Clima: il POTERE IMPAZZITO

18 marzo 2020 - 17:54

Non stiamo parlando di fenomeni paranormali, semplicemente di un evento futuro prevedibile che trova conferma in questi giorni.

Sulle pagine della nostra rivista, TREKKING&Outdoor nr 289, lo avevamo anticipato, forse stasera il Presidente degli Stati Uniti d’America annuncerà l’uscita del suo paese dall’accordo di Parigi sul clima, un segnale chiaro e inequivocabile che la difesa dell’ambiente non sarà una priorità degli USA nei prossimi anni.

Su Twitter Donald Trump scrive: “Annuncerò la mia decisione sugli accordi di Parigi nei prossimi giorni, faremo l’America di nuovo grande”. E in seguito da anche un appuntamento preciso: alle 3 del pomeriggio di giovedì primo giugno, le 21 ora italiana.

Questo che segue, come anticipato a inizio articolo, è il servizio del nostro Direttore Responsabile Michele Dalla Palma pubblicato sul numero di Aprile di TREKKING&Outdoor.

Il potere impazzito

Gli Stati Uniti d’America e la Cina sono i due maggiori produttori di inquinamento a livello globale, ma con alcune differenze. Il gigante asiatico pare essersi finalmente accorto della gravità della situazione e inizia a mettere in atto politiche di contenimento dell’emissione in atmosfera di gas e sostanze tossiche.

Gli Usa, invece, hanno sempre mantenuto una posizione ambigua, improntata alla tutela della propria produttività anche se con la presidenza Obama qualche piccolo passo avanti, a favore dell’ambiente, era stato fatto.

Il neopresidente Trump, nonostante a cento giorni dall’insediamento la sua popolarità sia crollata ai livelli minimi mai registrati prima nella più grande democrazia del mondo, con un indice di gradimento intorno al 30%, continua imperterrito a perseguire il suo folle progetto di restaurazione dell’economia basata sui combustibili fossili.

Avendo sostenuto in campagna elettorale che il presunto “riscaldamento globale” è una bufala messa in giro dai cinesi per danneggiare l’economia americana, sta dimostrando una tragica coerenza nel compiere azioni che ricadranno in modo indiscriminato sull’intero pianeta.

Farò rivivere l’impero del carbone” ha dichiarato l’impresario dai capelli arancione – divenuto l’uomo più potente della Terra – dopo la firma del decreto che, consentendo la ripresa delle attività estrattive nel Paese, di fatto abortisce tutti i progressi fatti dalla precedente amministrazione democratica a tutela del clima e dell’ambiente.

Tra dubbi e certezze

Appartengo alla schiera di conoscitori superficiali del “global warming” convinti che, anche se con qualche distinguo, le cause scatenanti dei drammatici cambiamenti climatici a cui stiamo assistendo in questa epoca siano in gran parte imputabili all’azione dell’uomo.

A fine 2016, a Marrakech, la conferenza ONU sul clima, con la partecipazione di 20.000 persone in rappresentanza di 196 Paesi, di centinaia di Ong e migliaia di imprese, associazioni di scienziati, enti locali, popolazioni autoctone e sindacati, avrebbe dovuto rendere operativo l’”Accordo di Parigisiglato l’anno precedente. Un testo nel quale è stata indicata la “traiettoria” che il pianeta dovrà seguire per limitare i danni derivanti dai cambiamenti climatici.

L’obiettivo dichiarato è riuscire a mantenere la crescita della temperatura media globale sulle terre emerse e sulla superficie degli oceani a un massimo di +2 gradi centigradi, entro la fine del secolo, rispetto ai livelli pre-industriali, “proseguendo gli sforzi per rimanere il più possibile vicino agli 1,5 gradi”.

Per ora, però, siamo ancora molto distanti da questo obiettivo. Le INDC (Intended nationally determined contibution), promesse governative prima della convenzione parigina, non sono state mantenute e, anche se lo fossero state, nel 2100 non si sarebbe arrivati a +2 gradi centigradi, bensì a +2,7. E secondo numerose Ong, le INDC attuali porteranno a sfiorare ampiamente la soglia dei 3 gradi.

Una lettura distorta dei dati

Carbon and inequality: from Kyoto to Paris” è un saggio sui cambiamenti climatici scritto dall’economista Thomas Piketty e Lucas Chancel, della École d’économie de Paris. In questa ricerca i due studiosi descrivono l’evoluzione, a livello globale, della distribuzione delle emissioni di anidride carbonica e altri gas serra nei diversi continenti e regioni del pianeta, in particolare dal 1998 al 2013. Spiegano come sia cambiata questa distribuzione in relazione ai livelli di disuguaglianza economica. Non solo tra gli abitanti dei diversi paesi ma anche all’interno della popolazione di ogni paese.

