Mother and baby with mountains on a background. Family spend summer holiday in Dolomites, South Tyrol, Italy, Europe. Woman and child on nature in the countryside in the Alpine village
Secondo l’ultimo rapporto dell’Istat, nel 2024 le nascite in Italia hanno toccato un nuovo minimo storico: 369.944 bambini, con un calo del 35,8 per cento rispetto al 2008.
Il tasso di fecondità medio è sceso a 1,18 figli per donna, confermando la tendenza alla diminuzione che prosegue da oltre un decennio.
Ma non tutte le aree del Paese si muovono nella stessa direzione.
Nelle regioni e province di montagna, in particolare nelle province autonome di Trento e Bolzano e in Valle d’Aosta, la natalità è in controtendenza.
I dati mostrano una crescita del 5,5 per cento in Valle d’Aosta, dell’1,9 per cento a Bolzano e dello 0,6 per cento a Trento rispetto all’anno precedente.
Sono le uniche aree d’Italia dove il numero dei nati non solo non cala, ma aumenta.
L’analisi dei dati indica che i territori montani più vitali dal punto di vista demografico condividono alcune caratteristiche comuni.
Si tratta di aree con un livello di servizi più diffuso, una maggiore disponibilità di asili nido e un sistema di welfare locale consolidato.
In Trentino-Alto Adige, ad esempio, la spesa pubblica pro capite destinata alle politiche familiari è più alta della media nazionale e le politiche di sostegno alla natalità sono continuative da anni.
Ph.: Gettyimages/Paolo Graziosi
Le province autonome offrono incentivi economici diretti, servizi educativi capillari e agevolazioni per la casa, elementi che riducono il peso economico della genitorialità.
Un altro fattore determinante è la qualità della vita.
In montagna le abitazioni sono più accessibili, gli spazi più ampi e i tempi di spostamento ridotti, condizioni che rendono più sostenibile la gestione familiare.
Inoltre, le comunità locali presentano reti sociali più solide: nei piccoli centri la presenza di nonni, parenti o vicini rappresenta un sostegno concreto nella cura dei bambini.
In queste zone la transizione alla genitorialità risulta quindi meno complessa, grazie a una combinazione di sicurezza economica, servizi e coesione sociale.
Al contrario, in gran parte del Paese la natalità continua a diminuire.
Le regioni con i cali più marcati nel 2024 sono l’Umbria, con un -9,6 per cento di nascite rispetto all’anno precedente, il Lazio (-9,4 per cento) e la Calabria (-8,4 per cento).
Anche in aree ad alta densità urbana, come Lombardia e Campania, il saldo resta negativo, seppure con valori meno accentuati. Le cause principali sono economiche e strutturali: precarietà del lavoro, costo elevato della vita, ritardo nella formazione di nuovi nuclei familiari.
L’età media al parto è ormai di 32,6 anni, con un progressivo spostamento delle prime nascite verso età più avanzate.
Inoltre, le differenze territoriali nella disponibilità di servizi per l’infanzia incidono fortemente: nelle regioni dove l’offerta di nidi pubblici è limitata e i costi privati sono alti, la scelta di avere figli viene spesso rinviata o ridotta.
La combinazione di fattori economici, culturali e infrastrutturali contribuisce quindi ad ampliare il divario tra le aree montane più organizzate e le regioni in maggiore difficoltà.
I dati Istat suggeriscono che la montagna italiana non è soltanto un’eccezione statistica, ma un modello di riferimento per comprendere come politiche familiari efficaci possano invertire la tendenza al declino demografico.
Le province autonome e le regioni alpine hanno investito per tempo su servizi, abitabilità e coesione sociale, costruendo un contesto favorevole alla vita familiare.
Ph.: Gettyimages/Unaihuiziphotography
Questo risultato evidenzia l’importanza di un approccio territoriale alla questione della natalità: la ripresa demografica non dipende solo da incentivi economici, ma dalla possibilità di vivere in luoghi dove infrastrutture e relazioni sociali rendano sostenibile crescere figli.
Il caso delle regioni montane mostra come la combinazione di politiche pubbliche mirate e qualità della vita possa produrre risultati concreti.
Per ridurre il divario con il resto d’Italia, servono interventi strutturali che rafforzino i servizi di base, le opportunità di lavoro stabile e la conciliazione tra vita e occupazione.
La montagna, in questo senso, non è un’eccezione geografica ma un indicatore di equilibrio sociale: dove le condizioni di vita sono favorevoli, la popolazione torna a crescere.
Il futuro demografico del Paese potrebbe quindi ripartire proprio da qui, dalle aree che dimostrano che vivere bene – anche in quota – significa poter scegliere di avere figli.
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