La vita sotto la vita:

18 marzo 2020 - 10:15

Negli anni Settanta partiva l’avventura di un gruppo di speleologi orvietani: mossi dall’amore per la scoperta, decisero d’immergersi nel sottosuolo cittadino, curiosi di sapere cosa si nascondeva dietro questo mondo sotterraneo che, dal tempo degli etruschi, pulsava di vita propria.

Questo gruppo di appassionati svolse un lavoro importantissimo, censendo più di 1200 cavità artificiali di cui la maggioranza erano cantine e condotte per l’acqua: luoghi freschi dove, fino agli anni Cinquanta, venivano conservate bottiglie di vino o derrate alimentari. Non appena giunti sul fondo, davanti agli occhi degli speleologi si apriva un mondo fatto di grotte e stanze quadrate, collegate fra loro da una serie infinita di cunicoli. Il ritrovamento ha successivamente stimolato il lavoro degli archeologi, i quali hanno identificato importanti tracce della civiltà etrusca: i progenitori dei romani avevano, infatti, scoperto nuovi sistemi per controllare il flusso dell’acqua, raccoglierla e provvedere così al rifornimento idrico delle loro città. Non a caso i pozzi etruschi sono il reperto più comune: condotti verticali il cui scopo principale era quello di recipienti dai quali attingere acqua. Sempre per le stesse esigenze idriche trovarono anche numerose gallerie coperte con lastre di tufo oppure rivestite di altri materiali.

Con il passare dei secoli questo labirinto ipogeo costruito dagli etruschi fu utilizzato per altri scopi: le condotte d’acqua rimasero al loro ruolo primario, mentre alcune stanze furono destinate alla lavorazione della ceramica, alla conservazione del grano, alla frangitura delle olive e alla produzione d’olio.

A queste funzioni se ne aggiunse una molto particolare: il ricovero per i colombi. Dall’amore che gli orvietani nutrivano verso questo animale nacquero le colombare: pareti di tufo nelle quali venivano scavati dei fori per permettere la nidificazione dei piccioni. Un volatile sacro per la città, che nel giorno di Pentecoste, gli dedica la festa della Palombella.

Continua la lettura a pag.62 del nuovo numero di Viaggia l’Italia

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