Quando si decide di affrontare un trekking o un cammino, la pianificazione accurata è la base per non andare incontro a spiacevoli imprevisti.
Non esiste però preparazione in grado di escludere ogni contrattempo, infatti quando ci si mette in cammino capita spesso di trovarsi davanti a circostanze inattese: brutto tempo, attrezzatura inadeguata o problemi fisici che non devono essere ignorati.
Il desiderio di proseguire e di arrivare a destinazione può scontrarsi con il buon senso e con la sicurezza personale.
L’obiettivo finale di ogni esperienza outdoor non dovrebbe essere raggiungere la meta o la vetta ma, al contrario, tornare a casa sani e salvi.
Abbiamo raccolto le testimonianze di alcune guide che ci hanno spiegato quando è arrivato il momento di abbandonare l’escursione e tornare indietro senza rimpianto.
Il tempo in montagna può cambiare in poche ore.
Una guida escursionistica racconta un’esperienza vissuta su un itinerario di più giorni in ambiente alpino.
É bastata una notte di pioggia incessante per trasformare la tappa del giorno successivo, interamente in quota ed esposta, in un rischio concreto per la sicurezza.
Il brutto tempo imprevisto – Getty Images
L’attrezzatura di uno dei compagni di cammino si era inzuppata d’acqua e, senza una finestra di bel tempo per asciugare, il pericolo di ipotermia era reale.
La presenza di un sentiero laterale ha permesso di raggiungere una strada, anche se sotto grandine e in condizioni meteo difficili.
Tornare indietro ha significato rinunciare all’itinerario, ma anche evitare conseguenze ben più gravi. Una decisione che, col senno di poi, si è rivelata la più saggia.
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Non sempre il pericolo è immediato e visibile.
Due escursionisti, all’inizio di un lungo percorso molto panoramico, si sono trovati a camminare immersi nel fumo prodotto da incendi boschivi che si stavano estendendo a qualche chilometro di distanza.
Il pericolo incendi – Foto Getty Images
L’area non era direttamente minacciata dal fuoco, ma l’aria irrespirabile e la scarsa visibilità rendevano l’esperienza tutt’altro che piacevole. Dopo alcune ore di cammino, i due hanno deciso di interrompere il trekking.
La scelta è stata difficile: l’escursione era stata programmato da giorno e i chilometri fatti per raggiungere l’itinerario erano stati molti
Proseguire però avrebbe significato camminare senza poter godere del paesaggio, uno degli elementi centrali di quell’escursione.
Meglio rimandare, promettendosi di tornare in condizioni migliori.
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Anche un infortunio apparentemente limitato può compromettere un’intera escursione.
Un’escursionista impegnata in un itinerario impegnativo in alta montagna si è fratturata un dito dopo una caduta su terreno instabile.
Problemi fisici – Foto Getty Images
Il dolore e il gonfiore le impedivano perfino di portare lo zaino in autonomia. Proseguire avrebbe significato affrontare ancora diverse ore su un terreno complicato, aumentando il rischio di ulteriori incidenti.
Valutata la situazione insieme al compagno di cammino, la decisione è stata quella di rientrare lungo un punto di uscita intermedio.
Rinunciare all’obiettivo non è stato facile, ma la sicurezza ha avuto la priorità.
Non sempre è il corpo a fermarci. A volte è la mente a lanciare segnali che non vanno ignorati.
Una camminatrice esperta racconta come il suo stato mentale influenzi profondamente l’andamento di un’escursione.
Se più fattori iniziano ad andare storti, come per esempio stanchezza o stress accumulato, la capacità di affrontare le difficoltà diminuisce.
In queste condizioni, forzare la mano può trasformare un’esperienza rilassante di contatto con la natura in una fonte di ulteriore tensione.
Il sentiero non scompare: tornare in un momento più favorevole permette di viverlo con lo spirito giusto.
L’esperienza non sostituisce l’equipaggiamento adeguato.
Un’escursionista ricorda una salita lungo un ghiacciaio affrontata senza l’attrezzatura di sicurezza completa, lasciata a valle sulla base di valutazioni ottimistiche delle condizioni del percorso.
Una volta in quota, la presenza di crepacci e terreno instabile ha reso evidente l’errore.
Attrezzatura inadeguata – Foto Getty Images
Sentendosi esposta e insicura, ha scelto di tornare indietro da sola, finendo per perdere l’orientamento e dovendo affidarsi all’aiuto di altri escursionisti per rientrare.
L’episodio si è concluso senza conseguenze, ma ha lasciato una lezione chiara: l’equipaggiamento essenziale non è mai superfluo.
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A volte ci si accorge della reale difficoltà di un itinerario solo una volta arrivati sul posto.
È quanto successo a un gruppo impegnato in un lungo anello in una zona remota di montagna.
Dopo una salita faticosa e più lenta del previsto, il gruppo si è trovato davanti a un tratto esposto, su terreno friabile e stretto.
Guardando il versante opposto, la sensazione di insicurezza è stata immediata.
Dopo un confronto tra tutti i partecipanti, nessuno si è sentito davvero tranquillo nel proseguire.
La decisione è stata quella di tornare indietro, accettando la frustrazione del momento e rimandando l’obiettivo a un’altra occasione.
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In un’escursione di gruppo, il ritmo e le decisioni devono tenere conto delle condizioni e della preparazione di tutti i partecipanti.
Una famiglia, impegnata in un trekking di più giorni, si è trovato a fare i conti con condizioni difficili: insetti, neve residua, vento forte e pioggia notturna.
Mentre alcuni erano pronti ad aspettare un miglioramento del meteo per proseguire il viaggio a piedi, una componente del gruppo era ormai infreddolita e non riusciva a recuperare calore.
Forzare la situazione avrebbe significato ignorare un limite evidente e mettere a rischio la sicurezza di tutti.
La scelta di rientrare è stata fatta mettendo al centro il benessere della persona più in difficoltà.
Un compromesso che ha preservato l’equilibrio del gruppo e il senso stesso del camminare insieme.
Nel mondo dell’outdoor e dell’escursionismo, saper rinunciare è una competenza tanto importante quanto saper leggere una carta o valutare il meteo.
Tornare indietro non cancella l’esperienza: la arricchisce, insegnando ad ascoltare l’ambiente, il gruppo e sé stessi.
Il sentiero resterà lì, pronto ad accoglierci un’altra volta. E ogni rientro consapevole è un passo in più nella costruzione di una relazione matura e rispettosa con la montagna e la natura.
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