6 consigli essenziali per sopravvivere quando ti perdi nei boschi

Cosa bisogna fare quando ci si perde durante un'escursione nella natura? Un parco americano, analizzando la casistica dei trekker a cui è capitato di perdersi, ha realizzato una ricerca che mostra come hanno fatto a sopravvivere: vediamo i consigli fondamentali

5 maggio 2025 - 12:00

Perdersi sui sentieri: ed è subito lotta per la sopravvivenza

Perdersi sui sentieri non è esattamente come perdersi per le vie di una metropoli in cui viaggiamo per la prima volta, magari in vacanza.

Hai voglia avere tutto l’armamentario tecnologico a disposizione: smartphone, gps, bussola possono non funzionare.

Oppure una caduta può renderli inservibili. E poi lo sappiamo: la sfortuna, quando vuole, ci vede benissimo.

Insomma, le occasioni per smarrire la via nella natura sono molte e neanche troppo infrequenti.

Lo confermano le cronache, che quasi ogni giorno ci raccontano di escursionisti di cui si sono perse le tracce, storie che non sempre vanno a finire bene.

Perché la natura non è al servizio dell’uomo, né tanto meno delle sue scampagnate domenicali.

Ma come si comportano gli escursionisti quando perdono la traccia del sentiero? Come reagiscono, quali difese mettono in atto per riportare a casa lo zaino?

Per farla breve: qual è la loro strategia di sopravvivenza? Uno studio di un parco americano ha cercato di dare risposta a queste domande.

 

Perché gli escursionisti si perdono?

Il parco nazionale delle Smoky Mountains si trova sui monti Appalachi, tra North Carolina e Tennessee e ha una particolarità: con 12 milioni di visitatori all’anno è il parco più frequentato degli Stati Uniti.

Quattro volte più di Yellowstone, per intenderci, pur avendo una superficie di un quarto.

Come si può intuire, con  visite tanto numerose, i casi di smarrimento di escursionisti sui sentieri non possono che essere proporzionalmente numerosi.

Il parco ha così deciso di analizzare gli ultimi 25 anni di attività di soccorso per vedere cercare di capire quali sono le principali cause di smarrimento di un escursionista e quali strategie mette in pratica per evitarlo.

I dati analizzati riguardano casi in cui l’ escursionista era scomparso da un minimo di mezza giornata a un massimo di 90 giorni.

Nel 77% dei casi si è trattato di trekker salvati dai soccorsi, mentre il 23% è tornato a casa da solo.

La ricerca ha risposto a due domande principali: perché ci si perde e che strategie ha messo in pratica chi sopravvive?

 

1- Non lasciare il sentiero

Come si poteva immaginare, lo studio ha rilevato che la prima causa di smarrimento è abbandonare il sentiero.

Ben il 41% di chi si è perso nel parco americano ha iniziato la propria odissea in questo modo,  allontanandosi accidentalmente dal sentiero.

Peraltro perdere la traccia è più semplice di quanto si possa pensare. Basta il desiderio di andare a vedere un punto panoramico, ma dal quale ci separa un bosco apparentemente facile da attraversare, ma che facile non è.

Oppure può accadere di perdere di vista la segnaletica laddove è più scarsa.

O ancora, l’assenza stessa di segnaletica a causa della poca manutenzione del sentiero può condurci fuori dalla retta via.

Per farla breve, perdere il sentiero è molto più facile di quanto si possa immaginare e può capitare a tutti, anche a escursionisti esperti.

 

2 – Attenti al meteo e condizioni ambientali

Le altre ragioni per cui ci si perde – nell’esperienza del parco americano – sono il cattivo tempo (17%), separarsi dal gruppo degli altri trekker (8%), un incidente (7%) e l’oscurità (6%).

Chiaramente tutte queste cause comportano la perdita del sentiero, ma l’origine è diversa e a volte anche parzialmente evitabile.

