La Ciuìga, un salame al sapore di rapa

18 marzo 2020 - 10:43

La ciuìga è un insaccato con le rape, che da tempo immemorabile viene prodotta a San Lorenzo in Banale, ai piedi delle Dolomiti di Brenta.

È curioso, ma la sua produzione ed addirittura la conoscenza di questo prodotto non è mai arrivata molto più in là. Molte cose sono cambiate dai tempi dei bisnonni, ma mai si è interrotta questa tradizione, ed oggi la “ciuìga” è stata inserita da Slow Food nella lista dei “prodotti da salvare”.

La sua storia, è quella dell’estrema povertà nei secoli passati del territorio delle Giudicarie Esteriori. Fu proprio la necessità di trovare un companatico a buon mercato che suggerì di mescolare alla carne, sempre troppo scarsa, le rape, che facevano volume e ingannavano l’occhio e lo stomaco.

Il loro gusto delicato non alterava né copriva quello del maiale e, per rafforzare il sapore, vennero aggiunte delle spezie (aglio, pepe, sale). Un tempo le ciuìghe erano costituite per l’80% di rape e per il resto dagli scarti del maiale: testa, cuore, polmoni.

Niente veniva buttato; i tempi non lo permettevano! Oggi, invece, si usa la carne scelta; non troppo grassa, ma nemmeno eccessivamente magra, in una proporzione che va dal 60 al 70%.

Per il resto è rapa, cotta, strizzata per bene ed unita alla carne.

Si ottengono così le ciuìghe, che vengono ancora affumicate con il vecchio metodo, in un locale senza camino (il fumo esce dalle finestre!) dove il fuoco viene alimentato con qualche ramo di ginepro per conferire più aroma.

La sua preparazione in cucina è semplicissima: si mette in acqua tiepida, la si porta ad ebollizione e la si lascia bollire per 10-15 minuti, bucherellandola qua e là con una forchetta. Nella tradizione locale la ciuìga cotta è abbinata alla patata lessata (preferibilmente cotta con la buccia) e cicoria tagliata molto finemente. Un altro abbinamento possibile è con il purè di patate e capussi tagliati sottilissimi.

Il più tradizionale è l’abbinamento con i crauti, le lenticchie in umido (con pancetta, pomodoro ed alloro) ed il purè o la polenta. Se consumata dopo dieci o al massimo quindici giorni di stagionatura può essere gustata anche cruda abbinata a fette di pane leggermente tostato e imburrato.

Ma la ciuìga, a cosa deve questo suo strano nome?

Stando sempre ai racconti dei vecchi, pare che il nome sia legato all’aspetto esteriore del prodotto. “Ma el par na ciuìga!” sembra aver esclamato il suo produttore al primo esperimento. E ciuìga, che nel dialetto locale significa “pigna di conifera”, è stato. Anche sull’origine etimologica del nome, tuttavia, si sta cercando di avere notizie più precise e documentate. Per il momento ci accontentiamo della leggenda!

 

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