Biodiversità a rischio? Ne facciamo parte anche noi

18 marzo 2020 - 12:33

Spesso i problemi ambientali ci appaiono lontani e non in grado di toccarci nel nostro quotidiano, ma non è così! In molte aree del pianeta la biodiversità è scesa a livelli critici tali da minacciare concretamente la sostenibilità delle società umane negli anni a venire.

Uno studio portato a termine dalla University College London pubblicato sulla rivista Science ha dimostrato come la distruzione di molti degli habitat naturali ha drasticamente ridotto la la varietà di flora e fauna per oltre la metà della superficie terrestre che, peraltro, ospita il 70% delle popolazione mondiale. Insomma stiamo gradualmente distruggendo l’ambiente in cui viviamo senza renderci conto che si tratta di una risorsa finita, stiamo prelevando “moneta” naturale da un conto che non può ricevere versamenti.

Oggi la varietà di specie animali e vegetali del pianeta è scesa di circa il 15% rispetto all’origine, ovvero dal momento in cui le attività umane hanno iniziato ad agire sull’ecosistema. La storia dell’uomo si questo pianete è un fatto recente, occupa solo una piccola porzione della storia temporale della Terra, questo dato è ancora più preoccupante perché significa che un secolo e mezzo di umanità “industrializzata” ha distrutto poco meno di 1/6 della biodoversità.

È più chiaro come ritmi così non siano affatto sostenibile, nemmeno per pochi anni, queste cifre sono fornite in modo preciso e dettagliato dallo  studio pubblicato su “Science” dalla University College di Londra. Il principale responsabile di questa situazione è certamente lo sfruttamento incotrollato del territorio che ha raggiunto  livelli decisamente superiori al planetary boundaries limiti del pianeta – proposti nel 2009 dagli ambientalisti Johan Rockström dello Stockholm Resilience Centre e Will Steffen dell’Australian National University, che hanno definito i c.d. “limiti di sicurezza” delle attività umane in diversi ambiti, quali l’integrità della biosfera, l’acidificazione dell’oceano, il cambiamento climatico e così via.

In questi anni i politici e i potenti del pianeta sono preoccupati degli effetti che la crisi economica ha avuto sulla stabilità delle società occidentali e sugli equilibri internazionali, ma gli effetti di una “recessione ecologica” avrebbero proporzioni che nessuna contrazione economica potrebbe raggiungere. L’ecosistema è in un equilibrio continuamente minato dalle numerose attività umane che, per la loro aggressività crescente, rischiano di influire direttamente su processi biologici che garantiscono la vita sul pianeta, i ricercatori hanno spiegato che l’aggressione agli ambienti naturali ha ridotto la varietà di piante e animali al punto che processi come l’impollinazione, la decomposizione dei rifiuti, la regolazione del ciclo globale del carbonio potrebbero non essere più in grado di funzionare correttamente. Tutto questo avrebbe effetti seri sull’agricoltura e le culture a livello globale.

I ricercatori hanno passato al setaccio, catalogato e interpretato i dati provenienti da svariate centinaia di ricercatori in tutto il mondo nell’ambito del progetto PREDICTS, riguardanti nel complesso più di 39.000 specie in quasi 19.000 zone del pianeta. Questo tipo di ricerca, basata sulla comparazione e la catalogazione di un’enorme mole di informazioni, è arrivata a stabilire i livelli di cambiamento nella biodiversità del pianeta, con una mappa che evidenzia per ciascuan area del pianeta gli effetti dell’attività dell’uomo sull’ecosistema.

Da questo lavoro è emerso il rapido trend di decremento della diversità vegetale e animale, trend da invertire con assoluta urgenza altrimenti si corre il rischio di innescare meccanismi difficili da invertire, facendo perno su questi concetti il Dott. Newbold, ha sostenuto che:

I maggiori cambiamenti sono avvenuti in quelle zone in cui vive la maggior parte delle persone, il che può avere importanti conseguenze sul loro benessere fisico e psicologico.

L’impatto economico, globale e locale, della perdita di biodiversità rischia di avere costi enormi in considerando che proprio l’uomo è uno dei maggiori beneficiari dei cosiddetti servizi ecosistemici, che secondo la definizione dell’ISPRA sono “i numerosi vantaggi che gli ecosistemi forniscono agli uomini. Che comprendono, ad esempio, il cibo, l’acqua, i carburanti e il legname; i servizi, invece, comprendono l’approvvigionamento idrico e la purificazione dell’aria, il riciclo naturale dei rifiuti, la formazione del suolo, l’impollinazione e molti altri meccanismi regolatori naturali.”

 

Il vero problema è che i beni e i servizi ecosistemici sono sempre stati disponibili, fuori da ogni mercato e gratuiti, non abbiamo mai dovuto procurarli o acquistarli e, per questa ragione, le società occidentali assuefatte alle logiche di mercato non ne comprendono il reale valore. L’economista statunitense Robert Costanza afferma che

poichè i servizi ecosistemici non vengono catturati dai mercati e non vengono quantificati in termini comparabili ai servizi economici e ai prodotti industriali, molto spesso non vengono neanche considerati nelle decisioni politiche

di
Massimo Clementi

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