Esplorazioni verghiane

18 marzo 2020 - 10:24

La letteratura ha insegnato per secoli a viaggiare, o meglio, ha
consentito a tante persone di esplorare luoghi lontani tra pagine
ricolme di mirabolanti descrizioni: romanzi, storie, racconti, novelle,
hanno così tracciato percorsi ideali attraverso cui intere generazioni
di lettori hanno imparato a muoversi con disinvoltura. Facendo
esclusivamente leva sulla forza della parola scritta, palazzi, strade,
città, si sono così materializzate su di una mappa di luoghi suggerita
idealmente dall’autore. Ci sono scrittori che, negli anni, si sono
impossessati di determinate realtà geografiche per rimodellarle,
plasmarle e restituirle cariche di specificità artistiche non più
scindibili dal modello originario. È il caso, per esempio, della costa
orientale della Sicilia: già conosciuta attraverso la letteratura
classica di Eschilo e Pindaro, ma “rimessa in vita”, in tutta la sua
brutale drammaticità, dalla penna di Verga, uno scrittore in grado di
tracciare narrazioni-descrizioni degli scorci più suggestivi di questo
pittoresco angolo dell’isola. Così, il lento decadimento della famiglia
dei “Malavoglia”, assume delle precise connotazioni geografiche: “Un
tempo erano stati numerosi come i sassi della strada vecchia di Trezza,
ce n’erano persino ad Ognina, e ad Aci Castello, tutti buona e brava
gente di mare, proprio all’opposto di quel che sembrava dal nomignolo”.
L’intero romanzo è dunque ambientato ad Aci Trezza, un piccolo paese di
pescatori vicino Catania contraddistinto da luoghi tipici ancora
riconoscibili: le strade coperte di polvere, il porticciolo, la piazza,
l’osteria, la Casa del Nespolo; luoghi presi in prestito da Verga per
sorreggere casa, lavoro e famiglia, i tre capisaldi che puntellano il
suo poetico “ideale dell’ostrica”. Da Aci Trezza spostiamoci nella
vicina Vizzini, in piazza Umberto, per affacciarci, dal balcone della
casa di Verga, verso quei luoghi che hanno fatto da sfondo a buona
parte della sua produzione letteraria; attraverso le pagine del “Mastro
Don Gesualdo” ci avventuriamo così tra luoghi più adatti a celebrare le
aspirazioni sociali del muratore “verghiano”: in via Santa Maria dei
Greci, incontriamo il Palazzo Trao-Ventimiglia, ragguardevole esempio
di architettura tardo-barocca, dal quale “al di sopra del cornicione
sdentato, si vedevano salire infatti, nell’alba che cominciava a
schiarire, globi di fumo denso”; poco distante ecco la casa di Mastro
Don Gesualdo in cui “si vedeva tuttora l’arco dipinto a donne nude e a
colonnati, come una cappella”. Ma Vizzini è anche lo scenario su cui si
dipanano le rocambolesche avventure di Lola, Alfio e Turiddu i
personaggi principali di “Cavalleria Rusticana”. Il sipario si leva in
via Volta, sulla finestrella da cui ogni sera Lola amava ascoltare
“nascosta dietro il vaso di basilico, e si faceva pallida e rossa”, e
da dove “un giorno chiamò Turiddu” per finire schiava di un peccaminoso
e tragico tradimento. Avendo violato il codice non scritto dell’onore,
caratteristico della tradizione arcaica siciliana, Turiddu è sfidato a
duello da Alfio tra le tavole e le botti gonfie di vino dell’osteria
della Gna’Nunzia, ben riconoscibile ancora oggi in piazza Santa Teresa;
qui, secondo la fantasia verghiana, i due contendenti si sarebbero
scambiati il terrificante bacio della sfida. Una sfida che si
concretizza al riparo da occhi indiscreti tra le umili costruzioni di
un antico borgo di conciatori poco distante da Vizzini: “prima di
giorno si prese il suo coltello a molla, che aveva nascosto sotto il
fieno, quando era andato coscritto, e si mise in cammino pei
fichidindia della Canziria”. Un luogo che fa la sua comparsa anche in
“Jeli il pastore” grazie alla pendice brulla immaginata da Verga quale
scenario ideale per accogliere le immense macchie biancastre delle
mandrie di Mazzarò.

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