Era il 1985, periodo in cui andavo randagio per i continenti a caccia di montagne; da due mesi vagavo nel cuore delle Ande peruviane, e al ritorno dalle mie scorribande in alta montagna mi rifugiavo a Hyungay, minuscolo villaggio ai piedi dello Huascaran, nella povera ma accogliente dimora di Lula, imponente matrona india che offriva vitto e alloggio ai pochi alpinisti che allora si avventuravano in quelle terre di frontiera.Mi ero affezionato alla vecchia andina come a una seconda mamma, ma venne anche per me il momento di tornare alla realtà, e rimasi stupito sentendo Lula rifiutare il denaro che le offrivo per l’accoglienza che mi aveva dato.“Dejame la mochila…” Non capivo il significato di quella richiesta – lasciami lo zaino! – cosa poteva mai farsene una vecchia campesina di un enorme zaino da spedizione?Lula intese il mio dubbio: “Si tengo una mochila, un dia me voy de aquì por conoscer el mundo…”Le brillavano gli occhi mentre guardava oltre i profili insuperabili della Cordillera Negra; nella sua immaginazione, bastava uno zaino per sognare di partire alla scoperta di nuove realtà, lontane da quel microscopico universo immobile nel cuore delle Ande.Da allora, non sono più riuscito a guardare uno zaino come un semplice sacco di tessuto, e spesso, osservandoli sulla schiena di sconosciuti che incrocio lungo sentieri impervi tra le rocce, appoggiati nella polvere, in attesa di un passaggio, sulle strade polverose di paesi lontani o stipati in una corriera piena di gente, cerco di immaginare quali fantasie contengano… Perchè prima ancora di essere un magnifico attrezzo tecnico, lo zaino è un contenitore di sogni, fantasie, imprese immaginate… e solo poi quello strumento capace di contenere tutte le sicurezze – oggetti, alimenti e feticci – che rappresentano il nostro corredo personale (ognuno ha le proprie fisime) per affrontare l’avventura!