Gargano, dove il sole ha sposato la terra – 3° tappa

18 marzo 2020 - 9:55

Il terzo giorno di trekking ci porta fuori dalla Foresta Umbra ed il nostro interesse viene attirato dalla conoscenza di quelle particolari colture che determinano la fascia vegetazionale estesa dalla zona meridionale e pedemontana del promontorio garganico fino all’infinito Tavoliere.
Dopo aver lasciato alle nostre spalle il Villaggio Umbra, ci si immette lungo la s.s.n.528 e si continua, proseguendo in direzione S, verso Monte S.Angelo. Poco dopo s’incontra a sinistra la Cantoniera d’Umbra (745m) e si continua in leggero falsopiano attraverso il bosco della Riserva Naturale Falascosa in cui si aprono aree ricche di fenomeni carsici che si alternano ad ampi spazi prativi; nelle vicinanze vi è la possibilità di scorgere gli antichi tracciati della strada ferrata, traversine su cui scorrevano i carrelli per il trasporto del legname. Superato un tornante (720m) sulla destra si sfiora la Masseria Baccone (700m) e dopo circa trecento metri si lascia (685m) la Statale e si devia a destra lungo una carraia che porta alle Case Rinaldi. Prima di giungere alle case però, si devia a sinistra (668m) seguendo la traccia di una pista che si apre in un paesaggio soggetto al carsismo e circondato da una folta foresta.
Lasciati i ruderi di una cascina a destra (699m) la traccia ora continua seguendo il bordo di bassi muretti in pietra a secco che delimitano i terreni circostanti in Contrada Rivone la Spina. Senza mai tralasciare il sentiero principale (direzione SW) s’incontrano, lungo il percorso, numerose deviazioni su entrambi i lati. A quota 612m si presenta un bivio: si continua prose-guendo a sinistra (direzione S) in leggera salita ove termina il sentiero e comincia una pista sterrata che porta a giungere, in meno di 3 km, lungo la Strada Provinciale per Carpino nei pressi della Masseria Meschini (645m); vaste radure erbose determinano il paesaggio del Pianoro Canale. Sul lato opposto alla strada ove sbuca il nostro percorso (638m) parte, a lato di un casale, un sentiero ben evidenziato che porta a lambire le brulle pendici orientali del monte Croce (987m).
Aggirati i crinali meridionali della montagna ecco comparire, dall’alto della sua dorsale calcarea, il bianco abitato di Monte S.Angelo, ultima meta della nostra traversata garganica. Comincia una lieve discesa che in breve porta a ridosso di alcune case adagiate proprio lungo la nazionale n.528 ma, anziché guadagnare subito l’asfalto, prima di queste case, parte sulla destra una comoda pista che aggira dall’alto (e poi porta ad attraversare) il lungo Pianoro della Castagna evitando così l’asfalto. Il sentiero segue tutto lo sviluppo di questo pianoro lungo la sua destra orografica e termina sulla Statale, nei pressi di una croce. Seguendo ora la strada ancora per un chilometro e mezzo, si giunge all’incrocio (578m) con la Statale n.272 che, proveniente da S.Giovanni Rotondo (paese di Padre Pio), si apre proprio al centro della desertica Valle di Carbonara.
Un ultimo sforzo e si continua a camminare in direzione di Monte S.Angelo salendo lungo quel breve tratto finale di strada che ripercorre fedelmente la “Via Sacra Longobardorum”, l’antico cammino di pellegrinaggio che da S.Severo, risalendo la Valle di Stignano, portava al Santuario e alla Grotta dedicata all’Arcangelo Michele, massimo luogo di culto dei cavalieri Crociati al tempo del ducato longobardo di Benevento.
Raggiunto Monte Sant’Angelo si passa accanto ai ruderi del Castello medioevale per poi scendere lungo una serie di gradinate in pietra che portano a sfiorare l’ex Convento del Cappuccini fino a raggiungere la piazza centrale tutta alberata e panoramica. Immediatamente sotto la piazza riprendiamo il cammino che porta ad attraversare alcuni tra gli angoli più caratteristici del paese con le sue basse case bianche sistemate a schiera che creano un fantastico labirinto in cui vanno ad intrecciarsi stretti vicoli ed archi rampanti. Risalendo verso il centro del borgo si transita nei pressi del complesso monumentale di S.Pietro, ove è collocata la Tomba di Retari (antico re Longobardo); più su, un ampio slargo offre un sicuro riparo dalla forte calura estiva; spazio, questo, in cui si affacciano diverse botteghe artigiane. Da qui parte una gradinata realizzata in pietra che va a sbucare ai piedi della Torre angioina (a sezione ottagonale); al lato sinistro della torre c’è un cancello che permette l’accesso nell’atrio in cui si apre la facciata della Basilica di S.Michele con un doppio portale gotico che poggia su un basamento scolpito a figure leonine nel cui frontone è posta una nicchia contenente una statua marmorea del Santo.
