18 marzo 2020 - 15:26

Gli effetti del cambiamento climatico sono così evidenti, e sempre più devastanti, da non fare più notizia. Si accettano e si “assorbono” come semplici dati statistici, con una rassegnata tolleranza per situazioni che, ancorché eclatanti, sembrano venir considerate dall’opinione pubblica come un sempre più normale scadimento delle condizioni di vita.

Misura drammatica di questo costante peggioramento è rappresentata dal ritiro dei ghiacciai; molti possono pensare che siano solo una palestra di gioco per avventurosi in cerca di emozioni forti, perchè nessuna propaganda insegna che sono invece un insostituibile ed essenziale “magazzino” di acqua potabile per ogni essere vivente, e il loro degrado e ritiro influirà, anzi in parte già influisce, sulla vita di tutti noi.

Fino a una ventina d’anni fa, chiunque lanciasse allarmi, consapevoli o anche solo intuiti, sui cambiamenti climatici globali del nostro pianeta, veniva tacciato come folle visionario da una parte del mondo scientifico accademico foraggiato dalle lobbyes finanziarie mondiali; chi poi si azzardava a sostenere che questi cambiamenti erano una diretta conseguenza della smoderata fame di energia delle società evolute – Stati Uniti ed Europa in particolare – e della produzione di inquinanti atmosferici, veniva considerato un pericoloso ecoterrorista al soldo del più becero estremismo ambientale.

Oggi la situazione è in apparenza cambiata, con una superficiale “sensibilità” anche dei gruppi di potere economico, sempre avidi allo stesso modo, ma nei fatti poco o nulla si è fatto e si fa per contenere un declino del nostro patrimonio ambientale – aria, acqua, risorse naturali – che però oggi non è più possibile ignorare.

Diamo alcuni numeri

L’Italia, con il 21 per cento, è al secondo posto dopo la Svizzera per estensione delle masse glaciali alpine; fin dal 1915, il Comitato Glaciologico Italiano, nato nell’ambito del Club Alpino Italiano, si occupa di monitorare sistematicamente i ghiacciai e, in particolare, la misura delle variazioni frontali. A questo scopo ogni anno si svolge una campagna glaciologica nella quale numerosi operatori effettuano, alla fine della stagione estiva di ablazione, misure e fotografie da capisaldi, osservazioni sull’innevamento e sulla morfologia delle fronti.

Quest’attività non si è mai interrotta, salvo durante i periodi bellici, fornendo così una delle più lunghe serie esistenti al mondo di osservazioni delle variazioni delle fronti glaciali.

Secondo l’ultimo censimento del 1989 i ghiacciai delle Alpi italiane sono circa ottocento. Un piccolo ghiacciaio è pure presente al Gran Sasso, nell’Appennino Centrale. I ghiacciai italiani occupano una superficie di circa 500 kmq (un quinto dell’intera copertura glaciale delle Alpi) e sono concentrati principalmente nei massicci più elevati delle Alpi Occidentali e Centrali. Il complesso glaciale continuo più esteso è quello dell’Adamello (18 kmq), mentre il ghiacciaio vallivo più grande è quello dei Forni (13 kmq). Tuttavia gran parte dei ghiacciai italiani è rappresentata da piccoli ghiacciai di circo e di vallone.

Attualmente circa 150 ghiacciai sono ogni anno monitorati da un centinaio di operatori volontari, anche con la collaborazione di gruppi afferenti ad altre associazioni.

I dati sono semplicemente terrificanti: dalla seconda metà del XX secolo è in atto una fase di accentuata contrazione che ha portato i ghiacciai italiani a perdere circa il 40% della loro superficie. Il limite delle nevi si è innalzato di circa 100 metri. Molti piccoli ghiacciai sono scomparsi, mentre i maggiori si sono talora frazionati in individui minori, arretrando le loro fronti anche di 1-2 km. Questa fase di ritiro glaciale, riconosciuta in quasi tutti i ghiacciai di montagna della Terra, viene attribuita al riscaldamento climatico in corso.

Tra il 1980 e il 1999 la percentuale dei ghiacciai in ritiro è passata dal 12% all’89%; su 104 estensioni glaciali, la variazione media della regressione è valutata in –4,8 m/anno, per complessivi –95,4 m nell’arco del ventennio considerato. La fase di regresso è stata più consistente per il settore Lombardo, per il quale il ritiro medio cumulato delle fronti è di quasi 150 m.

 Come si misura lo spessore di un ghiacciaio

Il geologo Boris Mosconi si muove con disinvoltura sulla morena del ghiacciaio del Veneròcolo, una zona che conosce molto bene e che sta studiando per conto del Dipartimento di Scienze della Terra “Ardito Desio” dell’Università degli Studi di Milano. Lo scopo del progetto è quello di misurare lo spessore del ghiacciaio.

Le rocce grigie della Nord dell’Adamello sovrastano di ben 900 metri la superficie della Vedretta del Veneròcolo. L’ambiente è grandioso, con la cima piramidale dell’Adamello, il bianco del ghiacciaio che si trasforma gradualmente in grigio, colore del detrito che lo ricopre, e le acque cristalline nella sua parte più bassa che danno vita ad un piccolo delta, impreziosito da fiori e sinuose forme di terriccio che originano isolotti e penisole in miniatura.