Secondo questo studio, il basso livello di emissioni dell’Europa si spiega in buona parte col fatto che l’industria occidentale subappalta massicciamente all’estero, in particolare in Cina, la produzione dei beni industriali ed elettronici inquinanti destinati al nostro consumo.

Sarebbe molto più sensato, sostengono i due economisti, ripartire le emissioni in funzione del Paese di consumo finale piuttosto che di quello di produzione. Constateremmo in questo modo che le emissioni europee schizzano in su del 40% (quelle nordamericane del 13%) mentre quelle cinesi scendono del 25 per cento.

Tenuto conto che i cinesi sono 1,4 miliardi – poco meno del triplo dell’Europa e oltre quattro volte più del Nord America – dovremmo riflettere sul fatto che i cinesi emettono attualmente, per persona, l’equivalente di 6 tonnellate di anidride carbonica l’anno (più o meno in linea con la media mondiale) contro le 13 tonnellate europee e le oltre 22 nordamericane.

La metà del pianeta che inquina meno – 3,5 miliardi di esseri umani dislocati principalmente in Africa, Asia meridionale e Sudest asiatico – emette meno di 2 tonnellate per persona ed è responsabile di appena il 15 per cento delle emissioni complessive. All’altra estremità della scala, l’1 per cento che inquina di più, settanta milioni di individui, è responsabile di circa il 15 per cento delle emissioni complessive. Settanta milioni di individui inquinano quanto 3,5 miliardi di persone.

Tutti pazzi per gli smartphone?

Secondo Piketty, il contributo alle emissioni globali di chi risiede nei paesi ricchi continua a essere molto maggiore di quello di chi vive in paesi come la Cina. E nel calcolo del contributo alle emissioni di ogni paese non si deve tenere conto soltanto di dove i gas serra vengono rilasciati, ma anche di dove avvengono i consumi responsabili di queste emissioni.

Per esempio, il rilascio di anidride carbonica causato dalla fabbricazione in Cina di smartphone venduti in Europa dovrebbe essere attribuito agli europei, non ai cinesi. Come detto sopra, l’1% della popolazione del pianeta è responsabile del 15% delle emissioni, quanto la metà della popolazione mondiale. Secondo le stime di Piketty e Chancel, il 57% di queste persone vive in Nord America (USA e Canada), il 16% in Europa e solo poco più del 5% in Cina.

I cambiamenti climatici nella storia

Il clima ha una sua storia molto particolare. Tra il 21 e il 50 d.C. si ebbero temperature superiori a quelle di oggi, tanto che fu possibile importare in Inghilterra la coltivazione della vite. Intorno all’anno mille il riscaldamento continentale consentì ai vichinghi di colonizzare la Groenlandia (che fu così chiamata proprio perché era diventata «gruene», verde) e l’America del Nord.

Tuttavia, la calotta di ghiaccio che oggi ricopre l’80% della Groenlandia ha un’età stimata di almeno 400.000 anni, perciò doveva essere presente anche durante le prime esplorazioni vichinghe. È vero, però, che quell’epoca viene definita “Periodo Caldo Medievale”. Ci sono evidenze che al tempo della prima colonizzazione dell’isola in alcune aree del Nord Atlantico e dell’Europa ci fossero temperature più calde delle attuali.

Questo può aver favorito gli spostamenti verso Nord, ma per le popolazioni che approdarono sull’isola fu possibile insediarsi solo in aree limitate del territorio. È possibile, perciò, che il re vichingo Erik il Rosso abbia chiamato quella regione “terra verde” perché alcune aree costiere erano effettivamente ricoperte da vegetazione, ma anche per richiamare coloni verso l’isola. In ogni caso, quello definito “Periodo Caldo Medievale” fu un fenomeno sostanzialmente regionale, non globale.

Nello stesso periodo, sulle Alpi Occidentali l’inverno finiva già gli ultimi giorni di gennaio, e dai principali passi, liberati dalla neve, le popolazioni dell’Alta Savoia scendevano ad Aosta per partecipare alla Fiera di Sant’Orso, com’è testimoniato nelle cronache della millenaria manifestazione.

