Il mistero, la leggenda, i rituali penitenziali, tutti elementi di un vissuto liturgico che sembrano diretti da un’unica impronta divina. Il monte Gelbison, coperto da nebbie, attrae per i suoi boschi e i suoi silenzi. In cima si erge l’antico santuario della Madonna di Novi, con stati d’animo che inneggiano a quella particolare sacralità che domina la montagna fin dalla notte dei tempi e le pietre, ora balzelli sacrificali, ora elementi simbolici, portate quassù a mano, sembrano essere avvolte da leggende in cui s’incrociano i racconti di Duchi Longobardi che giunsero tra le nubi alla ricerca del “divino” e di pastori che, ritrovato l’agnello scomparso in un anfratto, eressero qui un grande centro di spiritualità venerato e frequentato, a tutt’oggi, da tutte le popolazioni dell’intero Mezzogiorno italiano. Il sentiero sale per il bosco di Fiumefreddo (1041 m) e più di una volta incrocia l’antica via lastricata per poi rigettarsi nella foresta, lungo i crinali del Belvedere dove s’incontra un accatastamento piramidale in pietra sormontato da una croce in ferro battuto, testimonianza di un antico pellegrinaggio. Il sentiero termina (1510 m) all’altezza di una particolare pietra (il Manto della Madonna), dove gli antichi pellegrini hanno inciso frasi celebrative tra il ‘700 e l’800; qui compare la strada che termina in prossimità del valico della Croce di Rofrano (1620 m ), sotto il santuario, dove si trova un gigantesco “Monte di Gioia”. Una gradinata conduce a uno spiazzo circolare (la rotonda) con una croce in pietra; a meno di 100 metri si giunge all’ampio piazzale (1705 m) su cui prospetta il santuario del monte Sacro-Gelbison.