La maggior parte delle strutture riapre i battenti in estate accogliendo i tanti escursionisti che raggiungono i rifugi anche solo per il piacere di gustare un piatto caldo con gli amici e condividere la passione per la natura.
Da semplice punto di appoggio per affrontare poi le grandi salite verso le cime, com’era in passato considerata questa struttura ricettiva, il rifugio si è trasformato sempre più spesso nell’obiettivo dell’escursionista. Il punto da raggiungere alla fine del sentiero, il “premio” per la fatica dell’escursione.
I trekker di oggi hanno sempre più bisogno di essere “accompagnati” sia fisicamente che con le suggestioni, verso la montagna, e il rifugio deve “accogliere” col calore dell’ospitalità montanara, insieme ai profumi, ai sapori e alle tradizioni della cultura valligiana.
Questo non significa trasformare il rifugio in un albergo di lusso o un ristorante a mille stelle, tutt’altro. Bisogna piuttosto rivalutare tutti i dettagli che rendono unico ogni rifugio, perché inserito in un contesto – paesaggistico, ambientale e culturale – altrettanto irripetibile. Il “palcoscenico” è la parte più importante del rifugio, ed è la componente che va rivalutata, anche con la capacità di chi gestisce i rifugi a fare da tramite, “cerniera”, tra i visitatori e il territorio.
Non semplice “porgitore” di generi di conforto o “custode”, ma autentico professionista dell’accoglienza, questo deve diventare il moderno gestore di rifugio. Imparando nuovamente a essere il protagonista e il “narratore” del suo territorio, piuttosto che dedicarsi a inventare soluzioni di appeal legate alla gastronomia esotica (alcuni rifugi di alta quota hanno iniziato a servire esclusivi piatti di pesce o ricette da gourmet metropolitano) o alla ricettività sempre più simile a quella di un “hotel de charme”, snaturando totalmente l’atmosfera “rustica” e calda del rifugio presente nell’immaginario dei frequentatori della montagna.
Sono perfettamente inutili, oltre che poco attraenti, queste derive verso il look moderno, perché il valore aggiunto del rifugio rimane la “suggestione” di un luogo accogliente nel cuore dell’universo montano, e non la sua similitudine forzata e innaturale con strutture ricettive dedicate ad un altro genere di turista.
Sono l’ambiente e soprattutto i sentieri che consentono di raggiungerlo i punti di forza del rifugio, sentieri che devono “raccontare”, svelare le bellezze e i segreti della montagna; e in questa ottica, la manutenzione e la valorizzazione dei sentieri che portano al rifugio devono rappresentare, per ogni gestore, non un “obbligo” ma una opportunità, unica, per attirare gli escursionisti.
Un “biglietto da visita” straordinario per anticipare le suggestioni, indimenticabili, di un soggiorno in rifugio.
I tempi cambiano, evolvono, la montagna non assolve al solo interesse sportivo-naturalistico, sono sempre di più i turisti che scelgono le Alpi e l’Appennino come destinazione delle proprie vacanze, per la qualità dell’accoglienza delle strutture ricettive e la naturalità dei sapori.
Una ospitalità non nuova a livello esperienziale, ma affinata, arricchita, perfezionata: non dimentichiamoci che storicamente i luoghi di accoglienza della montagna – in primis i rifugi del Club Alpino Italiano – sono sempre stati ospitali e rassicuranti per pellegrini, mercanti, soldati, gente comune.
Il mondo alpino non è più arroccato, isolato, il suo spazio si è allargato, ma anche nell’epoca della globalizzazione la montagna ha mantenuto quella genuinità e spontaneità che restano il suo marchio distintivo.
La vita va avanti, il tempo corre veloce, non è più il momento di un’economia ai limiti della sopravvivenza, quando le Alpi rappresentavano una risorsa importante per taglialegna, carbonai e pastori, persone di bassa cultura ma con una infinita saggezza per sfruttare le risorse della natura senza abusarne e esaurirle.
Fortunatamente la montagna non si è svuotata dei suoi contenuti più veri, non si è piegata alla logica del profitto; si è evoluta, si è migliorata, questo si, senza però perdere la sua vera natura, lo spirito di conservazione. Ha subito solo in parte le pressioni esterne, non si è conformata alle norme che regolano il turismo di massa in città o sulla costa.
Simbolo di questa montagna sono i rifugi, che oggigiorno offrono una ospitalità di qualità per una vacanza in cammino, tra natura e panorami di largo respiro. E solo nei rifugi si creano quelle atmosfere, quelle alchimie che fanno nascere l’amicizia con il rifugista, con chi ha eletto le montagne a sua dimora.
