Abruzzo: camminare tra i borghi aquilani

Una provincia che ha la montagna ben impressa nel suo dna. Un reticolo di vette a volte aspre e rocciose, a volte dolci. Quando la roccia non si mostra nelle sue forme più imponenti, diventa simbolo di storia e tradizione, fondamenta dei tanti piccoli borghi che scrutano le valli dall’alto della loro posizione.

16 maggio 2020 - 6:44

La strada prosegue, mai rettilinea, nella sua salita costante. Gli scorci di paesaggio, sempre diversi di curva in curva, rendono il viaggio una continua scoperta.

Impossibile stancarsi, nella loro alternanza ritmica, di quei crinali ondulati. In fondo, la splendida Rocca Calascio pare un puntino, poi ancora il massiccio della Majella.

A un tratto, la strada scollina e si apre un pianoro immenso, colorato. Campo Imperatore dà così il suo benvenuto all’escursionista e al viaggiatore, dischiudendosi nel suo gigantesco abbraccio d’alta quota, da cui si può partire per conquistare il Gran Sasso, re indiscusso dell’Appennino.

La provincia dell’Aquila si presenta così, con i suoi connotati naturali di una bellezza travolgente, selvaggi come pochi altri angoli d’Italia, rifugio di animali e culla di antiche tradizioni culinarie e artigianali.

Quella aquilana è una bellezza da scoprire a piccoli passi, inoltrandosi nei boschi o tra le viuzze dei suoi paesini. Una delle province più “protette” d’Italia: nella sua parte più settentrionale, il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga segna il confine con le Marche, l’Umbria e il Lazio, sfiorando gli altrettanto suggestivi paesaggi del Parco Nazionale dei Monti Sibillini.

Sono i luoghi incantati di Campo Imperatore e del suo altopiano, del Lago di Campotosto contornato dalle cime dei Monti della Laga e del Gran Sasso.

E se Gran Sasso è re, Majella è regina. Seduta al suo fianco, poche vallate dietro il suo trono di roccia, la seconda montagna d’Appennino – come ogni “First Lady” che si rispetti – è più dolce nei tratti, ma altrettanto spettacolare. Ai suoi piedi Sulmona, la città dei confetti, che si mostra in tutto il suo splendore nella Piazza Garibaldi, sormontata dall’acquedotto medievale e dal profilo del Monte Morrone.

Originario di Sulmona è il Sommo Poeta Publius Ovidius Naso noto come Ovidio, alla figura del quale la Camera di Commercio dell’Aquila ha destinato un contributo per l’allestimento di un laboratorio culturale denominato “SpaziOvidio”.

Intorno alla città, altri borghi d’incanto come Introdacqua e Pacentro, Roccaraso e Pettorano sul Gizio, che scrutano le vallate e gli altipiani.

Cambiando versante e spostandosi verso ovest il fascino montano rimane inalterato: si passano i confini del Parco Nazionale della Majella e ci si addentra nel Parco Nazionale di Abruzzo, Lazio e Molise. Sono questi i luoghi che meglio rappresentano l’intreccio di tradizioni e natura, che qui si presenta selvaggia e incontaminata.

Roccia e orsi, laghi e camosci, lupi e boschi fittissimi, popolano un’area valliva che ha ispirato scrittori e artisti grazie alle sue incredibili terre.

Risalendo, è l’area del Parco Regionale del Sirente-Velino a riportarci verso il capoluogo: un massiccio che racchiude una delle aree protette più estese d’Italia, un ambiente montano fatto di canyon, ghiaioni, vallate e foreste. Sotto le loro austere cime, la piana del Fucino, Avezzano e i suoi borghi, un immenso e antico bacino carsico prosciugato a fine 800, una conca immensa, se vista dalle cime che la sovrastano.

Le terre selvagge dei parchi aquilani sono inoltre dimora ideale per numerose specie faunistiche protette, tra cui i tre mammiferi simbolo della regione: il camoscio appenninico, salvato dall’estinzione grazie ad un’azione di ripopolamento, il lupo appenninico e l’orso bruno marsicano, simbolo del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise.

Tra le fronde si nascondono poi la schiva lince e il cervo, il gatto selvatico e il capriolo, mentre nei cieli volano moltissime specie di uccelli, tra cui l’aquila reale, il falco pellegrino e il grifone.

Poi L’Aquila, il capoluogo, fondata nel XIII secolo dai cittadini dei tanti villaggi sorti nella fascia pedemontana del Gran Sasso. Per proteggersi dai saccheggi, edificarono una città fortificata che presto fiorì nei commerci.

Un centro storico sviluppato intorno ad un asse viario di viuzze e stradine, vide sul suo suolo edifici storici di spicco come la Basilica di S. Bernardino da Siena, la Basilica di Santa Maria di Collemaggio, il Forte Spagnolo e la celebre Fontana delle 99 cannelle, la quale rappresentava i 99 castelli fondatori.

