Dramatic view of Hiker man in red jacket standing on top of Valahnukur viewpoint surrounded by volcanic mountain and Krossa river in Icelandic Highlands at Thorsmork, Iceland
Le sfide non sono una novità per Daniele Matterazzo.
La sua vita già dall’età di 15 anni viene perturbata da un incidente in motorino che gli priva l’uso del braccio sinistro.
Nel pieno dell’adolescenza, questo trauma condiziona la sua quotidianità, e Daniele si ritrova a trascorrere molti anni come bloccato da questa situazione.
Poi una sera, quasi 15 anni dopo quel momento, un film visto per caso in TV gli dà lo stimolo per provare a ripartire per davvero: Il Cammino per Santiago.
Da quel momento, questo trentenne padovano ha percorso il celebre cammino spagnolo, poi la Via Francigena, e successivamente un itinerario nel nord della Svezia, trovando nel camminare la svolta della sua vita.
Il 4 agosto, dalla cittadina di Akureyri, partirà la sua nuova avventura nell’Europa del nord: una traversata di 400 km, a piedi e in solitaria, dell’Islanda.
Il progetto ha una finalità anche sociale, e il camminatore vestirà anche il ruolo del foundraiser per l’Associazione no-profit Emozionabile E.T.S. che promuove attività per le persone con disabilità.
Abbiamo raggiunto Daniele Matterazzo per chiedergli di questa sua nuova avventura.
Tutto è nato dopo aver completato il cammino dell’anno scorso nella Lapponia svedese.
Quella è stata un’esperienza che si differenziava da ciò che avevo fatto precedentemente, ossia dei percorsi che a fine tappa prevedevano servizi o ostelli pronti ad accoglierli e a fornirti cibo.
Quest’anno cercavo un’esperienza che mi consentisse di scardinare ancora di più la mia comfort zone.
Un modo per lavorare con i miei blocchi, emozionali e non solo. Insomma, un modo per sfidare la mia disabilità.
Perché così è nata la mia storia recente. Dal 2020 ho iniziato a camminare per colmare i vuoti che sentivo a causa di questo incidente.
Per 15 anni ho lasciato che la vita mi scorresse davanti finché una sera ho visto in TV “Il cammino per Santiago”, e mi si è aperto un mondo nuovo di fronte.
A partire da lì ho fatto i primi pellegrinaggi, poi l’anno scorso ho voluto sfidarmi in cammini che non fossero sostenuti da altre persone o altri aiuti.
Quindi ho scelto questo nuovo percorso perché sembrava quello che più poteva raggruppare tutto quello che cercavo.
Farò questa esperienza in completa autonomia, quindi con il cibo disidratato e la tenda.
L’anno scorso mi sono un po’ innamorato di queste terre gelide, che sono crude ma regalano tanto a livello naturale.
Avevo sentito parlare di questa traversata ma non avevo coscienza della cosa, quindi ho iniziato a studiarla e alla fine ho deciso di partire.
Con me avrò tutto l’occorrente per passare circa due settimane di viaggio in solitaria. La maggior parte delle cittadine in Islanda si trovano nei pressi della costa, mentre io attraverserò tutto l’interno, che è disabitato.
Foto credits: Getty Images
Diciamo al di là di qualche rifugio e qualche spazio dove poter montare la tenda non ci saranno servizi. Il cibo non c’è e l’acqua si raccoglie dai fiumi. Sarò così in completa autonomia. Mi porterò a spalle gli alimenti disidratati, l’attrezzatura e tutti i materiali.
Senza dubbio avrò delle difficoltà pratiche da affrontare, dovute alla mia disabilità. Io riesco a fare solo qualche movimento del braccio e della spalla.
Quindi sicuramente anche montare una tenda sotto la pioggia, con i venti forti che spazzano l’isola sarà una bella sfida insomma. Dovrò fare forza tra le gambe e l’unico braccio.
Ma era anche per questo che cercavo questa avventura, per sfidarmi in qualcosa che solitamente nella routine quotidiana non mi capita di dover fare. Cercherò di affrontare me stesso al 100%.
Per me il cammino è stato un tramite. Lo considero un modo più attivo per imparare a conoscermi meglio.
L’incidente che mi ha privato del braccio è capitato in età adolescenziale, in una delle fasi più delicate della vita.
Mi stavo formando, dovevo ancora crearmi una corazza, quindi per molti anni mi sono mancati tanti paletti che ho trovato solo a trent’anni grazie ai cammini.
La vita mi passava davanti, io non avevo le briglie per dominarla e ho trascorso tanti anni così.
Il primo cammino mi ha consentito di andare in cerca di quei pezzettini di me lasciati in giro lungo gli anni.
Non li ho ritrovati tutti, quei pezzettini, ma una coscienza diversa sì, che mi ha consentito di accettare lentamente quanto accaduto.
Il fatto che comunque avessi del beneficio a fare questa attività, in qualche modo mi faceva sentire vivo anche se portavo con me questa disabilità.
Il cammino mi ha ridato un po’ l’autostima, il coraggio che mi è mancato negli anni per affrontarmi, e alla fine è sfociato anche in altri ambiti.
Di sicuro non ho finito di lavorare con me stesso. Però ho visto grandi risultati di cui prima non vedevo nemmeno l’ombra.
Cerco di farmi portavoce della mia storia. Di lanciare il messaggio di non lasciarsi scoraggiare delle difficoltà perché tutti possiamo imparare a viverle in modo diverso.
Sono proprio queste difficoltà a tenerci fermi, immobili.
Il fatto di poterle affrontare, ognuna a proprio modo – per me è stato con il camminare – permette poi di vivere certe disabilità o certe complicazioni della vita in modo differente.
E alla fine gli ostacoli sono fatti, credo, anche per essere sorpassati.
A questo punto andare incontro, sfidare quelli che potrebbero essere i limiti o comunque le nostre paure, le nostre certezze mi ha dato modo di conoscere parti di me che prima erano rimaste lì, inesplorate.
In quel primo cammino ho visto proprio la mia rinascita, anche se non sapevo che cosa mi avrebbe portato, visto che prima di quel momento, per me, camminare era il modo più lento e noioso per spostarmi da un punto A-B.
Adesso, invece, è diventata una passione di cui mi piacerebbe vivere.
Insomma, mi sono reso conto che stare nell’ambiente outdoor e a stretto contatto con la natura mi fa stare bene.