In Trentino, l’estrazione del porfido rappresenta una delle anime economiche e sociali della val di Cembra e costituisce, insieme al vino, la più importante attività lavorativa della zona. Questa pietra è un pregiato materiale per pavimentazioni e rivestimenti, conosciuto fin dai tempi delle civiltà assiro-babilonesi ed egiziane; il nome deriva dal latino porphyra che definisce il suo caratteristico colore rosso-bruno. Nell’antichità questa pietra, con cui furono edificati anche i palazzi e i sepolcri degli imperatori romani da Nerone a Diocleziano e Costantino, proveniva unicamente da alcune cave situate nel deserto egiziano. In Trentino, anche grazie alla facilità con cui si ottengono lastre di spessore contenuto, fu usato inizialmente come copertura per i tetti degli edifici, e già nel 1600 negli “Statuti della Comunità di Pinè” la sua estrazione era stata regolamentata e tassata. Impiegato anche per i pavimenti di cucine e aie, alla fine dell’Ottocento, in forma di cubetti, divenne il materiale più ricercato per la pavimentazione delle principali strade, che ancora oggi sono ancora perfettamente lastricate con le pietre originali. I cubetti di porfido della val di Cembra da allora hanno fatto molta strada, e impreziosiscono le vie e le piazze di Roma, di Milano e di molte importanti città europee. Le cave della zona sono tutte a cielo aperto, e dopo una fase di grande espansione, negli anni ‘60/70, oggi da parte dei cavatori e delle amministrazioni locali c’è una grande attenzione per l’equilibrio tra l’attività estrattiva e le caratteristiche naturalistiche dell’area, tra le più suggestive e interessanti della media montagna trentina. Le cave dismesse vengono ripristinate, riportandole in alcuni casi quasi allo stato originale mediante l’accumulo degli scarti di lavorazione del minerale, che poi vengono ricoperti di terra e rinverditi con prato e alberi. Questi lavori di ripristino sono interamente finanziati dai cavatori, vincolati a rispettare una percentuale prestabilita tra volumi di materiale estratto e aree da riportare allo stato naturale.
Un Marchio di Qualità Oggi nell’area tra Albiano, Fornace e Pinè sono attive un centinaio di aziende estrattive, e da trent’anni l’Ente Sviluppo Porfido E.S.PO., che riunisce e rappresenta oltre il 70% della produzione, è punto di riferimento e volano di iniziative per divulgare la conoscenza e l’utilizzo di questa importante risorsa. Convegni e partecipazione a fiere internazionali, promozione delle nuove tecnologie, razionalizzazione del lavoro e salvaguardia dell’ambiente sono alcuni degli aspetti curati dall’ente, che si dedica soprattutto al controllo sistematico della qualità, con la creazione del marchio “Porfido Trentino Controllato”, conforme alle più recenti norme comunitarie. Storia di un cubetto di porfido Chiunque ha camminato sopra una strada lastricata dai caratteristici cubetti di porfido (chiamati sanpietrini, porfidini e con molti altri appellativi), ma vi siete mai chiesti quante storie hanno vissuto quelle pietre per arrivare lì? 260.000 milioni di anni fa, nel cuore della regione dolomitica un’importante attività eruttiva fece emergere, rompendo i banchi di calcare superficiali, la “piattaforma porfirica atesina”. Lo strato magmatico, solidificandosi, si fessurò verticalmente, e oggi quelle pietre, disposte come pagine di un libro, rappresentano una preziosa risorsa naturale. Di spessore variabile, le lastre vengono distaccate (un tempo con leve di legno e metallo, oggi con mezzi meccanici ed esplosivi), e portate, in base allo spessore e alla qualità, ai vari banchi di lavorazione. Tutte le fasi della trasformazione si svolgono nella cava, e quando ne esce il minerale è impacchettato e pronto per la posa in opera. Le lavorazioni, anche le pochissime non realizzate manualmente, sono eseguite da personale specializzato. E quante mani passa il cubetto, prima di diventare parte dell’ambiente cittadino! Dapprima le lastre, irregolari e con i lati di 50/60 centimetri e uno spessore di 10/15, vengono “aperte”: il tocco esperto dell’uomo, spesso con un unico colpo del martello appuntito, riesce a separare le singole lastre, e nessuna tecologia riuscirebbe a far meglio. In base agli spessori ottenuti, vengono destinate a diventare mattonelle (tagliate e rifinite meccanicamente), lastre asimmetriche (che rimangono allo stato naturale) e pezzi da cui ricavare i cubetti. Altre mani, esperte, osservano l’andamento delle fibre, il colore e le caratteristiche per trasformare la pietra anonima in un cubetto regolare, che finalmente, ancora e solo grazie alla pazienza e alla perizia dei posatori, diventerà piazza, marciapiede, parco. Contraddistinti dalla forza grezza e dai cromatismi del porfido.