Nucleare, risorsa o speculazione?

18 marzo 2020 - 10:14

Il mio carattere guerriero, quasi sempre impulsivo, si riflette inevitabilmente anche sul modo di esprimere le mie opinioni. Eppure vorrei, per una volta, provare ad essere rilassato e obiettivo nell’analisi di un problema che rischia di condizionare in modo pesante, forse inesorabile, il nostro futuro.
Innanzitutto i fatti: i “nuovi capitani” della politica italiana urlano da ogni tribuna possibile che la scelta nucleare, per la produzione di energia, è l’unica soluzione conveniente e possibile, tacciando di disfattismo nazionalpopolare, oltrechè fasullo e “di parte”, quanti – economisti, scienziati, politici ma anche gente comune – chiedono di ragionare con calma e concretezza sulle scelte energetiche del nostro paese, che si riflettono inesorabilmente sull’economia in generale.
Probabilmente con sorpresa dei lettori di TREKKING, vorrei prescindere dagli aspetti filosofico-ambientali, su cui ognuno può avere opinioni condizionate anche dalle tendenze della propria coscienza, e che per la loro mancanza di riscontri immediatamente concreti e tangibili possono prestarsi alla fallacità dell’interpretazione.
Un’analisi onesta non può invece prescindere dalla fatidica domanda “cui prodest?”, e non è difficile intuire che la costruzione di centrali nucleari, per i costi, la durata dei lavori e la complessità delle opere, favorisca innanzitutto proprio chi le costruisce, indipendentemente dalla loro successiva resa produttiva.
Casualmente, sono sempre le grandi imprese multinazionali, affrancate da qualsiasi moralità che confligga col massimo interesse e profitto, le stesse che speculano sull’alta velocità, su immaginari ponti capaci di superare i mari, su grandi infrastrutture indispensabili e non, facendo lievitare, spesso senza limiti, tempi e costi di qualsiasi intervento. Ma siamo ancora nel campo delle illazioni, ancorchè ampiamente condivisibili se si evita di cadere nei trucchi illusionistici da sagra paesana degli imbonitori “politici”, che ben lontani dal considerare prioritario il “bene pubblico” promuovono solo gli interessi del business corporativo. Sulle pelle e con le risorse dei cittadini.
Ma accettando, nonostante le evidenze, questa motivazione – il bene e lo sviluppo della “res publica” – come motore nelle scelte della nostra politica, non si può rinunciare all’analisi economica.
Se l’energia prodotta dalla filiera nucleare fosse realmente conveniente, a dispetto dei veti tendenziosi di qualche democrazia ottusa, oggi dovrebbe essere in grande aumento.
Facilissimo scoprire che non è così!

Il nucleare attualmente soddisfa il 6,5% del fabbisogno mondiale di energia primaria, ed ha avuto, in passato, sostanzialmente due soli sostenitori: le economie speculative e le economie fortemente controllate e condizionate dallo stato; entrambe potevano permettersi l’investimento senza contraddittori, per averne un profitto immediato, senza preoccuparsi dei costi complessivi e degli eventuali danni permanenti al pianeta.

Le prime – Stati Uniti e Giappone – posseggono la metà dei reattori attualmente in funzione; delle seconde – Francia ed ex Unione Sovietica – il paese transalpino ha già da tempo imboccato la strada delle energie rinnovabili, di fatto abbandonando il nucleare e mantenendo a esaurimento le centrali ancora attive, mentre la “Grande Russia” aspetta l’inevitabile accadimento di un’altra Chernobyl per rilanciare richieste di coinvolgimento dell’economia globale nella soluzione, probabilmente introvabile, dello smaltimento dei rifiuti radioattivi.
Un conto economico onesto e attendibile non può non considerare i costi, oltre ai ricavi.
Questi ultimi, oggi, hanno un valore Kilowatt/ora tra i 3 e 4 centesimi di Euro, mentre la stessa unità di misura prodotta dal carbone costa 5 centesimi, e 6,5 e quella derivata dal gas.
Questo calcolo riguarda però, per il nucleare, solo il processo produttivo, senza considerare gli investimenti per l’installazione di una centrale atomica, oggi tra le operazioni industriali più lunghe e costose. Tuttavia i costi complessivi per la produzione del Kw/ora dal nucleare non sono neanche ipotizzabili, poichè continuano a crescere man mano che le installazioni invecchiano, e si potranno definire solo quando le scorie e le strutture della prima centrale nucleare saranno definitivamente bonificate.
A spanne, tra qualche decina di migliaia di anni!

