
Aspromonte, terre alte tra oriente ionico e occidente tirrenico

L’Aspromonte, in epoca remota, circa 8 milioni di anni fa, costituiva, insieme alla Sila e alle Serre, un pezzo delle Alpi meridionali che staccandosi si unì all’Appennino vero e proprio.
I geologi, infatti, oggi lo appellano anche con la denominazione di “Alpi calabre”, per evidenziare una natura diversa di queste montagne, formate principalmente da graniti e da rocce cristalline, rispetto a quelle dell’Appennino, che termina a sud con il Pollino e l’Orsomarso, di origine sedimentaria a predominanza calcarea. Il paesaggio è molto più simile a quello del Nepal, afferma addirittura qualche studioso, che al resto dell’Appennino. Sono queste origini ad aver prodotto i grandi conglomerati rocciosi della “valle delle grandi pietre”, forme particolari che hanno fatto meritare loro nomi quali Pietra di Febo, guglie delle Torri o Dolomiti di Canolo, Rocche di San Pietro, Pietra Cappa, Pietra Lunga, Pietra Castello, Rocca del Drago. Vicino Natile, per via di insediamenti rupestri, il paesaggio ricorda addirittura le Meteore della Cappadocia.
Un massiccio montuoso dunque che si erge repentinamente tra due mari, un paesaggio suggestivo costituito da rocce, fiumare, dalle acque tonanti delle cascate e da estese foreste, territorio naturale per un incredibile patrimonio di biodiversità, dove, in inverno, si può sciare guardando il mare, l’Etna e la Sicilia.
Naturale corridoio per il transito di migliaia di rapaci e uccelli migratori – oltre ventimila presenze solo nel periodo post nuziale, in questo ambiente eterogeneo non è raro incontrare la grande felce bulbifera (Woodwardia radicans), relitto tropicale del Terziario o, accanto alle cascatelle, l’Alchemilla austroitalica.
Paesaggi impenetrabili, scenari naturali dove si nascondono specie selvagge quali il lupo, il capriolo italico (di recente reintroduzione), il driomio (piccolo e curiosissimo roditore), il gatto selvatico, lo scoiattolo e, forse, anche la lontra.
Terra, fin dal secolo scorso, di briganti e di sequestri, ma, con l’istituzione del Parco, la forza di una natura selvaggia e incontaminata è diventata motivo di riscatto sociale per le comunità locali.
La partecipazione attiva della popolazione alla conservazione del patrimonio naturale ha prodotto particolari “contratti di premialità” per la prevenzione degli incendi boschivi e una ramificata rete di sentieri di fede e di natura, con percorsi di sapori e di storia legati ad antiche etnie grecaniche e italiche.
I pastori continuano a condurre i loro greggi di capre e pecore per i monti, utilizzando l’accetta dal lungo manico come bastone, mentre l’eco di una civiltà memorabile riecheggia nei numerosi “villaggi fantasma”, arroccati tra le pendici e le alture impervie che costituiscono quella che può essere considerata la montagna più identitaria della dorsale italica.
Misteri, leggende, feste popolari (come quella della Madonna della Montagna al Santuario di Polsi, un vero e proprio ritorno al passato) racchiusi in un territorio tutto da scoprire, dove sentieri, cascate e luoghi storici attendono solo di essere esplorati, con la delicatezza che ogni turista rispettoso della natura e delle tradizioni non dovrebbe aver bisogno di imparare.
All’interno dei 64.544 ettari del Parco Nazionale, borghi come Africo direttamente provenienti dalla mitica civiltà bizantina – profondamente trasfusa nella presenza di una comunità grecanica che oggi conserva lingua e usanze antiche – convivono con paesi come Gerace, Palizzi e Mammola, dove cucina tipica e artigianato locale incontrano una delicata modernità.
La nostra area protetta è capace di proporre tutto l’anno soluzioni diversificate e qualificate nell’ambito del turismo outdoor e del turismo rurale. Il turista si trova ad avere semplicemente l’imbarazzo della scelta, dalle escursioni a piedi ai percorsi a cavallo, dalla mountain-bike all’arrampicata, per non parlare delle offerte culturali ed eno-gastronomiche di una terra dove il succedersi delle stagioni quasi non si avverte tanto il clima è mite, salutare, terapeutico.
Nella nostra terra le tradizioni sanno rivivere sulla tavola, nei gesti attenti di mani artigiane e nelle variopinte feste locali. La genuinità dei prodotti locali pervade dolce e salato, da soppressate e capocolli a funghi, mandorle e miele, dal vino all’olio extravergine di oliva, frutti di una regione che custodisce la più autentica tradizione. Sono piccole produzioni di grande qualità, scandite dalle stagioni, frutto di una terra variegata, difficile, ma capace di conferire un carattere forte e unico ai suoi piatti tipici.
Attraverso decine di progetti di conservazione della biodiversità e di sviluppo sostenibile, l’Ente Parco, comprendente ben trentasette comuni, cerca oggi di rendere questa affascinante montagna una meta sempre più capace di produrre emozioni e conoscenza rivolte a chi, stanco dei ritmi frenetici della società iper-tecnologica in cui ormai viviamo, pratica turismo, alla ricerca di sensazioni che i molteplici aspetti etnici, paesaggistici e antropologici di un tale ambiente sono sicuramente in grado di donare.
Il nostro è dunque un invito a leggere queste 96 pagine che rappresentano un’importante opportunità di conoscenza del Parco Nazionale dell’Aspromonte all’insegna del sapere e dei sapori, per scoprire un patrimonio di inestimabile valore storico, culturale e naturalistico.
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