con il bel tempo abbiamo raggiunto Castelsantangelo sul Nera, un piccolo comune nel cuore dei Monti Sibillini, con mezzi pubblici da Camerino, sede della nostra scuola. Castelsantangelo sul Nera: piccolo centro dell’alta Valnerina, è situato sulla riva destra del Nera, sul dorso del M.Cornaccione, tra quota 734 e 780 m. Sorse intorno al XIII secolo come centro fortificato forse per circostanze contingenti e pressanti di difesa; ha conservato il suo interessante impianto urbano triangolare, avente per base il corso del fiume Nera e per vertice la torre quadrata sulla vetta del colle che, ancor oggi, è visibile in tutta la sua imponenza. La cinta muraria, visibile per lunghi tratti, avvolge parte delle abitazioni anche se è andata persa, per la valanga che travolse il centro nei primi anni del Novecento, quella parte che chiudeva Castelsantangelo alla sua base. Porta Nocrina e Porta S.Angelo sono i due accessi al centro abitato che meglio si sono conservati: dalla prima si raggiunge fuori delle mura l’antico Monastero delle Benedettine di S.Salvatore (nella cappella sono dipinti affreschi che risalgono al 1478). Testimoni di antichità sono anche le chiese romaniche di S.Stefano e S.Martino dei Gualdesi. Equipaggiati di tutto quanto è necessario per la notte (saccoletto e tendine), per i pasti e per affrontare anche eventuale maltempo, zaini in spalla, ci siamo incamminati, con spirito di avventura e voglia di conoscere, verso la prima meta prefissata: Monte Prata. Attraversato l’abitato di Castelsantangelo e raggiunto il primo tornante della strada provinciale per Castelluccio, abbiamo rintracciato la vecchia strada di pietra, oggi scorciatoia che sale fino al paesino di Gualdo. La strada, ombreggiata da querceto caducifoglio, roverella e maggiociondolo (cytisus laburnum), e costeggiata da muretti a secco, ci offre anche la possibilità di ritrovare alcuni ammoniti e fossili di “televisori”. Giunti a Gualdo (m. 977) ci rinfreschiamo alla prima di numerose fonti d’acqua, caratteristiche per la loro forma (fine ‘800), che si intonano con le case in pietra, spesso ben restaurate da ex residenti che vi ritornano in estate per le vacanze, ed anche in vendita o in abbandono. I pochi abitanti rimasti coltivano prevalentemente viti e cereali. Non mancano i segni dell’antica civiltà contadina: carretti decorati, forni per la cottura del pane, sotto le caratteristiche loggette vicino alla porta di casa. Gualdo: è la “Villa” più bella e storicamente più importante della zona. Fu castello di origine longobarda, le cui case e straducole si dispongono su tre terrazze con costruzioni risalenti a prima del ‘300, come il campanile della chiesa parrocchiale di S.Martino, di architettura romanica ma rimaneggiata. All’interno è ricca di affreschi, non sempre ben conservati, attribuiti a Paolo Bontulli da Percanestro (scuola umbra del ‘400). Oltrepassato tutto il piccolo paese entriamo nella valle di Corvetto, percorrendo ancora una strada di terra che poi conduce nella Valle dell’Acqua, attraverso un bosco di faggi (fagus silvatica) e piccole radure erbose. Desta curiosità una vecchia struttura in legno, destinata a tener fermi gli animali, poi scopriremo che si chiama il “travaglio”. Giunti davanti a una cappellina imbiancata, la lasciamo alla nostra destra per salire su un sentiero che alla sinistra diviene sempre più ripido e ghiaioso. Fortunatamente si intravede il guardrail della strada asfaltata che, con l’aiuto dei primi, tutti riusciamo a raggiungere non senza fatica. “Il più è fatto”: dicono i nostri accompagnatori per esortarci all’ultimo sforzo. Ci voltiamo indietro, e il dislivello già colmato è un primo piccolo motivo di soddisfazione. Tutto viene annotato con cura dal cronista di turno. Qualche centinaio di metri sulla strada asfaltata, in direzione Castelluccio (sud), e raggiungiamo la chiesina chiamata “Madonna della Cona” (m. 1501), sulla Forca di Gualdo. Il panorama è stupendo: abbiamo di fronte i piani di Castelluccio, tra i quali spunta il poggio su cui si erge il caratteristico abitato di Castelluccio di Norcia, famoso per le sue lenticchie (ervum lens, famiglia delle papilionacee). Il “Pian Perduto”: è un’antica conca di origine carsica con il fondo pianeggiante. Attualmente il fondo del piano è occupato da depositi lacustri e palustri, testimonianza di un antico bacino poi prosciugatosi a causa del miglioramento climatico. Sono visibili, anche sul fondo del piano, depressioni allungate ed alcune doline. Le rocce che affiorano sulle pendici dei monti che delimitano il piano (M. Lieto, Forca della Conca e i rilievi che si collegano alla catena dei Sibillini) sono di natura calcarea (Creta, Giura, Lias). Sulla sinistra riposa accovacciato il monte Vettore (m. 2478), il più alto dei Sibillini, incappucciato da ciuffi di nubi e chiazze di neve. Lo sguardo si perde nella ricerca di altri punti di riferimento, di ciò che avremmo raggiunto l’indomani. Ma non ci sfugge un particolare; su di una piccola targa metallica affissa alla croce posta accanto alla chiesina è scritto: “A ricordo della battaglia del 1522 i norcini attratti dalle pulzelle vissane all’uopo inviate preferirono queste alla battaglia e persero il ‘pian perduto’. Ciò che non poté l’esercito poté l’amore”. E segno di un’antica ostilità tra Visso e Norcia, spiegazione di un toponimo attuale. Segno che siamo ad un confine: quello tra Marche e Umbria. Dopo quest’ultima sosta seguiamo l’indicazione segnaletica per Monte Prata e, dopo meno di 2 km. di strada asfaltata, giungiamo presso gli impianti sciistici di Monte Prata (m. 1800 la vetta, m. 1620 la fonte presso cui ci accampiamo). Dopo circa 4 ore e mezzo di cammino e soste, finalmente possiamo montare le tende del nostro mini accampamento e… contemplare il tramonto, il cielo stellato, gustare la cena, il calore del fuoco e il riposo sul sufficientemente morbido letto di terra. Nonostante non sia agevole calcolare in metri lineari un itinerario in montagna, possiamo ritenere di aver percorso circa 8/9 km., per un dislivello di circa m. 900 di altitudine.