Una controllata al meteo, non allontanarsi dal gruppo e calcolare bene i tempi di andata e ritorno del trekking per evitare di trovarsi al buio – magari portandosi una torcia frontale – sono tutte azioni che diminuiscono il rischio di perdersi in quelle circostanze.

 

3 – Come è sopravvissuto chi si è perso

Perdersi, soprattutto in inverno, significa doversi confrontare con gli agenti atmosferici e con il freddo, magari anche solo per passare una notte.

Dall’indagine condotta risulta che il 12% di chi è sopravvissuto ha utilizzato abbigliamento tecnico, anche di scorta nello zaino, che gli ha permesso di scaldarsi e combattere l’ipotermia, mentre  il 10% dei sopravvissuti è riuscito scaldarsi accedendo un fuoco.

Il 5% ha si è invece si è scaldato grazie al corpo dei compagni di viaggio, anche a quattro zampe.

Lo studio cita il caso di una signora che, ferita per una caduta e smarrito il telefono per chiamare i soccorsi, resistette a tre giorni di piogge e freddo grazie al calore dei suoi tre cani, avvinghiati a lei durante la notte.

E proprio uno dei cani, avvertendo la presenza dei soccorsi, abbaiò inducendoli a intervenire.

 

4 –  Trovare un riparo

Nella casistica analizzata dal parco il 12% dei dispersi aveva con se il necessario per montare una tenda e lo ha fatto, riuscendo così a trovare riparo dalle intemperie.

Tra quelli sprovvisti di tende, una parte si è salvata utilizzando ripari naturali come grotte (9%) e alberi (8%), altri se li sono costruiti scavando nella terra o nella roccia e isolando le aperture con rami.

 

5 – La ricerca dell’acqua

La mancanza d’acqua è uno dei maggiori fattori di rischio per la sopravvivenza, infatti camminando nella natura si perdono liquidi attraverso la sudorazione e la disidratazione è sempre dietro l’angolo.

Secondo i dati analizzati nello studio, il 24% dei sopravvissuti se l’è cavata abbeverandosi a bacini o corsi d’acqua, laghi e torrenti, di solito presenti in abbondanza nei parchi.

In questo caso è molto importante usare filtri per purificare l’acqua o, in mancanza, cercare acqua corrente possibilmente lontana da fonti di contaminazione: come animali che si abbeverano.

Ma cosa fare quando ci si è infortunati e non si può andare troppo lontano alla ricerca dell’elemento primordiale della vita?

Nell’esperienza del parco, in questo caso il 16% ha usato neve, pioggia e pozzanghere, il 6% ha bevuto le proprie urine e il 2% per cento ha succhiato tutto il succhiabile da foglie ed erba.

 

6 – Il cibo: se devi sopravvivere, ti accontenti di quello che offre la natura

Infine il cibo: come si è alimentato chi è sopravvissuto? Nella casistica del parco, nel 35% dei casi, è stato sufficiente razionare il cibo a disposizione fino all’arrivo dei soccorsi oppure fino al ritorno autonomo in un luogo sicuro.

Non tutti però sono stati così fortunati o previdenti, da avere una quantità di cibo sufficiente.

Chi non ne aveva si è nutrito di frutti del bosco e piante (9%). Ma c’è una percentuale minima (3%) che per salvarsi ha dovuto non essere troppo schizzinosa e alimentarsi con insetti.

Una delle conclusioni a cui la ricerca è arrivata è che sono più a rischio di perdersi gli escursionisti che fanno trekking giornalieri, piuttosto che plurigiornalieri.

Questo è ragionevole, ma non deve né scoraggiare chi ha poco tempo da dedicare al cammino nella natura né, all’opposto, indurre a credere che i più esperti non possano incorrere in imprudenze.

Anzi, il vero escursionista esperto non è quello che sa tutto sui bastoncini da trekking o su come si allacciano le scarpe, ma semmai chi sa gestire bene le proprie emozioni, inclusa quella che spinge ad andare oltre i propri limiti in rapporto a quello che la natura consente di fare il giorno del nostro trekking.

 

Informazioni utili

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