Due esempi tra i tanti: ammonta a 635 milioni di dollari la spesa per lo smantellamento della centrale Maine Yankee, costruita trent’anni fa negli Stati Uniti con 230 milioni di dollari; la centrale finlandese di Olkiluoto costa invece 3 miliardi di Euro (contro i 2 preventivati), quattro volte la spesa per la realizzazione di una centrale a gas a ciclo combinato di pari potenza.
Un altro piccolo dettaglio sono i tempi di realizzazione: viviamo un’epoca dove l’emergenza energetica si aggrava giorno dopo giorno, col petrolio destinato a superare limiti di costo impensabili  a fronte di un immobilismo pressochè totale, per quanto riguarda le strategie politiche nostrane, nei confronti di energie rinnovabili, efficienza e risparmio energetico.
Cominciando gli studi di fattibilità domani, lavorando senza interruzioni e tralasciando il conto economico che comunque qualcuno prima o poi dovrà affrontare, una centrale nucleare italiana potrebbe iniziare a funzionare non prima di dieci anni (ovviamente senza tenere in minimo conto le proteste della cittadinanza e della politica locale contro le installazioni nei siti designati, di cui mi pare abbiamo buon esempio sulla loro efficacia osservando l’emergenza rifiuti in Campania).

Nel frattempo, chi assorbe l’aumento esponenziale dei costi dell’energia, che si rovescia su ogni attività?
Anche dimenticando che l’uranio, come ogni risorsa naturale, è destinato ad esaurirsi in tempi non particolarmente lunghi, come si giustifica, allora, la convenienza sostenuta con impeto e veemenza dai nostri “lungimiranti” tutori?
Osservando con disincanto gli show di certi politicanti, sembra di assistere allo spettacolo di quei ciarlatani dei film western che vendevano acqua e zucchero come elisir di lunga vita.
Anche l’analisi sul risparmio energetico e sull’inquinamento presenta valori desolatamente negativi: per quanto riguarda il primo problema, anche senza ipotizzare soluzioni legate alle energie rinnovabili – che pur sbeffeggiate da molti nostri “esperti” costituiscono importanti realtà in altri paesi – la strada più facile, con costi ben definiti ed effetti immediati, sarebbe favorire la cultura dell’efficienza. Questa, già da sola, supererebbe, se applicata su ampia scala, il risparmio complessivo derivato dalla produzione di energia tramite il nucleare. I costi per l’efficienza, anche ammettendo varie forme di incentivi, verrebbero inoltre in gran parte “polverizzati” su ogni cittadino, chiamato a migliorare e contenere e ottimizzare i consumi nella propria abitazione, nell’attività lavorativa, nell’uso dei combustibili fossili, e così via, evitando enormi debiti per la collettività, derivati dalla costruzione di nuovi impianti.