L’ingresso avviene attraverso il portale di destra e, come appena si varca l’uscio, si è subito proiettati in una incredibile ambientazione medioevale: una enorme scalinata (d’epoca angioina) scavata direttamente nella roccia scende precipitosamente verso il basso attra-versando ambienti privi di luce, quasi bui, le cui pareti sono tutte affrescate con figure di Santi, mercanti e Cavalieri. Immagini, queste, che sono accompagnate da centinaia di frasi scritte in antichi linguaggi; remoti messaggi e citazioni (saluti, invocazioni, preghiere) che ripercorrono un excursus storico dall’alba del Cristianesimo all’epoca dei “lumi”, lettere e parole compiute affiancate spesso da incomprensibili incisioni raffiguranti le mani. Più giù, compare sulla sinistra, un baldacchino trilobate con colonnine tortili contenente la statua in marmo di una Madonna i cui occhi neri sono di una straordinaria espressività. La lunga gradinata (86 scalini) termina in un atrio, nella parte interna del Santuario: a sinistra vi è l’ingresso al Museo ed a destra si apre una piccola corte porticata sul cui ciglio scorre una loggetta; a destra ed a sinistra, antichi sarcofagi contenenti le spoglie mortali di nobiluomini e prelati. Di fronte si para una gradinata formata da sei scalini semicircolari che immettono a un grande portale marmoreo di fattura romanica con due enormi ante bronzee (realizzate a Costantinopoli nel 1076).
E qui, prima di entrare nella grotta, ci viene (purtroppo!) imposto di non eseguire ne riprese fotografiche ne video. Rispettiamo a malincuore questo divieto, ma più che altro per l’accortezza da noi mostrata nei riguardi di quei pellegrini e quei devoti giunti fin qui a pregare il Santo e la sua sacra dimora. Quindi, non avendo alcuna immagine dell’interno della Grotta descriviamo brevemente come appaiono gli ambienti. Varcato l’ingresso, si para una enorme navata gotica divisa in tre campate e chiusa da una volta a crociera. A destra c’è l’altare di S.Francesco, giunto qui in pellegrinaggio nel 1216. Qualche passo ancora e sempre a destra si apre la spelonca, una sinuosa caverna la cui volta rocciosa si presenta irregolare ed a differenti livelli. E così, oservando la Grotta da sinistra si riconoscono un primo altare (di S.Pietro); un secondo altare (del Crocifisso); un trono regale scolpito nel marmo; diverse statue e bassorilievi in pietra protette da teche trasparenti; un altare (con baldacchino) dedicato alla Madonna del Soccorso e, situata alle sue spalle, una piccola insenatura nella roccia detta il Pozzetto nel cui interno, in una vaschetta, si raccoglieva la “stilla”(il gocciolio d’acqua che scendeva dalla roccia). Ecco, infine, il Sagrato che si presenta da sinistra con una Cattedra episcopale (dell’XI secolo) in marmo, finemente decorata e con lo schienale a cuspide; al centro, il Presbiterio con l’altare dell’Arcangelo e infine, al suo margine destro, una statua in pietra raffigurante il Santo martire Sebastiano.
Termina qui il nostro trekking, in un’apoteosi di paesaggi incontaminati persi in un tempo senza fine, là dove natura e storia s’intrecciano in un misticismo che si rifà ad arcaiche tradizioni medioevali, in uno dei luoghi della cristianità mondiale ove, intimamente, sono riposti gli entusiasmi, le speranze, gli amori (strumenti, questi, che sono i cardini fondamentali di un cammino e di un’avventura vissuti profondamente in questo sito garganico). Luogo in cui tutti cercano di leggere i “segni” qui lasciati da altri prima di noi, di comprendere le emozioni che ci portiamo dentro e che, probabilmente, tracciano quei particolari “sentieri” che conducono all’incontro più intimo e, forse, più vasto con il Creato.

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