Porfido, da dove viene?

18 marzo 2020 - 10:23

In Trentino, l’estrazione del porfido rappresenta una delle anime
economiche e sociali della val di Cembra e costituisce, insieme al
vino, la più importante attività lavorativa della zona.
Questa pietra è un pregiato materiale per pavimentazioni e
rivestimenti, conosciuto fin dai tempi delle civiltà assiro-babilonesi
ed egiziane; il nome deriva dal latino porphyra che definisce il suo
caratteristico colore rosso-bruno. Nell’antichità questa pietra, con
cui furono edificati anche i palazzi e i sepolcri degli imperatori
romani da Nerone a Diocleziano e Costantino, proveniva unicamente da
alcune cave situate nel deserto egiziano. In Trentino, anche grazie
alla facilità con cui si ottengono lastre di spessore contenuto, fu
usato inizialmente come copertura per i tetti degli edifici, e già nel
1600 negli “Statuti della Comunità di Pinè” la sua estrazione era stata
regolamentata e tassata. Impiegato anche per i pavimenti di cucine e
aie, alla fine dell’Ottocento, in forma di cubetti, divenne il
materiale più ricercato per la pavimentazione delle principali strade,
che ancora oggi sono ancora perfettamente lastricate con le pietre
originali. I cubetti di porfido della val di Cembra da allora hanno
fatto molta strada, e impreziosiscono le vie e le piazze di Roma, di
Milano e di molte importanti città europee. Le cave della zona sono
tutte a cielo aperto, e dopo una fase di grande espansione, negli anni
‘60/70, oggi da parte dei cavatori e delle amministrazioni locali c’è
una grande attenzione per l’equilibrio tra l’attività estrattiva e le
caratteristiche naturalistiche dell’area, tra le più suggestive e
interessanti della media montagna trentina. Le cave dismesse vengono
ripristinate, riportandole in alcuni casi quasi allo stato originale
mediante l’accumulo degli scarti di lavorazione del minerale, che poi
vengono ricoperti di terra e rinverditi con prato e alberi. Questi
lavori di ripristino sono interamente finanziati dai cavatori,
vincolati a rispettare una percentuale prestabilita tra volumi di
materiale estratto e aree da riportare allo stato naturale.

Un Marchio di Qualità
Oggi nell’area tra Albiano, Fornace e Pinè sono attive un centinaio di
aziende estrattive, e da trent’anni l’Ente Sviluppo Porfido E.S.PO.,
che riunisce e rappresenta oltre il 70% della produzione, è punto di
riferimento e volano di iniziative per divulgare la conoscenza e
l’utilizzo di questa importante risorsa. Convegni e partecipazione a
fiere internazionali, promozione delle nuove tecnologie,
razionalizzazione del lavoro e salvaguardia dell’ambiente sono alcuni
degli aspetti curati dall’ente, che si dedica soprattutto al controllo
sistematico della qualità, con la creazione del marchio “Porfido
Trentino Controllato”, conforme alle più recenti norme comunitarie.
Storia di un cubetto di porfido
Chiunque ha camminato sopra una strada lastricata dai caratteristici
cubetti di porfido (chiamati sanpietrini, porfidini e con molti altri
appellativi), ma vi siete mai chiesti quante storie hanno vissuto
quelle pietre per arrivare lì? 260.000 milioni di anni fa, nel cuore
della regione dolomitica un’importante attività eruttiva fece emergere,
rompendo i banchi di calcare superficiali, la “piattaforma porfirica
atesina”. Lo strato magmatico, solidificandosi, si fessurò
verticalmente, e oggi quelle pietre, disposte come pagine di un libro,
rappresentano una preziosa risorsa naturale. Di spessore variabile, le
lastre vengono distaccate (un tempo con leve di legno e metallo, oggi
con mezzi meccanici ed esplosivi), e portate, in base allo spessore e
alla qualità, ai vari banchi di lavorazione. Tutte le fasi della
trasformazione si svolgono nella cava, e quando ne esce il minerale è
impacchettato e pronto per la posa in opera. Le lavorazioni, anche le
pochissime non realizzate manualmente, sono eseguite da personale
specializzato. E quante mani passa il cubetto, prima di diventare parte
dell’ambiente cittadino! Dapprima le lastre, irregolari e con i lati di
50/60 centimetri e uno spessore di 10/15, vengono “aperte”: il tocco
esperto dell’uomo, spesso con un unico colpo del martello appuntito,
riesce a separare le singole lastre, e nessuna tecologia riuscirebbe a
far meglio. In base agli spessori ottenuti, vengono destinate a
diventare mattonelle (tagliate e rifinite meccanicamente), lastre
asimmetriche (che rimangono allo stato naturale) e pezzi da cui
ricavare i cubetti. Altre mani, esperte, osservano l’andamento delle
fibre, il colore e le caratteristiche per trasformare la pietra anonima
in un cubetto regolare, che finalmente, ancora e solo grazie alla
pazienza e alla perizia dei posatori, diventerà piazza, marciapiede,
parco. Contraddistinti dalla forza grezza e dai cromatismi del porfido.

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