COP24: un piccolo passo avanti, tra tante incertezze

18 marzo 2020 - 13:36

Alla fine, il paradosso di tenere la conferenza sul clima COP24 in Polonia, cioè nel paese con una delle tre centrali elettriche a carbone più grandi al mondo – Belchatow –  e che solo l’anno scorso ha inaugurato la singola unità più inquinante d’Europa a Kozienice per un investimento di circa 1,5 miliardi di euro, non ha portato benissimo.

Dopo due settimane di trattative e negoziati estenuanti, i delegati dei 200 paesi che si sono ritrovati a Katowice hanno partorito un Rulebook, un insieme di linee guida per l’implementazione degli accordi di Parigi, che anche i più ottimisti considerano un risultato abbastanza modesto.

Tuttavia qualche passo avanti nell’implementazione di quanto concordato alla COP21 – attivarsi per ridurre entro la fine del secolo l’aumento medio della temperatura globale entro 2 gradi – è stato fatto, al di là delle divisioni legate alla varietà degli interessi in gioco e ai contingenti orientamenti politici.

Vediamo su quali punti si è trovato l’accordo, cosa c’è ancora da fare e qual è ad oggi la situazione della lotta al global warming alla luce di quanto stabilito in Polonia.

 

I punti sui quali è stato trovato l’accordo

Il punto più rilevante sul quale i 200 delegati hanno sottoscritto l’accordo finale è la standardizzazione del monitoraggio delle attività che i diversi paesi si impegnano a compiere per progredire nella riduzione delle emissioni di CO2.

Si sono cioè concordate modalità di misurazione comuni e uniformi per dare applicazione agli accordi di Parigi.

La standardizzazione va di pari pari passo con la trasparenza. I paesi firmatari si sono impegnati anche sul modo in cui informeranno la comunità internazionale sull’attività svolta, elemento essenziale per rafforzare la fiducia reciproca.

Inoltre si è stabilito che i 100 miliardi di dollari di stanziamento previsti a partire dal 2020 a favore dei paesi meno sviluppati per aiutarli ad implementare le proprie politiche di sviluppo sostenibile aumenteranno a partire dal 2025.

In definitiva, questo è l’unico risultato di COP 24: uniformità e standardizzazione nelle misurazioni e nello scambio di informazioni, con deroghe per i paesi più poveri.

2. Le nuove dolenti note: il problema Brasile, i “carbon credits” e la Turchia

Gli accordi di Parigi prevedono un sistema ingegnoso per ridurre le emissioni, quello dei cosiddetti crediti di carbone.

Si è stabilito cioè un tetto massimo complessivo di emissioni di CO2 e i gli stati firmatari si sono impegnati a non emettere quantità di CO2 in misura complessivamente superiore a quel tetto.

Dopodiché all’interno del tetto massimo complessivo, data la diversità dei paesi per fabbisogno e livello di sviluppo, si sono ripartiti tra i vari paesi dei “carbon credits”, una sorta di “voucher” di emissioni che ogni paese può “spendere” fino al raggiungimento del tetto stabilito per quel paese.

Il criterio è quello di premiare chi fa maggiori sforzi per ridurre le emissioni. Ciascun paese non può superare i propri specifici crediti o diritti di emissione, ma una volta esauriti i propri può acquistarne da paesi virtuosi che non l’abbiano utilizzati.

In questo modo si crea un circolo virtuoso per cui il tetto massimo a salvaguardia del clima non viene superato in ogni caso e ciascun paese è stimolato a ridurre le proprie emissioni.

A Katowice il via libero al sistema è stata però prorogato a causa dell’opposizione del Brasile che ha proposto criteri di ripartizione dei carbn credits che secondo altri paesi avrebbero raddoppiato i diritti di emissione a suo vantaggio.

L’intento neanche nascosto del nuovo presidente Bolsonaro è infatti quello di aumentare lo sfruttamento della grande foresta amazzonica e più in generale la nuova amministrazione brasiliana non sembra molto ben disposta verso il tema del Global Warming, come ha fatto capire ritirando la proposta di ospitare la nuova conferenza sul clima nel 2019.

Anche la Turchia ha posto ostacoli al sistema della ripartizione, proponendo di essere considerata un paese in via di sviluppo e non un paese sviluppato, quindi potenzialmente destinatario di più estesi diritti di emissione.

