Isola d’Elba – Le Campagne Marcianesi

18 marzo 2020 - 9:58

Si parte dalla spiaggia di S.Andrea, nei pressi del famoso Capo, prendendo il sentiero intagliato nella scogliera che conduce, a picco sul mare, fino alla deliziosa insenatura del Cotoncello, con la sua spiaggetta di sabbia ed il minuscolo porticciolo incavato nella scogliera, dall’altra parte della Baia.
Da qui si persegue per il sentiero campionato e segnato con il numero 9 e, passando vicino ad un piccolo albergo, si va in direzione est attraversando la “Val di Selvana” su un caratteristico ponticello. In questa zona, ricca di sorgenti, occorre stare attenti al fango lungo il sentiero. Dopo poche centinaia di metri, il paesaggio cambia repentinamente e si fa quasi arido, a picco sul mare, si incontrano alcuni terrazzamenti e poi il piccolo abitato di Maciarello, costituito da case sparse, ove si incontra una strada bitumata che conduce alla località agricola di La Conca, da dove si domina dall’alto la caratteristica piccola baia de “La Cala”, raggiungibile soltanto con sentiero o via mare. Dalla Conca si devia verso destra, sul sentiero segnato con il numero 11 che conduce alla località Randoccio e poi si prosegue salendo alla strada provinciale. Il tratto finora percorso è indubbiamente esemplare delle caratteristiche agricole della campagna marcianese, fertile e coltivata a vigneto, frutteto e orto, a seconda della esposizione al sole ed ai venti. Sembrerà strano, in questo tratto trovare limoni e castagni l’uno a ridosso dell’altro, a poche decine di metri dal mare.
Si fanno alcune centinaia di metri sulla provinciale in direzione di Marciana, poi si incontra un sentiero che si diparte sulla destra, in ripida salita, e lo si prende. Ci porterà, attraversando uno dei più bei castagneti del versante, fin quasi a Marciana, nelle vicinanze del campo sportivo, ricavato sulla cima di un colle. Qui si incrocia la strada pedonale lastricata che da Marciana conduce alla Madonna del Monte. La si prende e in circa 20 minuti di salita, costeggiante varie “stazioni” della via crude, si raggiunge il Santuario, in mezzo ad un frescheggiante bosco di castagni e robinie (630 m). Fin qui abbiamo camminato per circa 2 ore e mezzo.
Adesso ci si può fermare a rinfrescarsi nelle acque cristalline zampillanti da una antica fontana che riversa il suo contenuto generosamente ed incessantemente, da secoli, alleviando le fatiche dei viandanti e dei pellegrini. All’interno della chiesa si trovano interessanti affreschi del periodo del Sodoma.
Il posto è uno dei più adatti per la sosta. Lo spirito ed il corpo ne saranno sicuramente rinfrancati.
Nelle sue vicinanze, vi sono testimonianze di antiche civiltà pastorali che utilizzavano le numerose caverne naturali, presenti e visibili sul costone roccioso a qualche centinaio di metri verso nord, a perpendicolo sulle vallate di S.Andrea e della Conca. Qui, come in altre zone che visiteremo più avanti sul percorso, le rocce hanno forme strane e suggestive. Una delle più singolari e conosciute, è il Masso Omo, a poche centinaia di metri di distanza, leggermente più in basso, sulla destra. E’ un insieme di rocce sul cui culmine sta un roccione di enormi dimensioni sul quale è posata una roccia ovoidale, apparentemente in bilico. Le antiche popolazioni della zona gli hanno dato quel nome perché assomiglia alla figura di un uomo.
Da quassù lo sguardo spazia all’orizzonte fino alla Corsica ad ovest, la Capraia e la Gorgona a nord, le Apuane e l’Appennino tosco-emiliano più in là, tutta la costa tirrenica dal Romito e fino a Punta Ala. I versanti nord dell’isola sono in vista, da S.Andrea a Marciana Marina, al Golfo di Procchio, all’Enfola, al Golfo di Portoferraio, al Capo Vita, estrema propaggine isolana verso il continente. Si dice che lo stesso Napoleone Bonaparte, quando era in esilio all’Elba, venisse sovente in questo luogo per osservare da vicino la sua Corsica natia.