La misurazione dello spessore della Vedretta del Veneròcolo consiste nel piantare numerose paline in diverse zone lungo il ghiacciaio. Per piantare le paline è opportuno rimuovere, dove presente, lo strato di detrito che ricopre la superficie ghiacciata. Per perforare il ghiaccio e far largo alla palina, si utilizza una trivella manuale; a volte per scalfire gli strati più duri è necessario aiutarsi con un chiodo da ghiaccio. A seconda della zona, a causa della durezza della superficie, la palina affiora dal ghiaccio in misura diversa; questo valore viene accuratamente annotato su un quaderno da campo.

Tornando successivamente in loco, si noterà che la parte della palina esterna al ghiaccio è aumentata e, misurandola, si potrà annotare la conseguente diminuzione dello spessore della Vedretta del Veneròcolo. Ovviamente le misurazioni di spessore del ghiaccio nei punti prestabiliti, annotati per vari anni, consentono lo studio della variazione dello spessore del ghiacciaio stesso. Periodicamente, alcune paline vanno rimpiazzate, in quanto il movimento del ghiacciaio e gli agenti atmosferici possono far sì che queste vadano perse.

La variazione di spessore è generalmente maggiore nel periodo estivo, quando il caldo e la mancanza della protezione della neve favoriscono lo sciogliersi del ghiaccio. In questo articolo le foto di alcuni dei momenti legati al rilevamento geologico-strutturale del ghiacciaio della Vedretta del Veneròcolo e di seguito la descrizione dell’itinerario.

L’APPROFONDIMENTO: Il Dipartimento di Scienze della Terra “Ardito Desio”

Tra i primi ad essere istituito in Italia, il DST eredita la tradizioni culturali degli istituti di Geologia e Paleontologia, Mineralogia, Petrografia e Giacimenti Minerari, Geofisica, che risalgono alle origini della Geologia in Italia ed hanno avuto un importante ruolo a partire dal secondo dopo guerra nello sviluppo della ricerca petrolifera e tecnologica, e nelle esplorazioni delle aree remote. Il DST, attraverso i 45 docenti e ricercatori che operano nei campi della Paleontologia, Geologia del Sedimentario e Strutturale, Mineralogia, Petrografia, Geochimica e Giacimentologia, della Geologia Tecnica ed Applicata, della Geomorfologia, e della Geofisica, e recentemente anche alle interazioni fra Scienze della Terra e Beni Culturali.

L’ITINERARIO: Vedretta del Veneròcolo

Dalla Malga Caldea, in val d’Avio, si sale lungo i numerosi tornanti della carrozzabile asfaltata, chiusa al traffico, sino al laghetto d’Avio. Si percorre la riva orografica sinistra del lago d’Avio (m 1900) e del seguente lago Benedetto (m 1929), sino alla bella e impetuosa cascata. Si sale alla Malga Lavedole (m 2044), in un bel pianoro. Si guada il torrente e si risale la ripida e faticosa val Veneròcolo su sentiero, in parte lastricato, sino alla chiesa della Madonna dell’Adamello e, poco dopo, su sentiero pianeggiante, sino al rifugio Garibaldi, sulle rive del lago Veneròcolo, sovrastato dalla poderosa piramide della cima dell’Adamello. Per proseguire verso il ghiacciaio si attraversa la diga e si cammina su sentiero, tra le pietraie.

Si perviene ad un bivio, dove si ignora il percorso per il Passo Brizio, e si continua sul sentiero dell’Adamello, per deviare, quasi subito, verso sinistra, in zona morenica. Si punta verso l’evidentissima cima dell’Adamello, ai piedi della quale si trova il ghiacciaio (attenzione a crepacci e massi instabili). Come arrivare: da Temù si devia a destra, di fronte alla piazza (indicazioni per rifugio Garibaldi) sulla strada per la val d’Avio; dopo circa 2 km di salita, sulla sinistra c’è la deviazione per Malga Caldea (stradina sterrata non molto larga con buone pendenze, da percorrere con qualche precauzione). Si prosegue per circa 2 km quindi si trova parcheggio in opportune aree attrezzate.

Località di partenza Malga Caldea (m 1584) Località di arrivo Vedretta del Veneròcolo (m 2600) Difficoltà E sino al rifugio EE / F la morena del ghiacciaio Dislivello +1016 metri Tempo di percorrenza 4 ore Segnaletica sentiero nr. 11 sino a rifugio Garibaldi Punti di appoggio Rifugio Garibaldi / conca del Veneròcolo (m 2550) / custodito Periodo consigliato luglio-agosto Come arrivare A4 uscita Seriate, segue SS42, passando da Lovere, Edolo, fino a giungere a Temù. Dalla Superstrada Milano-Lecco-Colico si prosegue per Sondrio sino al Passo dell’Aprica; da qui si continua per Edolo e Temù.

Testo di Michele Dalla Palma, Enrico Bottino, Cesare Re, Anna Panìco

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