.

E poi magari fare un salto nel tuo rifugio, quel piccolo paradiso sulla costa accarezzata dall’ultimo sole anche quando giù in valle è già buio, che guarda,
con la distaccata arroganza di chi sa di essere “sopra”, la confusione frenetica della Valtellina intrappolata tra rocce e laghi.

Quella vecchia baita che hai fatto rivivere, e che consideri, me l’hai detto spesso, il centro del mondo… quante volte la tua voce impeccabile e calda, riverberata
dai legni antichi della vecchia cucina, mi ha fatto immaginare frammenti di vita e di universi forse scomparsi, forse esistiti solo nella tua capacità di vedere oltre il vetro opaco della realtà.

Le maledette urgenze della quotidianità mi hanno sempre costretto a rinviare, a dirmi “ti chiamo domani…”, ma adesso non c’è più tempo, però voglio raccontartelo, questo piccolo grande segreto che mi porto dentro.
Io volevo essere Walter Bonatti.
La montagna si è presa molto del mio tempo e delle mie emozioni, fin da quando, bambino, dalla casa con le imposte rosse sul limite del bosco mi avventuravo
alla scoperta dell’universo straordinario della foresta. E poi ancora più in alto, dove il mugo lascia spazio alle rughe di calcare grigio delle muraglie rocciose.

Nella mia infanzia, vissuta prima della rivoluzione tecnologica che ha virtualizzato ogni emozione, i giochi dei piccoli erano ingenue ripetizioni della realtà. L’imitazione del lavoro e delle occupazioni degli adulti, le storie dei nonni, che raccontavano
quasi sempre di una guerra patita tra quelle montagne, e poi le leggende degli indiani e dei cowboys, il mito della frontiera americana che ha plagiato la mia generazione.
E già si avvertivano, in quei primi anni Sessanta, i sintomi di ciò che, entro breve, avrebbe stravolto l’immaginario collettivo.

Gli ancora timidi segnali dell’era mediatica dilatavano i confini della fantasia. Ricordo una grande scatola troneggiare sopra il cassettone, nel “tinello”. Un oggetto tetro, di legno scuro appena venato di riflessi sulla vernice lucida, come i mobili imponenti della camera dei nonni; un totem intoccabile impreziosito da un filetto dorato e due grandi manopole color avorio. Era per i miei occhi di bambino uno strumento di magia.

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