Paesi fantasma: Reneuzzi, tracce di vita vissuta

Reneuzzi, un borgo montano da non dimenticare perché rappresenta uno spaccato di storia del nostro Paese.

19 marzo 2020 - 12:13

Riflessioni su uno dei paesi più caratteristici e misteriosi dell’Appennino ligure-alessandrino, prima che i rovi e il bosco ritornino ad impossessarsi completamente e definitivamente di ciò che secoli fa gli era stato sottratto.

Prima che le pietre, che con tanta fatica erano state trasportate, e con tanta maestria lavorate, tornino anch’esse inesorabilmente da dove erano state prelevate: alla Madre Terra.

Pensieri

Che strana che è a volte la vita, ci sono volute almeno una decina di salite in vetta all’Antola prima che mi accorgessi che laggiù, in fondo alle pendici nord del monte, proprio all’inizio dell’imponente valle dei Campassi, esistesse un paese.

Eppure nel corso delle mie escursioni di “binoccolate” ne ho date in lungo e in largo, sempre alla continua ricerca di qualcosa di nuovo da scorgere, magari sfuggito le volte precedenti.

Capisco che dalla vetta ci sono miriadi di cose belle da vedere, da scrutare con attenzione, però quel paio di tetti di tegole rosse che avevo quasi sotto i piedi e che a stento si intravedevano tra la vegetazione erano sempre passati inosservati. Era estate e se non ricordo male dell’anno 2000.

La prima sensazione di stupore si trasformò in angoscia e curiosità quando cercai di comprendere le ragioni per le quali avevano spinto poche persone a costruire quelle due o tre  case edificate in un ambiente tanto impervio, isolato e ostile.

Quelle strane sensazioni cercai di condividerle con un signore, anch’egli seduto sotto la croce dell’Antola, intento a fumare; con indifferenza, mi disse che il nome del borgo non lo sapeva, ma gli avevano detto che là in fondo diversi decenni prima c’era stato un fatto di sangue, almeno così gli era stato riferito, ma di preciso non ricordava quando e cosa fosse accaduto.

L’escursione fini così, tra mille dubbi, senza sapere il nome di quello strano borgo e nemmeno quale passato così tragico custodisse tra le sue case.

Agli inizi del 2000 internet era agli albori e Youtube o Google Maps erano pressoché inesistenti, c’erano solamente delle dettagliate cartine topografiche, mentre per conoscere le storie dei villaggi dell’Appennino si poteva giusto contare sulla memoria storica degli anziani, un passa parola di generazione in generazione.

Certezze

Nonostante tutto, armato di buona volontà, nel giro di poco tempo riuscii a recuperare un po’ di notizie, approfondite nel corso degli anni. Intanto, come prevedibile, il borgo aveva un nome: Reneuzzi.

Altro che villaggio costituito da un paio di case, Reneuzzi era un vero e autentico paese che nel periodo del suo massimo sviluppo contava non meno di 40 case e quasi 200 abitanti. Non essendoci molta documentazione in merito, non si sa esattamente quando nacque e perché sia stato costruito in quel versante dell’Antola così inospitale e aspra.

C’è chi dice che Reneuzzi sia stato costruito da boscaioli lombardi, chi invece sostiene da gente in fuga delle coste a causa delle incursioni saracene provenienti dal mare o dai saccheggi dei vari eserciti che per secoli hanno attraversato in lungo e in largo il nostro Paese.

Quello che si sa di certo è che Reneuzzi era arrivato a sfiorare le 200 anime, che aveva una sua osteria, una piccola scuola, nonché una chiesetta con relativo cimitero.

Ma erano davvero così matti questi nostri antenati a costruire un paese proprio lì? Fermo restando il totale isolamento di Reneuzzi dal mondo, se si analizza meglio le motivazioni, sembrerebbe che la scelta del sito non fosse stata così casuale come potrebbe apparire, ma opportunamente ponderata e studiata.