Un tratto di sentiero che si percorre nel gruppo del Capanne

Le vallate sottostanti sono ricoperte da boschi di alto fusto, inframmezzati da zone a macchia mediterranea. Qua e là si vedono ancora vigneti o resti di antichi vigneti, ormai abbandonati perché troppo distanti dalle zone abitate e non più remunerativi per chi li coltiva, anche se solo per uso familiare, per avere la soddisfazione di bere del proprio, di quello buono. I castagneti, invece, sebbene non curati più come una volta, sono ancora produttivi e nel periodo della raccolta, nei mesi di ottobre e novembre, offrono anche una notevole quantità di funghi, ad iniziare dai deliziosi porcini. In alto, invece, la foresta termina poco più su del santuario per divenire un ambiente a macchia mediterranea inframmezzato da qualche “ciuffata” di pini, rimasuglio di recenti rimboschimenti, percorsi più volte dal fuoco degli incendi estivi. In alto la piramide rocciosa del Monte Giove, che dai suoi 855 metri di altezza, domina le vallate di Marciana, S.Andrea e Patresi, spaziando la sua veduta verso tutta l’isola ed il vicino continente. Gli rimane coperto soltanto il versante sud-ovest, per via della dorsale più elevata del Capanne (1019 m), ma questa costituisce un suggestivo scorcio, incredibilmente alpestre, per una isola delle dimensioni dell’Elba.
Dal Santuario è possibile raggiungere agevolmente la vetta del Monte Giove, tramite un sentiero che si diparte dalla strada lastricata pochi metri prima di giungere sul piazzale. Si tratta di salire di circa 200 metri in quota e questo può richiedere dai 30 ai 50 minuti a seconda delle condizioni del trekker, ma la fatica vale la pena di esser fatta. Da lassù, si può scendere sulla dorsale che va verso ovest fino a raggiungere nuovamente, in località Serraventosa, il percorso. E, fra le varie cose che si saranno viste, oltre i panorami unici, le rocce affioranti dalla prateria a gariga, mista a macchia mediterranea bassa, con le varie specie floreali fiorite a scansione ininterrotta, dalla primavera fino alla piena estate, un “caprile” o riparo di pastori, ancora in perfette condizioni. Questi caprili sono indubbiamente una delle principali singolarità del massiccio. Costruiti con pietre squadrate, posate a forma circolare una sull’altra fino a costituire una volta, senza l’uso di travi. Il tutto fornisce un riparo sicuro dalla pioggia, consentendo di far fuoco all’interno senza affumicarsi, poiché il fumo trova naturalmente la via d’uscita verso l’alto, attraverso le interconnessioni, non stuccate, fra pietra e pietra. L’esterno è simile all’igloo o al nuraghe. Il tipo di costruzione, caratteristico e funzionale, pare sia stato insegnato dai sardi. I caprili costituiscono una chiara testimonianza dell’utilizzazione a scopo pastorale della parte alta del gruppo montuoso, fino ai primi decenni dopo l’ultima guerra.

