Energia, spettro o motore del Terzo Millennio?

18 marzo 2020 - 10:13

Il trattamento delle scorie radioattive
Alcune considerazioni vanno dedicate alla gestione dei rifiuti radioattivi. Mentre in Giappone e nei Paesi occidentali lo stoccaggio di questi rifiuti viene effettuato in previsione di una loro definitiva sepoltura in siti geologici stabili, in Italia esso risulta distribuito in 146 siti provvisori.

Sull’argomento è opportuno ricordare che non tutti i rifiuti radioattivi sono dovuti alla produzione energetica, ma provengono anche da ospedali ed industrie; la gestione degli stessi, pertanto, costituisce una necessità per tutte le nazioni moderne e non soltanto per quelle dotate di centrali nucleari. Il discorso è molto diverso, evidentemente, per quanto concerne i rifiuti radioattivi dovuti agli armamenti nucleari; ma questo problema non ci riguarda in quanto non facciamo parte dei Paesi dotati di armamenti di quel genere.

Attualmente il sistema giudicato migliore per la gestione di questa specifica tipologia di rifiuti è rappresentato da siti geologicamente stabili nei quali confinarli, previa loro vetrificazione ed inserimento in appositi contenitori di acciaio a doppia parete rivestiti di rame.
In passato alcune nazioni come la Gran Bretagna utilizzavano il sistema di disperdere i contenitori in mare, sistema simile a quello utilizzato per anni dalla Svizzera che li gettava nel Lago Maggiore (che per gran parte della sua superficie si trova in Italia, n.d.r.). Recentemente, invece, era allo studio un sistema, sviluppato dal Prof. Carlo Rubbia, in fase di sperimentazione presso il Centro di Ricerca ENEA Casaccia, che avrebbe dovuto consentire di abbassare la radioattività di questi materiali, ricavandone al contempo energia, tramite loro “bombardamento” con particelle cariche. In parole povere, è come connettere un acceleratore con un impianto nucleare per la produzione energetica. Purtroppo, tale ricerca non è stata più finanziata.

Ma torniamo a discutere la problematica italiana attuale. Con esclusione di Italia e Grecia, tutti i Paesi occidentali hanno già scelto da tempo – e stanno preparandosi a renderlo operativo – un loro sito geologico nazionale. D’altra parte le normative internazionali impediscono di esportare tali rifiuti in Paesi terzi se non per un loro ritrattamento, come peraltro fa anche l’Italia mandandoli a Sellafeld in Gran Bretagna.
A questo punto due rimangono le strade praticabili: una di scegliere un nuovo sito nazionale; l’altra di aggirare le norme internazionali e conferire i rifiuti radioattivi ad un Paese terzo compiacente. Probabilmente quest’ultima corrisponde alla strada intrapresa, considerando che l’Italia ha già chiesto ed ottenuto a Bruxelles una deroga all’esportazione, sia pure con la clausola di non scegliere un Paese in via di sviluppo (si è parlato del Canada e della Russia).

I gassificatori
Valutiamo ora le altre scelte, o non scelte, energetiche. Dopo 23 anni in cui non sono più state costruite centrali elettriche di potenza, se escludiamo gli impianti che utilizzano le cosiddette “fonti alternative” (le quali più correttamente, come faceva notare il Prof. Felice Ippolito, andrebbero chiamate “fonti integrative”), il Governo Berlusconi 2 ha emanato a un Decreto Legge “sblocca centrali” che ha permesso di mettere in cantiere centrali a ciclo combinato funzionanti a gas naturale. Oggi, pertanto, noi dipendiamo dal gas naturale per circa la metà del fabbisogno energetico.
Partendo da questi presupposti e stante la criticità attuale dei rifornimenti tramite gasdotti, il Governo Prodi ha ritenuto opportuno inserire nel suo programma la costruzione di un certo numero di rigassificatori (si è parlato di dieci) allo scopo di importare gas liquefatto per rigassificarlo in loco. Purtroppo, alcuni partiti partecipanti alla coalizione di Governo hanno posto un certo numero di veti che hanno rallentato la fase operativa. A prescindere da questa contingenza, andrebbe preso in considerazione lo scenario energetico a medio termine, acquisendo la consapevolezza che i rigassificatori costituiscono una scelta vincente nel breve periodo, ma finiscono per renderci comunque dipendenti da una fonte energetica, il gas naturale, che per la maggior parte è di importazione. E ciò senza considerare i limiti imposti dal protocollo di Kyoto. Essi, quindi, andrebbero affiancati ad altre tipologie di impianti, in quanto non è pensabile che la programmazione energetica si basi solo sulla situazione contingente e non tenga conto della situazione internazionale.

Il risparmio energetico  e le fonti di energia  alternative
A parole, gli Italiani sono tutti rispettosi dell’ambiente, attenti ai consumi e pronti a fare sacrifici per il bene comune. In realtà, purtroppo, essi rivelano in genere scarso senso  civico o cercano addirittura di trarre indebiti vantaggi da iniziative volte a migliorare la situazione ambientale ed energetica. Due settori in cui quanto sopra asserito sembra emergere in maniera vistosa sono quelli del risparmio energetico (più correttamente efficienza energetica) e dell’impiego delle energie alternative. A ciò può essere aggiunto il rifiuto di qualsivoglia impianto nei pressi dei luoghi dove ciascuno vive.
Quest’ultimo atteggiamento è dovuto anche all’opera persuasoria di “opinionisti” che hanno prodotto una cultura del rifiuto che, pur presente anche negli altri Paesi, ha raggiunto in Italia livelli parossistici.

