Attestata la presenza dell’uomo fin dal Neolitico, nel territorio di Turi s’insediarono successivamente piccoli abitati nella prima Età del Ferro e quindi un insediamento peuceta, che secondo alcuni storici sarebbe da identificare con la Thuriae menzionata da Tito Livio.
Mancano notizie certe di Turi in epoca romana, quando la città risulterebbe abbandonata, anche se è documentata l’esistenza di un paio di grandi ville rustiche, abitate già dall’età repubblicana. La fondazione dell’attuale abitato risalirebbe, secondo le risultanze archeologiche, al periodo bizantino.
Un castello normanno vi fu eretto da Thomas de Fraxeneto, primo signore di Turi. Dell’antica fortificazione normanna restano, inglobate nell’attuale Palazzo Marchesale, due torri e un paramento murario, risalenti al XII secolo. Passata sotto la giurisdizione del vescovo di Conversano, Turi seguì quindi le vicende dei centri vicini, passando sotto varie dominazioni, dagli Acquaviva della contea di Conversano, ai Caracciolo, ad altre famiglie nobili quali i Moles, che nel Cinquecento ampliarono l’originario castello, e i Venusio, di Matera, ai quali va fatta risalire la costruzione, nel corso del Settecento, del Palazzo Marchesale.
Per quanto riguarda la storia contemporanea, Turi è nota per aver ospitato nel suo carcere, durante il regime fascista, Antonio Gramsci e Sandro Pertini.
Muovendo da Largo Marchesale, si oltrepassa l’ampio portale del Palazzo Marchesale – uno degli edifici più significativi della città, edificato in forme settecentesche su un castello normanno-svevo – e ci si trova, in Piazza Capitano Giuseppe Colapietro, già nel centro storico della cittadina, interessante per i suoi vicoli, gli archi, gli slarghi, le scalinate, e la pavimentazione lastricata di chianche.
Al centro della piazza, nella pavimentazione, è inserito un tondo che riproduce lo stemma cittadino – un toro sotto una quercia – e gli stemmi dei casati dei Frassineto, dei Moles e dei Venusio, legati alla storia di Turi. All’estremità destra della piazza ci s’immette in Via San Pietro dove, su un muro di pietra, sopravvivono ancora degli anelli di ferro usati per legare le cavalcature; dopo un breve tratto si giunge a un minuscolo slargo dove si retrocede, a sinistra, per Via San Paolo, incontrando una prima edicola votiva. Percorsa in tutta la sua lunghezza la stretta via, si sottopassa, a destra, l’Arco Palmisano, dal nome di un’altra strada che qui converge, e poco dopo si è in Piazza Gonnelli, dove si affaccia l’omonimo palazzo, ora sede della Biblioteca Comunale, e dove era il Sedile, nome con il quale in passato si indicava il Comune.
Di qui si può effettuare una breve deviazione, a sinistra, per raggiungere la Chiesa di Santa Chiara, costruita tra il 1623 e il 1631, assieme all’annesso convento di clausura per le monache dell’Ordine. All’interno una tela di Fedele Fischietti (1734-1789) raffigura la santa mentre mette in fuga i saraceni; copia di un’opera del celebre Francesco De Mura (1696-1782) conservata nella Basilica di Santa Chiara di Napoli.
Interessata da un crollo nel 1949, la chiesa fu in breve tempo restaurata e riaperta al culto nel 1954. Tornati in Piazza Gonnelli, si prosegue per la larga Via del Sedile, fino a incontrare, sulla sinistra, Via Chiesa. Poco dopo averla imboccata, la si abbandona, prendendo, a sinistra, Via Forno Comunale – oltre questa, nell’abitato esistono altre strade intitolate ai forni, come Via Forno De Bellis, e Via Forno D’Addante. Via Forno Comunale è, però, particolarmente interessante perché vi s’incontrano varie testimonianze lapidee, inserite nelle murature.
La prima, in una rientranza all’inizio della strada, è un lungo blocco di pietra, forse materiale di reimpiego, che porta incisa la data del 1583. Più avanti, sul cantone d’angolo con Via Rosario, è incisa, invece, la data 1765. Poco oltre, in alto a sinistra, un’altra epigrafe, di difficile interpretazione, attesterebbe, secondo alcuni, l’esistenza di un’antica chiesa. Infine, in un piccolo slargo in corrispondenza di Via Gonnelli, si scorge, parecchio in alto, quello che appare come uno stemma.