È arrivato, ormai da troppo tempo, il momento in cui bisogna cominciare a risparmiare, e non continuare ad aumentare i consumi!
In questo modo, purtroppo, non ci guadagna nessuno, se non l’ambiente e l’umanità nel suo complesso. E questo è inammissibile per la logica perversa del business, che vede nella promozione e realizzazione di nuovi, grandi progetti, soprattutto una ulteriore occasione di lucro; investire in efficienza, invece, significa “risparmiare” e, tradotto in concetto economicistico, “consumare meglio e spendere meno”. Una bestemmia!
Come conseguenza certamente non secondaria, una politica improntata sull’efficienza e risparmio energetico innescherebbe un circolo virtuoso per il contenimento dell’inquinamento; nessuno ancora conosce, invece, la soluzione per lo smaltimento delle scorie radioattive. Per la decontaminazione dei siti italiani è prevista, da oggi al 2020, una spesa di 3 miliardi di Euro, ma nessuno può conoscere il costo reale complessivo dell’energia derivata dal nucleare, perchè il suo ciclo, almeno per i tempi degli uomini, non si chiude mai, e non esiste, ad oggi, neppure l’ipotesi di una soluzione definitiva per lo stoccaggio delle scorie nucleari. Le quali emettono radiazioni pericolose, è bene ricordarlo, per almeno 20.000 anni!

Ho voluto tenere per ultimo il problema sicurezza, limitandomi alla semplice constatazione dello stato attuale: i reattori nucleari che si possono costruire oggi, pur con tutte le migliorie rese possibili dalla tecnologia, sono sostanzialmente identici al primo progetto nato nel 1942. La “nuova generazione” di energia nucleare millantata dai nostri affaristi politici, così come i reattori a neutroni veloci di nuova concezione nasceranno, se tutto va bene, tra vent’anni.
Mentre invece mi batte instancabile nei pensieri, in ogni momento di questo presente fosco instabile e incerto, quella insidiosa, sintetica ma inesorabile domanda: “cui prodest?”

