Populonia, sulle tracce degli Etruschi

18 marzo 2020 - 10:27

A Populonia e Baratti, in uno dei luoghi più belli, integri e incontaminati della Toscana, il connubio storia-natura trova la sua massima espressione. Protagonisti di questo viaggio, anche temporale, sono gli Etruschi, un popolo circondato da sempre da un alone di mistero, che ha attirato a sé la curiosità della gente e l’interesse di storici e studiosi. Le tante necropoli lambite dalle acque del golfo di Baratti, hanno fatto luce, seppure solo in parte, su alcuni degli enigmi e misteri che circondano gli Etruschi. Visitabili grazie alla realizzazione del Parco Archeologico di Baratti e Populonia, le aree sepolcrali di Poggio delle Granate e Piano delle Granate, Podere di San Cerbone e Casone, Poggio della Porcareccia e Poggio del Mulino testimoniano il sistema di vita della comunità di Populonia e la pratica del culto dei morti. In dieci ettari sono stati rinvenuti corredi funebri e tombe monumentali “a tumulo” e “a edicola” risalenti al VII e VI secolo a.C., oltre a prove sicure di due delle principali attività esercitate dagli etruschi: l’estrazione della pietra (usata per costruire pietre e tombe) e la lavorazione del ferro.
Unica città edificata sulla costa dagli Etruschi, Populonia dall’alto di un promontorio controllava l’insenatura naturale del golfo di Baratti. Qui si concentrava lo smistamento e la lavorazione del minerale estratto dai Monti della Tolfa, alle spalle di Velathri (Volterra), il più grande agglomerato urbano dell’antichità; dalle Colline Metallifere, nell’entroterra di Populonia; dall’isola d’Elba, ad appena una decina di chilometri dal continente. Attorno al VII-VI secolo a.C, con grande acume gli Etruschi costituirono le basi del loro potere, e con l’opulenza economica derivata dallo sfruttamento della fonte primaria dell’epoca, il ferro, consolidarono la fama di indiscussi signori del mare. Quello stesso ferro che sfruttato in minima parte con le tecniche del tempo, contribuì alla formazione di enormi cumuli di scorie grazie ai quali un insolito destino toccò ai tumuli funerari di Baratti. Scomparsi gli Etruschi, i Romani proseguirono le estrazioni del minerale e le scorie aumentarono a tal punto da coprire le vicine necropoli, sottraendole alle spoliazioni dei secoli a venire. Per circa quattrocento anni se ne persero le tracce, e quando gli impianti vennero riattivati dagli Ostrogoti di Teodorico già molte delle testimonianze etrusche erano “irraggiungibili” ai tombaroli. Solo nell’Ottocento furono eseguiti alcuni sporadici scavi che portarono alla scoperta delle prime monumentali tombe, ma le sorprese più grandi si ebbero quando di fronte alla maggior richiesta di ferro, a cavallo delle due grandi guerre, la moderna siderurgia reputò economicamente conveniente utilizzare le scorie ereditate dalle nostre due antiche civiltà. Fu allora che sotto oltre 10 metri di terra vennero alla luce tombe inviolate, alcune tra le più belle e ricche finora scoperte. Oggi le necropoli e le ampie strade lastricate che collegavano la “città dei vivi” alla “città dei morti” sono visitabili (info: 0565.29002 c/o Parco Archeologico) e parte integrante del panorama, nascoste e protette da profumati boschi di macchia mediterranea. Le ricchezze celate nelle tombe rimaste per lungo tempo inviolate e le dotazioni funerarie scampate ai saccheggi sono oggi esposte nei musei di Populonia, di Firenze e di Parigi.
Chiunque è pronto a giurare che la Civiltà occidentale è frutto della cultura greca e latina, eppure alcuni archeologi hanno ipotizzato che la paternità sia da attribuire agli Etruschi. La storia si sa, è sempre scritta dai vincitori, ed è innegabile che i Romani volessero essere ricordati come secondi a nessuno. Purtroppo la letteratura Etrusca, la Tuscae Historiae andò distrutta e pure si persero i venti volumi della Tyrrhenikà, scritti dall’imperatore Claudio nel II sec. d.C. (non ci è dato sapere quanto intenzionali furono queste perdite avvenute in tempi così remoti!), eppure citazioni frammentarie di storici greci e latini, riferiscono degli Etruschi con enorme rispetto ed ammirazione, attribuendo loro invenzioni e tecniche costruttive rivoluzionarie per l’epoca.
Tutto ciò che appartiene alla cultura Etrusca appare unico e originale, niente in comune con ciò che circondava “l’isola etrusca”. La dinamica della storia spinge popoli in espansione verso nuovi territori e sbocchi commerciali: gli Etruschi avrebbero trapiantato un’intera cultura completa di strutture civili e religiose su suolo straniero iniziando sulle amene colline racchiuse tra l’Arno e il Tevere; il primo grande esperimento della storia di sviluppo e trasformazione del territorio. Si imposero sulle tribù locali con la forza dell’ingegno e di avanzate conoscenze in loro possesso.

Le grandi opere intraprese, città con abitazioni in muratura, opere idrauliche per prosciugare e regimentare le acque, campi disboscati e coltivati con specie vegetali fino allora sconosciute, tombe grandiose, estrazioni minerarie su larga scala, tutto dovette contribuire a farli sembrare semidei, spingendo le semplici popolazioni locali, ad apprendere lingua e costumi di quei magnifici sconosciuti e beneficiare così del benessere da loro apportato. Del resto i pochi Etruschi giunti sulle coste del Tirreno non avrebbero potuto fare tutto da soli! Via via che il mistero si dirada, si potrebbe concludere affermando che l’ambizioso progetto di costruire un “nuovo mondo” sarebbe perfettamente riuscito… gli Etruschi dopo 3000 anni, sono ancora tra noi.

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