Questo comportamento ha fatto sì che il nostro Paese sia sceso all’ultimo posto, fra i 25 Paesi dell’Unione Europea, per installato nei settori del solare termico e fotovoltaico, riveli un’efficienza energetica media degli edifici estremamente bassa, inquini più degli altri Paesi dell’Unione nel produrre energia e conferisca in discarica la stragrande maggioranza dei rifiuti solidi urbani (se escludiamo la Campania che li “esporta” in Germania).

Per risparmio energetico si intende il miglioramento dell’efficienza energetica, sia in maniera passiva (come ad esempio coibentando gli edifici), sia in maniera attiva (utilizzando prodotti ad alto rendimento). Nel caso della coibentazione, in alcune nazioni, come Germania e USA, è addirittura vietato vendere o affittare abitazioni che non siano adeguatamente isolate. In Italia, nelle province autonome di Trento e Bolzano non si può ottenere l’abitabilità di nuove costruzioni se l’efficienza energetica di queste ultime è inferiore a sette (il massimo è dieci), mentre in molte regioni non è prevista alcuna forma di isolamento. Per quanto concerne gli elettrodomestici, il mercato internazionale ha portato a privilegiare quelli ad alto rendimento, mentre nel caso di lampadine, caldaie, ecc. tutto è lasciato alla buona volontà dei singoli, che spesso non si soffermano neanche a considerare il risparmio sulle bollette che possono conseguire.

Per quanto concerne gli impianti solari termici e fotovoltaici, come ha fatto notare argutamente il direttore del periodico “Energia dal Sole” Leonardo Libero, a cominciare dalla Legge 9 del 1991 sono sempre state incentivate le energie rinnovabili e assimilate. Fra le assimilate il legislatore ha compreso anche gli scarti di raffineria ed i rifiuti non biodegradabili di prodotti di derivazione petrolifera (gomme, plastiche, ecc.): il che ha portato lo Stato ad acquistare, a prezzi maggiorati, i rifiuti dei petrolieri. Questo fatto è ufficialmente riconosciuto dal 6 novembre 2003, ossia da quando è stato denunciato dalla Decima Commissione della Camera presieduta dall’On. Bruno Tabacci, il quale l’ha definita “una tassa occulta in favore dei petrolieri” e ne ha stimato la dimensione in 30.000 milioni di euro.

Ma vediamo di valutare la convenienza economica dell’energia solare. Tralasciamo i grandi impianti, il cui costo, la cui efficienza ed il cui ammortamento non possono  essere valutati e/o decisi dai singoli. Parliamo quindi di impianti domestici. Nel caso del solare termico, in pratica di pannelli destinati a scaldare l’acqua sanitaria e quella per il riscaldamento (con quest’ultima coadiuvata in alcuni casi, a seconda delle regioni, da una caldaietta), il costo di un impianto in assenza di incentivi viene ammortizzato nell’arco di circa cinque anni.
Calcolando la durata di un impianto in 35 anni ed una normale manutenzione, certamente si tratta di un investimento positivo. Diverso è il caso per gli impianti fotovoltaici, più costosi e meno efficienti, che sempre in assenza di incentivi e considerandone la durata e la manutenzione, risultano ammortizzabili in una decina di anni.
Va anche considerato che quest’altra tipologia di impianto deve essere collegata alla rete elettrica, per cui vi è un bilancio fra quanto immesso in rete e quanto prelevato; comunque sia, in generale a fine anno per l’utente questo bilancio risulta essere positivo.

Nel caso degli impianti ad energie alternative, consideriamo in questo contesto unicamente le energie “nuove”, escludendo cioè l’idroelettrico (anche se si potrebbero validamente incentivare il micro-idroelettrico), il geotermico e le biomasse in quanto già discretamente diffusi nel nostro Paese. Ultimamente sono stati costruiti anche alcuni impianti eolici, ma, come evidenziato anche dall’esperienza tedesca, con costi ed impatto ambientale molto minore potrebbe essere riconsiderata l’opzione nucleare. Va sottolineato che la produzione energetica con fonti integrative andrebbe comunque incentivata, ma non come alternativa al nucleare.

Concludiamo queste brevi considerazioni facendo notare che il costo, la disponibilità e l’inquinamento prodotti dal petrolio e derivati e dal gas naturale ci imporranno in ogni caso scelte energetiche diverse che, postponendo, diverranno sempre più dolorose.

Con i migliori saluti.

Prof. Ettore Ruberti
Ricercatore dell’ENEA, Unità Biotecnologie, Agroindustria e protezione della salute, Centro Ricerche Ambiente Marino S. Teresa. Fa parte, per conto dell’ENEA, del Forum Italiano dell’Idrogeno,

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