A questo punto, prima di proseguire lungo il percorso, si può andare ancora un po’ avanti, superando la bella balconata di Palazzo Gonnelli e raggiungendo la minuscola Piazza Francesco Raffaele Curzio (1822-1901), un garibaldino, ritratto da una lapide sulla facciata della sua casa natale. Di fronte, una bianca costruzione con una doppia balconata, è la parte posteriore del Convento di Santa Chiara, mentre, pochi passi più oltre, si scorge il possente camino di un forno.
Ritornati quasi di fronte a Via Gonnelli, si sottopassa il basso Arco di Mastronatale e si giunge in Piazza Antico Ospedale. Di qui, invece di uscire sulla strada che circonda il centro storico, s’imbocca, a destra, Via San Vito, in fondo alla quale, all’angolo con Via Chiesa, s’incontra un’architrave con la data 1584 e poco oltre, già di fronte alla Chiesa Matrice, nell’angolo della costruzione di fianco, un’altra ancora, sulla quale sono incisi due pesci che si fronteggiano. Su Piazza Chiesa si apre la Chiesa Santa Maria Assunta, del XVI secolo ma con rifacimenti ottocenteschi, sormontata da un campanile settecentesco.
All’interno, due sculture di Stefano da Putignano (circa 1470 – circa 1539), la Vergine con Bambino e la Trinità, e la cappella privata della famiglia Moles, dedicata ai Santi Cosma e Damiano. Di qui, da Piazza Chiesa, si raggiunge la vicina Piazza Silvio Orlandi, dove, se ci si vuole concedere una pausa, si può assaggiare al Caffè Iacovazzi, un dolce tipico di Turi, la Faldacchea: pasta di mandorle lavorata con tuorli d’uova, la cosiddetta pasta reale, Pan di Spagna e amarene; il tutto ricoperto dalla glassa, ottenuta dall’albume, o da cioccolata, o da zucchero. Pare che la ricetta di questo dolce sia d’origine monastica e sia stata appresa, tanto tempo fa, da una lavorante di Turi, a servizio in un convento di suore; è un dolce che si può trovare anche presso la Dolciaria Aurelia, nella non distante Via Vincenzo Orlandi.
A questo punto ci si avvia per Via XX Settembre, lungo la quale s’incontra il Municipio, già Collegio dei Padri Scolopi, del 1645, e si raggiunge, all’inizio di Piazza Caracciolo, la Chiesa di San Rocco, dell’XI-XII secolo, in stile romanico-bizantino, con aggiunte e rifacimenti nei secoli successivi (sul portale è incisa la data 1505), a due cupole in asse e con coperture piramidali, retaggio, forse, di un modello architettonico longobardo.
Attraversati i giardini di Piazza Sandro Pertini, si costeggia il Carcere Mandamentale, dove il presidente-partigiano venne imprigionato negli anni Trenta dello scorso secolo, incontrandovi Antonio Gramsci, anch’egli qui detenuto, e dove nel 1979 tornò, da Presidente della Repubblica, per rivedere i luoghi della sua detenzione. Raggiunta Piazza Aldo Moro – vi è dedicata una lapide – s’incontra la bella Torre dell’Orologio, progettata nel 1888 dall’architetto Sante Simone e inaugurata nel 1892, come ricorda un’iscrizione alla sommità. A questo punto si retrocede, imboccando Via Maggiore Orlandi, che si segue sino a intersecare, sulla sinistra, Via Nardelli, portandosi, così, in Via Giuseppe Orlandi. La si oltrepassa, e ci si inoltra per Via Madonna delle Grazie, dove, sottopassato un arco, si trova la minuscola cappelletta, del XVIII secolo, che dà il nome alla strada. Proseguendo lungo la tortuosa viuzza, si esce dal centro storico, ritrovandosi in Via Giuseppe Massari. Si costeggia, a destra, per un breve tratto il Palazzo Marchesale, tornando, così, al punto di partenza, in Largo Marchesale.
Fuori dell’abitato, infine, va segnalata, sulla strada per Rutigliano, nei pressi del Cimitero, la Chiesa di Sant’Oronzo, edificata sulla grotta nella quale il santo – secondo la tradizione, consacrato primo vescovo di Lecce da San Paolo – avrebbe trovato rifugio durante la persecuzione di Nerone. Dalla sovrastante chiesa, con tre altari, attraverso una solenne scalinata, si accede alla suggestiva grotta sottostante, ricca di concrezioni alabastrine e di un prezioso pavimento maiolicato, del XVII secolo, con raffigurazioni floreali, posto davanti all’altare del santo patrono di Turi.