CAMMINARE A GIOIA DEL COLLE

18 marzo 2020 - 0:19

STORIA

Le testimonianze più antiche di Gioia del Colle si riferiscono all’abitato peuceta di Monte Sannace – a 5 km dalla città –, che mostra le prime tracce di frequentazione umana a partire dall’età del Ferro, tra il IX e l’VIII secolo a.C. Successivamente si forma, tra il VII e il VI secolo, un abitato che acquista già le caratteristiche di un insediamento urbano.

La città, dopo il periodo delle guerre combattute, assieme a tutte le popolazioni indigene della regione, contro Taranto, nel IV secolo conosce un nuovo sviluppo che vede la parte alta della città, l’acropoli, divenire sede, oltre che di abitazioni destinate all’aristocrazia locale, anche di edifici pubblici, e grandi tombe monumentali, mentre nella piana sottostante si espande la zona abitativa, circondata per tutto il suo sviluppo, unitamente all’acropoli, da una possente cinta muraria, al cui interno era anche alloggiata un’estesa necropoli.

L’abitato di Monte Sannace, di cui non si conosce l’originario nome indigeno, sarebbe stato distrutto all’indomani delle guerre annibaliche, come ritorsione dei Romani nei confronti delle città che avevano appoggiato il condottiero cartaginese; l’acropoli sarebbe stata abbandonata successivamente, nel corso del I secolo d.C. La città di Gioia, Joha, invece, si sviluppò intorno a un’antica fortificazione bizantina; soggetta a numerose dominazioni, a cominciare da quella normanna – il primo documento che la ricorda è del 1071 – fu distrutta da Guglielmo I di Sicilia, detto il Malo, e restaurata da Federico II di Svevia. Dal Seicento, e fino all’abolizione della feudalità, appartenne agli Acquaviva d’Aragona di Conversano e, poi, ai De Mari di Acquaviva delle Fonti.

ITINERARIO DI VISITA

Partendo da Piazza XX Settembre ci si avvia lungo Via Daniele Manin, costeggiando in senso antiorario il centro storico di Gioia del Colle.

Dopo aver incontrato, nel marciapiede di sinistra, una curiosa chianca, proveniente probabilmente da qualche luogo di detenzione, sulla quale è inciso un cuore trafitto, il nome dell’autore, la parola arrestato, e la data 11.1957, si raggiunge Via Gioacchino Rossini, all’inizio della quale si trova il Teatro comunale, intitolato al grande compositore pesarese.

Il Teatro Rossini, inaugurato alla fine dell’Ottocento e rimasto in attività fino al secondo conflitto mondiale, quando fu requisito dalle truppe tedesche e poi da quelle alleate, dopo varie traversie e un successivo abbandono, è finalmente tornato alla sua destinazione iniziale nel 1997, dopo i necessari lavori di adeguamento.

Di fronte al teatro una scultura in pietra di Apricena, realizzata nel 1992 da Antonio Paradiso, intitolata Icaro. Proseguendo lungo Via Manin si giunge in Corso Vittorio Emanuele, che s’imbocca a sinistra e si percorre fino a incontrare Piazza Margherita di Savoia, sulla quale si apre Palazzo San Domenico, dal 1813 sede del Municipio ma un tempo convento dei domenicani, cui appartenne anche la retrostante Chiesa di San Domenico, del XVIII secolo, già Santa Maria delle Grazie, del 1460. All’interno del Municipio, una pinacoteca intitolata a Renato Javarone (1894-1960) conserva venticinque opere del pittore gioiese, attivo a Roma fin dal 1922.

Procedendo oltre, superato l’imponente Palazzo Cassano, si giunge in Piazza dei Martiri del 1799, dove, di fronte al monumento che li ricorda, s’innalza il castello, edificato nell’XI secolo dal normanno Riccardo Siniscalco, fratello di Roberto il Guiscardo, su una precedente fortificazione bizantina e riedificato da Federico II intorno al 1230.

Dal portale d’accesso, superato un androne coperto, si accede al cortile, a pianta quadrangolare, sul quale svettano le due torri superstiti del lato di mezzogiorno: quella dell’Imperatrice, dove secondo la tradizione venne imprigionata da Federico, per sospetta infedeltà, Bianca Lancia, e quella, alta oltre 28 metri, detta de’ Rossi, dal nome di un’antica famiglia giunta in Puglia al seguito dell’imperatore.