Intanto quella posizione di “mezzacosta” consentiva agli abitanti di avere sopra i prati, pascoli e fieno per gli animali, sotto invece i boschi, in particolare i castagneti, custodi di riti e consuetudini che sopravvivono all’incalzare del tempo.

Gli anziani del castagno utilizzavano tutto: il frutto per produrre la farina e per mitigare lo spasmo della tosse, le foglie come lettiera per il bestiame, il legno come materiale da costruzione e per ricavare il tannino utile alla concia delle pelli.

Tutto intorno al paese centinaia di terrazzamenti, rubati metro su metro alle asperità del terreno, consentivano ai contadini di coltivare frumento, patate, granoturco e ortaglie varie.

Chiaramente non mancavano le sorgenti dalle quali attingere l’acqua sia per i campi che per uso personale e domestico, come non mancava mai l’acqua nel rio sottostante, che permetteva a ben 2 mulini di eseguire le operazioni di macinatura del grano e delle castagne, sia per la comunità di Reneuzzi e di Ferrazza, sia per i “vicini” paesi di Croso e di Campassi, situati sul versante opposto.

Non dimentichiamoci infine che Reneuzzi era attraversato da antichi e importanti sentieri che collegavano, tramite l’Antola e il Passo delle Tre Croci, la Valbrevenna, la Val Trebbia e la Valle del Brugneto con la Valborbera e di conseguenza con la pianura padana.

Insomma, con varie difficoltà, ma con tanto ingegno e non poca fatica, a Reneuzzi veniva praticata un’agricoltura di sussistenza che, bene o male, consentiva ai suoi abitanti di vivere, o per meglio dire, di sopravvivere.

È giusto far notare che nella storia del paese, non hanno vissuto solamente gente dedita esclusivamente all’agricoltura o all’allevamento, ma anche persone che con quelle poche risorse che offriva il territorio.

Una manciata di strumenti e tanto ingegno, hanno dato vita a forme di architettura rurale correlate alle attività per la sopravvivenza del nucleo famigliare: cascine, seccherecci, mulini, terrazzamenti megalitici e carbonaie rappresentano l’humus culturale di una civiltà che affonda le sue radici nel passato.

E soprattutto all’interno del borgo l’oratorio di San Bernardo, con il suo particolare campanile a vela e il portico di entrata costituito da un meraviglioso arco acuto.

La casa “rotonda”, ossia una abitazione con un lato rotondo, in modo che il suo muro assecondasse la curva e consentisse alle lese (slitte trainate dai muli) di curvare e passare in modo regolare senza incontrare spigoli o angoli vivi; la stalla con un pregevole soffitto a volte e la colonna centrale e circolare tutta in pietra, a testimonianza della grande maestria di queste genti.

E chissà quante altre bellezze e particolarità c’erano e sono crollate assieme ai muri, ai tetti e solai di oramai quasi tutte le case che componevano questo paese.

Drammi

Interessandomi alla vita di Reneuzzi venni anche a conoscenza dell’evento drammatico che si era consumato, accennatami vagamente da quel signore in vetta all’Antola.

In effetti c’era stata una tragedia nel 1961 che aveva visto protagonisti un ragazzo di nome Davide e sua cugina Maria, rispettivamente di 30 e 20 anni circa.

Davide abitava a Reneuzzi, allevava bestiame, ed era rimasto l’ultimo abitante del paese, Maria invece viveva con il padre e la madre a Ferrazza, un borgo situato a pochi minuti di camino da Reneuzzi.

I due ragazzi erano cugini e quel totale isolamento quotidiano dalla gente e dal mondo li aveva parecchio avvicinati e tra loro probabilmente era anche nato un sentimento.

Naturalmente i genitori della ragazza si accorsero ben presto della loro storia, così, preoccupati di tale situazione, ma anche dall’avanzare delle loro età, e della vita sempre più grama in quella valle così remota e avara, decisero di trasferirsi in Valle Scrivia.

