Sailing in a wooden boat on the Amazon river in Peru. An indigenous girl sitting on the front of the boat whilst sailing down the river.
Il 2020 è stato uno degli anni peggiori per la conservazione della foresta amazzonica, in Brasile sono infatti spariti oltre 120.000 chilometri quadrati di area forestale.
Il dato più alto dal 2008, che dimostra l’assenza di ogni controllo da parte del Governo brasiliano sulle attività di abbattimento di alberi e foreste.
Una situazione che preoccupa le altre nazioni, visto che questa aggressione dell’ecosistema amazzonico, mette a rischio l’azione di contrasto dei cambiamenti climatici.
Una deforestazione che avanza distruggendo la più grande area verde del pianeta, un ecosistema essenziale per l’equilibrio climatico della biosfera.
Gli abbattimenti e gli incendi dolosi, appiccati per strappare terreni alla foresta da sfruttare per le coltivazioni, sono la principale minaccia.
La superficie di foresta sparita lo scorso anno rappresenta il dato più alto dell’ultimo decennio, una delle minacce più serie per la lotta al cambiamento climatico che mette in allarme il resto del mondo.
Il Governo Bolsonaro non sta mettendo in campo alcuna azione per la protezione dell’amazzonia ma, al contrario, i suoi interventi sono concentrati sul contrasto alle associazioni ambientaliste impegnate a denunciare e fermare il disboscamento.
La ragione per cui l’Amazzonia continua ad essere sotto attacco sono le coltivazioni di soia e frumento, spesso in varianti geneticamente modificate per essere più resistenti e produttive.
Ci sono multinazionali e aziende locali che sono alla costante ricerca di nuovi spazi per espandere le coltivazioni e la via per farlo e farsi largo nell’immensa foresta amazzonica.
Buona parte dei raccolti viene poi imbarcato su grosse navi cargo che partono alla volta dell’Europa e degli Stati Uniti.
Infatti la grande maggioranza di questa soia viene impiegata come mangime negli allevamenti intensivi, la domanda di questo legume è così ampia da rendere necessaria una massiccia importazione.
Inoltre in Italia e in Europa le coltivazioni dei c.d. OMG (organismi geneticamente modificati) sono vietate dalle norme comunitarie, gli allevatori quindi si rivolgono al mercato estero per trovare mangimi a basso costo per il bestiame.
Adesso però il resto del mondo inizia a preoccuparsi e occuparsi della questione, un ulteriore segnale di tensione è scoppiato nell’ultimo summit sul clima dell’assemblea delle Nazioni Unite, durante il quale erano presenti i Ministri dell’Ambiente di buona parte dei paesi industrializzati e in via di sviluppo.
Assente invece Ricardo Sales, responsabile del dicastero dell’ambiente del Governo brasiliano, che ha fatto arrivare alla riunione un messaggio in cui dichiarava la disponibilità del suo paese a raggiungere le emissioni zero di Co2 entro il 2060 solo in cambio di 10 miliardi di dollari annui di aiuti internazionali.
Questa posizione ha innervosito l’ONU, l’Unione Europea e buona parte dei leader occidentali.
Il Presidente francese Macron guiderà un summit sull’ambiente organizzato con le Nazioni Unite e ospitato dalla Francia in cui si discuterà proprio delle azioni da intraprendere per cambiare l’assurda posizione sui cambiamenti climatici del Brasile.
La situazione è tesa, tanto che l’Europa ha messo persino in discussione il trattato commerciale EU Mercosur, che disciplina e regolamenta gli scambi commerciali tra l’Europa e i paesi del sud America, tra cui proprio il Brasile.
L’obiettivo di questo accordo, stipulato nel 2019, doveva essere costruire un nuovo quadro commerciale tra le due regioni per consolidare un partenariato politico ed economico per la crescita sostenibile di entrambe le parti, nel rispetto dell’ambiente e tutelando gli interessi dei consumatori dell’UE.
Le ultime mosse del Brasile contraddicono gli impegni del trattato e, ancora di più, quelli dell’Agenda 2030 dell’ONU, che vede proprio nel contrasto ai cambiamenti climatici e nella lotta alla deforestazione due pilastri dell’azione dei paesi coinvolti.
Forse è arrivato il momento di azioni forti e concrete che cerchino di contrastare le costanti aggressioni all’ambiente perpetrare dal paese sudamericano.