In un’angusta cella alla base della Torre dell’Imperatrice, si narra che Bianca Lancia, sposata probabilmente negli ultimi anni di vita, avrebbe partorito Manfredi, successore di Federico. Dal cortile, una scala esterna conduce al piano superiore e alla grande Sala del Trono; gli ambienti al piano terra, invece, ospitano le sale del Museo Archeologico Nazionale, dove sono esposti i reperti provenienti dall’area archeologica di Monte Sannace. Lasciato il castello e le sue storie, e il gracchiare dei corvi che, numerosi, volteggiano sotto le torri – immancabili inquilini d’ogni castello che si rispetti – si prende la dirimpettaia Via Concezione.

Subito, ci s’imbatte nella prima delle Porte dell’Imperatore, un progetto dell’associazione artistico-culturale Artensione che nel 2012 e nel 2013 ha promosso un concorso pittorico, assegnando agli artisti selezionati delle porte da dipingere, all’interno del centro storico.

La prima opera che s’incontra, di fianco all’antica e caratteristica Trattoria Pugliese, è il Cavaliere Templare. Se ne troveranno molte altre nel centro storico, tutte incentrate, oltre che sullo Stupor Mundi e su Bianca Lancia, su dame, cavalieri, castelli e storie cavalleresche. Raggiunto il fondo di Via Concezione si è di fianco alla Chiesa di Sant’Andrea, sede dal 1721 della Confraternita dell’Immacolata Concezione.

La chiesa dedicata all’apostolo Andrea, datata al XVI secolo, sarebbe sorta, però, secondo gli storici locali, sul primitivo luogo di culto di Gioia, edificato all’epoca della nascita del borgo antico, attorno al IX-X secolo, nei pressi dell’originario castello bizantino. Retrocedendo di qualche passo s’imbocca Via Michele Petrera, lungo la quale, oltre ad altre porte dipinte e a moderne sculture di volti, ispirate anch’esse alla storia di Gioia del Colle e inserite nelle murature delle case, ci s’imbatte in un’altra caratteristica del borgo antico: gli archi, che delimitavano l’accesso a corti interne e che, chiusi con delle porte, formavano, oltre alle mura e alle porte dell’abitato, una seconda barriera difensiva.

Uno dei primi che s’incontra è l’Arco Mastrocinto, dal nome di una famiglia gioiese, del XVII secolo. Superati altri archi e vicoli, si giunge all’incrocio di Vico Serpente, all’angolo del quale due sculture riproducenti il profilo dell’imperatore si fronteggiano; qui una planimetria del centro storico evidenzia tutte le strade del centro cittadino interessate dalle Porte dell’Imperatore.

Percorso il tortuoso Vico Serpente si raggiunge Vico Spada, dove si prende a sinistra, uscendo così in Piazza Cesare Battisti; attraversata questa e la contigua Piazza Plebiscito ci si porta alla Chiesa di San Francesco, con l’attiguo convento, ora sede dei Carabinieri. Sorto secondo la tradizione popolare nel 1222, per opera dello stesso santo di Assisi al ritorno dalla Terra Santa, quando, fermatosi in Puglia favorì la formazione di comunità monastiche, il convento è legato alla leggenda del dito spezzato, evento che sarebbe occorso al santo mentre era intento alla costruzione di un pozzo. All’esterno della chiesa una lapide, affissa nel 1951, riporta il testo della benedizione di San Francesco.

Se il primo cenno storico del convento è del 1292, è ai primi anni del XIV secolo che si fa risalire, a opera dell’antica famiglia D’Andrano, la costruzione di chiesa e convento.

Aggirato il convento per Piazza Umberto e la retrostante Piazza Luca D’Andrano, e costeggiata la chiesa dal lato del campanile, si torna in Piazza Plebiscito e si prende, all’inizio di Via Giuseppe Garibaldi, il Corso Vittorio Emanuele che taglia tutto il centro cittadino.

Lasciatolo, per Via Principe Amedeo, a destra, si perviene alla Chiesa di Santa Maria Maggiore, eretta alla fine dell’XI secolo sotto il nome di San Pietro. Distrutta da un incendio nel 1764, nel corso di una sommossa popolare, venne prontamente ricostruita, con l’inserimento nella facciata delle sculture di San Filippo Neri e della Madonna con in grembo il Bambino. Superata la chiesa matrice, per Via Boscia – dove su un portone si nota una curiosa maschera apotropaica – e per Via Livia, si giunge alla Chiesa di Sant’Angelo, al centro di quel Borgo degli Albanesi, o degli Schiavoni, che prende il nome da soldati della Slavonia, o Schiavonia, giunti a Gioia alla fine del XV secolo, al seguito di Bartolomeo Paoli.

Oltrepassata la vicina Piazza Livia, sarebbe questo il nome della moglie del condottiero Paoli, per Via Fusco si ritorna, infine, in Piazza XX Settembre.

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