Il giorno del loro trasferimento Davide, accecato dal dolore, dalla gelosia, ma anche dal timore di restare completamente solo in quei luoghi, attese il passaggio di Maria e le sparò con la rivoltella che il padre aveva portato dall’America nel periodo in cui, come tanti altri suoi compaesani, era emigrato nelle Americhe.

Una volta uccisa Maria, in preda al rimorso alla disperazione e al dolore, Davide fuggi verso Reneuzzi e a sua volta si sparò. Venne ritrovato quasi un mese dopo e, su volere dei suoi genitori, venne sepolto nel suo paese.

Era il 22 Settembre 1961 e anche l’ultimo abitante di Reneuzzi ne era andato.

Riflessioni

Reneuzzi nasconde storie di uomini, anche tragiche, come quella di Davide e Maria.

Storie che fanno pensare e innescano riflessioni personali, quelle che probabilmente non fai subito mentre visiti Reneuzzi (o qualsiasi altro paese abbandonato) ma che le elabori successivamente “a freddo” quando sei solo, magari mentre sei in coda con l’auto, oppure di notte quando non riesci a prendere sonno.

La cosa che maggiormente intristisce il mio spirito è che gran parte di queste strutture e manufatti – che la gente ha costruito con tanta fatica e che per anni hanno assolto alle loro funzioni permettendo alla popolazione di sopravvivere – oggi sono ridotte a cumuli di pietre, macerie e frane.

Stiamo parlando di centinaia di muri a secco, seccherecci, chilometri di mulattiere lastricate in pietra, abitazioni, cascine, teleferiche, lavatoi e mulini ad acqua.

Di conseguenza anche i monti, i boschi, i campi e gli orti sono stati lasciati al loro crudo destino, consentendo alla natura anno dopo anno di rimpossessarsi del suo territorio che qualche secolo prima le era stato sottratto da questa gente che, nonostante le non poche difficoltà, l’aveva reso razionale e produttivo.

Eppure, nonostante queste immani fatiche e stenti quotidiani, la cosa straordinaria è che questa gente trovava anche il tempo, la forza e non ultimo lo spirito, per divertirsi e ballare.

Una ricorrenza, una festa patronale, magari un matrimonio, poteva essere un pretesto per allestire in quattro e quattr’otto una sala da ballo aperta a tutti; tutti si divertivano ballando o semplicemente stando a guardare e applaudire i ballerini o i musicanti che suonavano.

A pensare che qualche ora prima della festa, sia gli uomini che le donne che danzavano erano sicuramente alle prese con i loro soliti e massacranti lavori: la falciatura dell’erba, la vangatura dei campi, il rifacimento di un muretto a secco, tutto questo fa capire quanto grande fosse la loro tenacia, la loro forza e il loro spirito.

Molta storia è stata fatta da queste genti, che per secoli si sono rotte la schiena andando su e giù per questi difficili monti, cercando sempre di non mollare e lottare, contro il freddo e la fame.

Le pietre raccontano

Per concludere, Reneuzzi, con i suoi muri, con le sue rovine e con quel poco che è rimasto in piedi, ci parla.

Ci parla della storia di tanta gente che prima di noi ha vissuto in quei luoghi che, con quelle poche e povere cose che avevano a disposizione hanno fatto tanto e sempre con con grande dignità.

Ci parla delle carestie, degli stenti, della fatica e di tutto quanto è stato fatto da queste genti con secoli, ripeto secoli, di duro lavoro, in tutte le stagioni, in tutte le condizioni climatiche; persone ostinate, caparbie ed estremamente forti nel fisico e nella mente.

Insomma, Reneuzzi ci parla e tanto ci dice, ma parla solo a chi lo sa veramente ascoltare.

Commenta per primo

POTRESTI ESSERTI PERSO:

Le 5 ferrovie locali più panoramiche delle Alpi italiane

Viaggiare con lentezza: le 5 ferrovie di montagna più belle del nord Italia

Il Cammino di Dante: un anello di 380 chilometri tra Ravenna a Firenze