17 marzo 2020 - 23:47

Maccu, ti smaccu, Macco ti racconto sarcasticamente.

Potremmo iniziare così il nostro trekking gastronomico, naturalmente tutto siciliano, per presentare “u maccu” (il macco), un profumato e delicato velouté di fave cotte in umido, molto diffuso tra gli isolani e che si è tramandato fino ai giorni nostri.

La purea che ne deriva viene aromatizzata con semi di coriandolo ed insaporita con olio extravergine d’oliva. Il maccu è un piatto ritenuto adatto alla gente forte. Sull’argomento Aristofane sosteneva che Ercole fu allevato col macco di fave.

Fra i vari maccu preparati in Sicilia caratteristico è quello di Raffadali, non a caso questa cittadina è anche chiamata “u paisi du maccu” (il paese del macco), dove si è conservato come alimento tradizionale e dove ancora oggi se ne fa largo uso.

Con il tempo il maccu ha perso le caratteristiche di piatto legato a momenti particolari ed è divenuto, assieme ad altri tipi di minestre, un ottimo piatto unico per le classi più povere e uno stuzzicante primo per quelle più abbienti.

Nel sec. XV esisteva per la sua preparazione uno speciale recipiente “ad opus mirandi maccum” (per la curiosità di ammirare la preparazione del macco). Una caratteristica peculiare del maccu è dovuta al fatto che, una volta raffreddato, si può conservare ricoperto con un velo d’olio per essere consumato in un secondo tempo tagliato a fette.

La purea raffreddata può anche essere consumata fritta in olio di oliva. A proposito della conservazione del macco in olio è ancora in uso il detto “livari l’ogliu du maccu” (togliere l’olio dal macco), azione che sta ad indicare una particolare abilità nelle attività manuali.

L’uso di pietanze a base di fave trova giustificazione nell’alto valore nutritivo e nelle particolari caratteristiche nutrizionali.

In Sicilia la coltivazione della fava (vicia faba) è di antichissima tradizione. Al contrario dei Romani che consumavano le fave soltanto in occasione di riti funebri, i Siciliani hanno da sempre fatto largo uso di fave nella loro dieta, sia secca sia allo stato verde.

I Romani ne facevano grande uso (anche crude con l’intero baccello, quando erano molto tenere), tanto è vero che una delle gentes “famiglie” più importanti nella storia di Roma, i Fabi, prendevano nome dalla fava (faba); come, del resto, da altri legumi (piselli, lenticchie, Ceci) prendevano nome altre famiglie di ottimati (i potenti): rispettivamente i Pisoni, i Lentuli e, più tardi, i Ciceroni. Per Pitagora le fave erano: “cibo dei morti”, mezzo per contattare l’aldilà. Infatti, il favismo è grave anemia emolitica ereditaria ancora oggi diffusa fra gli abitanti dei territori dell’antica Magna Grecia.

La fava si caratterizza per l’elevato contenuto proteico (25%), tanto da essere definita “la carne dei poveri”. Ha effetti benefici nel contenimento del colesterolo e dei trigliceridi e contiene buone quantità di vitamine A1, B1, B2, C, E, K e PP.

Tutte queste caratteristiche rendono ancora oggi il “maccu” una pietanza che può entrare a pieno titolo nella dieta di tutti i giorni nella quale è importante limitare l’uso di alimenti ricchi di grassi di origine animale. Si può affermare che questo piatto è figlio dell’antica sapienza contadina: è un piatto che si distingue per la sua genuinità, per il sapore e per il valore nutritivo.

Per la sua preparazione si usano fave secche sgusciate del tipo “cucivuli” (cuocibili) che, messe in ammollo la sera precedente, si fanno cuocere a fuoco lento l’indomani in poca acqua salata, aggiungendone via via altra man mano che evapora, fino a completa cottura.

A questo punto si schiacciano con una forchetta, cioè si ammaccano, da cui il termine “maccu” (ammaccato); la purea ottenuta si diluisce ancora con acqua e quando arriva ad ebollizione si mescola con pane raffermo fatto a pezzettini lasciandolo cuocere ancora per pochi minuti. Il tutto viene servito caldo con olio d’oliva e pepe.

Le varianti alla ricetta prevedono l’aggiunta di verdure di stagione, come indivia e finocchietto selvatico, o pasta cotta in modo da preparare il classico piatto di “pasta col macco”.

La riscoperta della cucina territoriale, da qualche anno, ha stimolato molti cuochi siciliani ad utilizzare il macco come una delicata salsa per accompagnare pregiati tagli di carne o mediterranei pesci azzurri. Al macco, obbligatoriamente, va accostato un buon vino rosso. Tra gli ecotipi siciliani si distinguono la fava di Leonforte, Pantaleo, marsalese, gela e caltagirone, la cui denominazione fa riferimento alle città di origine.

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