Dopo l’anno mille, come ha rigorosamente documentato lo storico francese Emmanuel Le Roy Ladurie, si sono alternate epoche di riscaldamento e di glaciazione senza che l’uomo avesse alcun potere di influenzare questi cambiamenti, e anche nel ventesimo secolo la temperatura è salita tra il 1910 e il 1940, è scesa poi fino alla metà degli anni Settanta, ma ha ripreso a crescere a partire dal 1975.

Tuttavia, se è vero che temperature e clima sono mutati diverse volte nella storia della Terra, il cambiamento che ha portato all’attuale temperatura è diverso da altri che il pianeta ha sperimentato in epoche passate. Quando si parla dell’attuale riscaldamento si parla di una tendenza all’aumento della temperatura media globale, che deve essere distinto sia da cambiamenti su scala regionale che da fluttuazioni nel breve periodo.

È solo anidride carbonica?

L’attuale riscaldamento globale, oltre che per la sua velocità, si distingue dai cambiamenti precedenti per le sue cause, come evidenziato dal consenso scientifico ormai avvallato dal 97% degli scienziati e dei climatologi.

Il meccanismo con cui l’anidride carbonica può far aumentare l’effetto serra nell’atmosfera è noto infatti da tempo. Già nel 1859 John Tyndall scoprì che il vapore acqueo e l’anidride carbonica sono gas capaci di intrappolare il calore. Nel 1896 Svante Arrhenius stimò l’effetto sulla temperatura globale causato da un aumento dell’anidride carbonica nell’atmosfera.

L’Intergovernamental Panel on Climate Changes (IPCC) afferma che la metà circa delle emissioni umane di CO2 dal 1750 al 2011 è avvenuta negli ultimi 40 anni. La rapidità dell’aumento della concentrazione di anidride carbonica nella seconda metà del ’900 va di pari passo con quello della temperatura.

L’Earth Observatory della NASA scrive che da quando la Terra è uscita dalle ere glaciali, nei milioni di anni passati, la temperatura globale è cresciuta di 4-7 gradi centigradi, ma nell’arco di migliaia di anni. L’aumento della temperatura in atto dagli ultimi decenni del secolo scorso si è verificato ad una velocità senza precedenti, dieci volte maggiore del tempo medio di riscaldamento seguito a un’era glaciale. Quanto alla concentrazione atmosferica di anidride carbonica, si sta ormai avviando a essere stabilmente al di sopra delle 400 parti per milione. Come sottolinea la britannica Royal Society, l’attuale riscaldamento non può essere l’effetto dei cicli dell’attività solare.

La maggior parte dell’aumento della temperatura globale dalla seconda metà dell’800 a oggi si è verificata a partire dalla metà degli anni ’70. Nove dei dieci anni più caldi tra quelli registrati in un secolo e mezzo di rilevazioni sono concentrati dal 2000 a oggi, e il 2016 è stato un nuovo anno record. Secondo i dati della NASA, la temperatura di settembre è stata di 0,91 gradi centigradi superiore alla media di riferimento del periodo (tra il 1951 e il 1980). Il settembre più caldo in 136 anni di registrazioni.

La comunità scientifica internazionale sconfessa gli “scettici”

Con buona pace di Trump e delle sue farneticazioni, la percentuale di scienziati accreditati che concordano con la teoria che vede l’uomo e le sue azioni quale causa del riscaldamento globale, così come calcolato in diversi studi dal 2004 a oggi, sfiora ormai l’unanimità.

Secondo il recente studio di John Cook “Consensus on consensus: a synthesis of consensus estimates on human-caused global warming”, a seconda del metodo di misurazione del consenso, la percentuale si colloca tra il 90 e il 100%, con un valore che si attesta attorno al 97%, e la percentuale di consenso aumenta insieme al grado di competenza nel campo della scienza del clima.

I climatologi, perciò, concordano praticamente tutti sulle evidenze che riguardano le cause del riscaldamento globale; il consenso scientifico non è semplicemente l’opinione della maggioranza in un dato momento (la validità di una teoria non si decide ai voti), ma è l’espressione del giudizio della comunità scientifica, su un certo tema, così come emerge nel tempo dagli studi e dalla letteratura scientifica.

L’uomo dai capelli arancione al comando dell’esercito di industriali e affaristi senza scrupoli che pensano ancora valga la “legge del più forte” in vigore durante la conquista del West stanno organizzando, in nome del diritto di “fare affari”, un attacco letale alle legittime aspettative della futura umanità… basterà la protesta a fermarli?

Articolo di Michele Dalla Palma

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