Proseguendo, dalla Madonna del Monte, si va verso ovest percorrendo una pista forestale sterrata pianeggiante, per circa un chilometro, fino alla località detta Serraventosa, da dove si volta in direzione sud, lasciando alle spalle la parte nord dell’isola e scoprendo la ampia, profonda e lussureggiante vallata del Bollero, sovrastante gli abitati di Patresi e Colle D’Orano, siti a circa 120-130 metri di altezza sulla costa che guarda verso la Corsica, in mezzo a terrazzamenti ancora ben in vista ed in parte ancora coltivati. Più giù, verso destra, sul mare, il faro di Punta Polveraia, mentre a delimitare il costone roccioso verso sinistra, in alto e quasi a picco sul mare, si intravedono le costruzioni e l’antenna metallica del Semaforo di Campo alle Serre, utilizzato a scopi di avvistamento per la difesa, prima all’ avvento dell’era del radar. Da quel balcone naturale di ben 640 metri di altezza, è facile avvistare, nei giorni più chiari, le navi quando sono ancora sotto costa alla Corsica o più in là di Montecristo, che si vede isolata piramide in mezzo al mare, verso sud.
Attraversata in quota con leggero saliscendi, che all’ultimo si fa per breve tratto ripida salita, la Valle del Bollero, si giunge al Troppolo, sperone che separa il Bollero dalla valle di Chiessi. Qui c’è un bivio. Deviando sulla destra, si può raggiungere il semaforo e da li discendere a Chiessi, ma si suggerisce di perseguire avanti sul sentiero segnato con il numero 3, che, fino alle Piane della Terra, è pianeggiante e pressoché rettilineo. Prima di proseguire vale la pena di perdere cinque minuti per raggiungere la sommità del Troppolo, ove ci sono da vedere testimonianze molto interessanti degli antichi insediamenti umani sulla montagna: un riparo naturale di tipo dolmen e una roccia erosa a forma di testa di cane che guarda verso il sorgere del sole. Pare che questa avesse valore rituale per le popolazione appenniniche che colonizzarono l’isola prima degli Etruschi.
La zona fra il Troppolo e le Piane della Terra, fra i 700 e i 600 metri, è abbastanza brulla e priva di vegetazione d’alto fusto. Le Piane della Terra sono un esempio fra i più interessanti di insediamenti agro-pastorali di un’epoca durante la quale abitare vicino al mare non era affatto sicuro. Infatti, gli abitanti delle due vallate contigue e fertili di Chiessi e di Pomonte, preferivano stare in alto, su queste digradanti piane regimate da muretti a secco per evitare l’erosione dei terreni agricoli. Quassù c’era il loro centro abitato ed è sintomatica la presenza, in questi altipiani ormai abbandonati, di ben due chiese, ormai ridotte in rovina, quella di S.Frediano, nei pressi del Troppolo, e quella di S.Bartolommeo, sullo sperone roccioso omonimo che sovrasta sia Chiessi che Pomonte. Fino alla fine del 1700 è stato così, poi, man mano che la situazione si faceva più tranquilla, che le incursioni piratesche diventavano solo un ricordo, vennero costruite ed abitate le case vicino al mare. Ma il sentiero rimase fino a qualche decennio fa, unica via di comunicazione fra queste popolazioni e il Centro di Marciana, capoluogo amministrativo del Comune. Ormai da due o tre decenni queste piane non vengono più coltivate. Rimangono ancora alcuni magazzini a testimoniare il loro antico splendore.

L’abitato di Chiessi, punto di arrivo della prima tappa

Per raggiungere il colle di S.Bartolommeo occorre tenere la destra, proseguendo sulla mulattiera che si mantiene sul crine che divide le due valli, quando si giunge in vista della lunga e profonda valle di Pomonte, verso la quale scende una diramazione del sentiero.
Sul colle di S. Bartolommeo i vigneti che salgono dall’abitato di Chiessi, arrivano, ancora in parte coltivati e non si sa con quanta fatica poiché qui l’uso delle macchine non è proprio possibile, fin quasi sulla vetta. Quassù rimane, a testimonianza della presenza dell’antica chiesa romanica, un solo muro, che pare sfidare il tempo e le avversità atmosferiche. Da qui si ha una visione molto suggestiva della Corsica e della città di Bastia, e quasi una veduta dall’aereo del paesino di Chiessi, ridente centro agro-turistico raccolto vicino al mare e meta della prima tappa, dal quale ci separa ormai una ripida e rapida discesa fra i vigneti.

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