“Terza rivoluzione industriale”,
la versione di Rifkin  
Affascinante la motivazione che Jeremy Rifkin, il guru mondiale di un’economia basata sull’idrogeno, offre circa l’accanimento della “nuova” politica italiana a favore del nucleare.
“Credo che, a prescindere da ogni speculazione, la scelta dell’attuale governo italiano di riconsiderare il nucleare sia strettamente collegata all’età complessiva della classe politica” – ha sostenuto l’economista americano in una recente intervista rilasciata nel corso di alcune conferenze tenute nelle nostre città.  
“I vecchi politici, cresciuti con la sindrome del controllo, si sentono più a loro agio in un mondo in cui anche l’energia è controllata e somministrata da un’entità superiore!”
La scelta atomica per la produzione di energia è una soluzione superata, secondo Rifklin.
“Perchè basta guardare i numeri senza le lenti dell’ideologia. Proprio l’attitudine che, in Italia, scarseggia di più.
Si vedrebbe così che l’uranio, come il petrolio, presto imboccherà la sua parabola discendente: ce ne sarà di meno e costerà di più. Stando agli studi dell’agenzia internazionale per l’energia atomica, questo minerale comincerà a scarseggiare dal 2025-2035. Come il petrolio, sta per raggiungere il suo peak. I prezzi, quindi, presto aumenteranno e ciò si ripercuoterà sui costi per produrre energia, togliendo ulteriori argomenti a questo malpensato progetto.”
L’altro fondamentale punto debole del progetto nucleare, per Rifkin,  riguarda lo smaltimento delle scorie radioattive.
“E problema drammaticamente aperto anche negli Stati Uniti, dove lo studiano da anni.
Non sappiamo ancora come trasportare e stoccare le scorie. Gli USA hanno straordinari scienziati e hanno investito 8 miliardi di dollari in 18 anni per stoccare i residui all’interno delle Yucca Mountains, dove avrebbero dovuto restare al sicuro per quasi 10 mila anni. Bene, hanno già cominciato a contaminare l’area nonostante i calcoli, i fondi e i super-ingegneri.
Davvero l’Italia crede di poter far meglio di noi?
L’esperienza di Napoli non autorizza troppo ottimismo. E questa volta i rifiuti sarebbero nucleari, con conseguenze inimmaginabili.
Quella nucleare è un’energia con basse probabilità di incidente, ma ad alto rischio. Ovvero: non succede quasi mai niente di brutto, ma se qualcosa va storto può essere una catastrofe.”
Anche per quanto riguarda la diminuzione dei gas inquinanti, il nucleare non ha alcuna possibilità di risolvere il problema: “I sostenitori del nucleare affermano che è pulito, non produce diossido di carbonio, quindi contribuirà a risolvere il cambiamento climatico.
Un ragionamento che non torna se solo si guarda allo scenario globale. Oggi sono in funzione nel mondo 439 centrali nucleari e producono circa il 5% dell’energia totale. Nei prossimi 20 anni molte di queste centrali andranno rimpiazzate, ma nessuno dei top manager del settore energetico crede che lo saranno in una misura maggiore della metà. Ma anche se fossero tutte rimodernate, si tratterebbe di un risparmio del 5% sulle emissioni.
Per avere un  qualche impatto nel ridurre il riscaldamento del pianeta, si dovrebbe ridurre almeno del 20% il Co2, un risultato che certo non può venire da qui”.
Ma è l’ultima considerazione del grande esperto di economia energetica a lasciare interdetti.
“La motivazione fondamentale a sfavore di una ripresa della politica energetica nucleare è l’acqua: non c’è abbastanza acqua nel mondo per gestire impianti nucleari. Temo non sia noto a tutti che circa il 40% dell’acqua potabile francese serve a raffreddare i reattori. L’estate di cinque anni fa, quando molti anziani morirono per il caldo, uno dei danni collaterali passati sotto silenzio fu che scarseggiò l’acqua per raffreddare gli impianti. Come conseguenza fu ridotta l’erogazione di energia elettrica. E morirono ancora più anziani per mancanza di aria condizionata.
Posso sostenere un dibattito con qualsiasi statista sulla base di questi numeri, e dimostrargli che sono inoppugnabili.
Ma la politica a volte segue altre strade rispetto alla razionalità. E questo discorso, anche in Italia, è inquinato da considerazioni ideologiche.
Il nucleare rappresenta una gestione centralizzata del potere, dall’alto in basso, appartiene al XX secolo, all’epoca del carbone. Servono grossi investimenti iniziali e altrettanti di tipo geopolitico per difenderla.
La “Terza rivoluzione industriale”, che sostengo e promuovo da anni, segue un principio paradossale a questo: è costituita da un sistema di distribuzione dell’energia liberalizzato, dal basso verso l’alto, in cui ognuno si produce la propria energia rinnovabile e la scambia con gli altri attraverso “reti intelligenti”, come oggi produce e condivide l’informazione, tramite internet”.
“L’Italia si trova in una condizione ideale – conclude Rifkin – avete il sole dappertutto, il vento in molte località, in Toscana c’è anche il geotermico, in Trentino si possono sfruttare le biomasse. Eppure, con tutto questo ben di dio, siete indietro rispetto a Germania, Scandinavia e Spagna per quel che riguarda le rinnovabili.
Bisogna cominciare a costruire abitazioni che abbiano al loro interno le tecnologie per produrre energie rinnovabili, come il fotovoltaico. Non è un’opzione, ma un obbligo comunitario quello di arrivare al 20%: voi dovete ancora cominciare!
Oggi il settore delle costruzioni è il primo fattore di riscaldamento del pianeta, domani potrebbe diventare parte della soluzione. Poi serviranno batterie a idrogeno per immagazzinare questa energia. E una rete intelligente per distribuirla.
Oltre a motivi etici, c’è un calcolo economico molto convincente a favore di queste teorie. In Spagna, che sta procedendo molto rapidamente verso le rinnovabili, alcune nuove compagnie hanno fatto un sacco di soldi proprio realizzando soluzioni “ecologiche”. Il nucleare, invece, è una tecnologia matura e non creerà nessun posto di lavoro. Le energie alternative potrebbero produrne migliaia.”

Fonti:
“Il nucleare e gli eccessi di entusiasmo” di Mario Tozzi, pubblicato su La Stampa – 6 giugno 2008

intervista a J.Rifkin di Riccardo Staglianò pubblicata su La Repubblica
7 giugno 2008

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