I servizi offerti nei rifugi sono migliorati, perché negarlo o non apprezzarlo?
Lo stesso Club Alpino Italiano, da quando è stato istituito il 23 ottobre 1863 a Torino, attraverso le sue dinamiche contribuisce alla frequentazione della montagna ed è protagonista di un prodotto turistico esperienziale aperto a tutti.
Le nuove leve sono sempre più informate ed esigenti, gli escursionisti chiedono un’esperienza sempre più integrata, quando decidono di trascorrere un week end al rifugio valutano anche la qualità della cucina. Attività outdoor, natura, panorami… ma con gusto. Desiderano vivere la montagna a tutto tondo!
Ad accoglierci a fine giornata c’è il gestore, figura centrale nella vita del rifugio, persona concreta e dalle tante competenze, un tuttofare capace di mettere mano all’impianto elettrico o di aggiustare una tubatura, di arrangiarsi in opere murarie e di destreggiarsi con l’arsenale della cucina, valido coordinatore dei collaboratori più stretti occupati in mansioni che talvolta si avvicinano a quelle richieste in una vera struttura di accoglienza turistica.
Per i rifugisti assolvere i compiti della loro professione, al giorno d’oggi è sempre più complesso, difficile, in costante rinnovamento.
La Commissione centrale rifugi ed opere alpine, uno degli organi tecnici centrali del CAI, coadiuvata dalle commissioni regionali, si occupa della manutenzione e del buon funzionamento dei rifugi alpini.
Il CAI è a fianco del rifugista perché non è solo un operatore della ricezione turistica, ma anche divulgatore dei valori del Club Alpino, pertanto ha molto a cuore la professionalità dei gestori dei rifugi del CAI e organizza periodicamente percorsi formativi e di perfezionamento per questa figura professionale. Basta ricordare che il Club Alpino Italiano e le singole Sezioni hanno la proprietà, o la gestione, di ben 774 strutture tra rifugi alpini e bivacchi d’alta quota, per un totale di 21.681 posti letto!
Il rifugista non deve essere solo un abile ristoratore e “albergatore” , deve conoscere le tematiche igienico-sanitarie relative alla conservazione degli alimenti freschi e alla somministrazione di cibi e bevande, sapere a livello giuridico dove arrivano le sue responsabilità e dove iniziano quelle del produttore.
La formazione e la competenza che deve avere il gestore sono davvero ampie, complete e complicate, interessando problematiche specifiche per i rifugi che agli occhi dei non addetti passano quasi inosservate.
Il gestore del rifugio è praticamente un tutto fare, deve sapere quali interventi adottare in caso di mancata erogazione di energia elettrica, deve fare fronte alle difficoltà di trasporto delle vettovaglie e dell’immondizia (ricordatevi di riportarla a valle, nei vostri zaini!), deve sapere come utilizzare l’acqua che non proviene da reti idriche controllate.
Addirittura, deve restare aggiornato sulle nuove normative emesse dalla Comunità Europea riguardanti la sicurezza, la somministrazione di prodotti locali, ecc.
Non è finita: il gestore di un rifugio deve conoscere anche le tecniche di primo soccorso, le manovre salvavita fondamentali, deve sapere utilizzare in emergenza il defibrillatore semiautomatico (se iscritto all’apposito elenco di persone abilitate all’utilizzo del defibrillatore semiautomatico).
Anche per questo il CAI, sempre lui, organizza in collaborazione con altre associazioni ed Enti (Croce Rossa Italiana, Vigili del Fuoco, Gruppo Italiano Infermieri Cardiologia, ecc) corsi finalizzati ad acquisire le conoscenze di base su come agire in situazioni di emergenza nell’ambiente montano, per soccorrere un infortunato e tentare di salvare una vita mettendo in atto manovre di primo soccorso, rianimazione cardio-polmonare e con l’impiego di un defibrillatore semiautomatico.
Quindi l’obiettivo di questi incontri di aggiornamento del Club Alpino Italiano è quello di aiutare i propri rifugisti ad ottenere competenze sempre migliori, che agevolino e semplifichino la loro professione secondo gli ultimi dettami delle leggi nazionali e regionali.
Ricordiamo che tra i compiti del Club Alpino Italiano c’è anche la gestione dei corsi di preparazione alle attività escursionistiche, alpinistiche e speleologiche, corsi di formazione professionale per esperti del Servizio Valanghe Italiano (SVI), della formazione degli istruttori e accompagnatori, della manutenzione e messa in sicurezza dei sentieri e degli operatori del Corpo Nazionale Soccorso Alpino e Speleologico (CNSAS). Insomma, non si fa mancare proprio nulla in tema di montagna…