Risultato finale di queste controversie: si riparlerà della ripartizione dei carbon credits alla COP25.

3. Come ridurre le emissioni?

Standardizzazione su monitoraggio e misurazioni e anche su modalità informative, ma nessun accordo concreto è stato trovato su come i singoli paesi intendono implementare la riduzione di emissioni.

Stante la situazione, siamo diretti verso un incremento di 3 gradi dai livelli preindustrriali che secondo la maggior parte degli scienziati avrebbe conseguenze disastrose, tra siccità, inondazioni, declino della produzione agricola.

Nel frattempo la prossima scadenza da segnare sul calendario sarà il 2020, quando i paesi dovranno dimostrare di aver raggiunto gli obiettivi fissati un decennio fa per ridurre le loro emissioni e dovranno stabilire obiettivi ancora più ambiziosi per il decennio successivo.

4. Quanto tempo abbiamo?


Soltanto due mesi fa l’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), l’organismo globale dei più importanti scienziati del clima al mondo, ha confermato che anche soltanto un aumento di 1,5 gradi sopra i livelli preindustriali avrebbe gravi conseguenze, incluso lo smantellamento delle barriere coralline e devastazione di molte specie viventi.

Secondo l’IPCC , il mondo non avrebbe molto tempo a disposizione per salvare se stesso.

Gli scienziati parlano di una dozzina di anni per dimezzare le emissioni ed evitare un incremento della temperatura oltre 1,5 dai livelli preindustriali.

Superato quel limite un incremento anche piccolo, di 0,5 gradi, avrebbe conseguenze disastrose per l’ambiente e per l’uomo.

5. A che punto siamo con le emissioni?

Dopo anni in cui le emissioni di carbonio del mondo sembravano essersi stabilizzate, ora sono di nuovo in aumento.

L’uso del carbone continua – la Polonia che ha ospitato COP24 ne è un esempio nel cuore dell’Europa – e il petrolio è ancora il motore di gran parte dell’economia mondiale.

L’energia pulita e rinnovabile è prodotta in quantità maggiori di quanto non si prevedesse, i costi sono scesi considerevolmente, ma la percentuale d’uso delle rinnovabili rispetto ai combustibili fossili è ancora insufficiente per soddisfare il fabbisogno globale.

6. Gli schieramenti dei paesi: gli scettici e i preoccupati

 

La COP24 ha segnato un passo indietro dal punto di vista della volontà politica di aderire alle linee guida indicate dagli scienziati.

Agli scettici tradizionali come Russia, Arabia Saudita e Kuwait, paesi con economie che ancora oggi fanno affidamento largamente sulle proprie riserve fossili per soddisfare il proprio fabbisogno energetico oltreché come fonte di profitti per la propria bilancia commerciale, si sono aggiunti gli Stati Uniti, l’Australia ed il Brasile.

Gli ostacoli alla lunga trattativa che ha portato faticosamente all’accordo finale e alla sottoscrizione del Rulebook, si devono principalemte alle obiezioni di questi paesi e si sono tradotte in un appoggio debole e annacquato alle raccomandazioni dell’IPCC. 

Il Brasile in particolare, che ha nel suo territorio il polmone verde del mondo ma anche potenziale riserva di carbone, ha ritirato la proposta di ospitare i prossimi colloqui, un atto negativamente simbolico che lo fa entrare nel club dei paesi scettici sulle tematiche del Global Warming.

D’altra parte i paesi europei sono sembrati i più sensibili alle tematiche del riscaldamento globale, anche se con alcune eccezioni, come nel caso della Polonia che però si è recentemente impegnata a incoraggiare lo sviluppo di infrastrutture per la produzione di energie rinnovabili.

7. I Prossimi appuntamenti

Archiviata COP24,  la prossima conferenza, a seguito della rinuncia del Brasile, si svolgerà in Cile e avrà l’obiettivo di risolvere i nodi ancora da sciogliere dopo Katowice.

Ancora più decisiva sara la COP successiva, per ospitare la quale hanno inviato candidatura Gran Bretagna e Italia.

In quella occasione i nodi verranno al pettine perché si verificherà chi avrà raggiunto gli obiettivi di riduzione stabiliti dieci anni prima e soprattutto bisognerà stabilire i nuovi obiettivi per i dieci anni successivi, che, viste le previsioni degli scienziati, potrebbero essere gli anni decisivi per evitare la catastrofe.

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