 

Camminare tra i borghi aquilani

 

Collegati fin dai tempi antichi da piccoli sentieri e tratturi, i borghi della provincia aquilana rappresentano la testimonianza di secoli e secoli di storia abruzzese, pastorale, contadina e montanara.

Costruiti nella maggior parte dei casi in epoca medievale, divennero in buona parte dei villaggi fortificati, protetti da castelli e mura di cinta.

A distanza di secoli, ancora oggi conservano intatti i connotati di quell’architettura: case-mura strette e alte, con le finestrelle a feritoia che servivano a difendere l’abitato; in cima, i ruderi dei castelli o delle antiche torri, le rocche e le fortezze, che rappresentavano il fulcro delle autorità locali.

Per chi proviene dalla Capitale, un viaggio tra i borghi d’Abruzzo non può che iniziare da Tagliacozzo, un villaggio incastonato tra due fenditure rocciose a una manciata di chilometri dal confine con il Lazio.

Fino al 1800 era questo il centro della regione marsicana, dominato lungamente dagli Orsini e dai Colonna, stretto intorno a una cinta del 1400 che contava 5 porte d’ingresso.

Nel suo centro storico, l’elegante piazza Obelisco è attorniata da palazzi signorili: la sua fontana con l’obelisco – che dà il nome alla piazza – sostituì un antico sedile di pietra che era dedicato ai debitori insolventi, condannati alla pubblica gogna.

L’elegante palazzo Ducale del XIV secolo è la vera perla di Tagliacozzo, ma sono le strette vie che conducono in cima all’abitato a regalare gli scorci più suggestivi tra chiesette, archi romani e piccole case in pietra arroccate sulla roccia. Poi, tirando in su il naso, una verde pineta che risale fin sulle cime dei monti.

Oltrepassando la Piana del Fucino ed entrando nel Parco Nazionale d’Abruzzo c’è poi Scanno, uno dei 23 paesi abruzzesi inseriti nella lista dei Borghi più belli d’Italia. Sorge su uno sperone nella Valle del Sagittario, in una vallata profonda dove altri borghi paiono pitturati nella natura, come Anversa degli Abruzzi, Villalago e Castrovalva.

Scanno dal 600 all’800 divenne celebre grazie ai costumi indossati dalle donne del paese, che ancora oggi li conservano con orgoglio. Luogo di antica tradizione pastorale, Scanno è sede di botteghe d’eccellenza: l’arte dei suoi mastri orafi corre indietro nel tempo fino al XIX secolo, mentre altrettanto pregevoli sono i lavorati del merletto a tombolo, soprattutto grazie alle mani esperte delle donne del paese.

Tra i piccoli vicoletti si trovano archi e portali, gli antichi palazzi che nel XVII erano il lustro delle famiglie più abbienti, piccole chiese e un’antica porta d’ingresso del XV secolo.

Proseguendo lungo la valle del Sagittario si dischiude uno dei paesaggi più belli del Parco, dominato dal lago di Barrea e dai borghi di Villetta Barrea e Civitella Alfedena.

Una manciata di chilometri più a ovest, Pescasseroli, la capitale del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise. Nel cuore dei Monti Marsicani, il borgo è costruito su una conca a 1.167 metri d’altezza nell’alta valle del Sangro.

L’abitato è circondato da due faggete vetuste che sono valse al comune l’inserimento tra i patrimoni mondiali dell’umanità UNESCO: Coppo del Principe e Coppo del Morto, con i loro esemplari che da oltre 500 anni custodiscono il bosco e i suoi abitanti, tra cui l’orso bruno marsicano. Di proprietà del Parco, il paese ospita il museo naturalistico ed etnografico, oltre al Parco Faunistico con il suo centro visite.

Proseguendo verso l’Adriatico e giungendo ai bordi della Conca Peligna si incontra Pacentro, un altro dei Borghi più belli d’Italia, costruito nel X-XI secolo in difesa della Valle Peligna, minacciata da Saraceni e Normanni.

Dalle case del centro storico, si dischiude nella sua maestosità il fondovalle che ospita Sulmona, mentre intorno sono le vette della Majella a fare da cornice. Sulla cima del suo colle, il castello dei Caldora del X secolo domina l’abitato e la chiesa Madre con la sua imponente facciata. .

Tra le stradine del borgo, l’antico lavatoio pubblico che chiamava a sé le donne del paese, le quali trasportavano i panni nelle “uaccile”, i caratteristici catini di rame.

Il borgo compare stretto intorno a sé, con le sue torri e torrette, suggestivo se visto al crepuscolo quando le luci calde lo fanno rassomigliare a un piccolo presepe. Prima di inoltrarsi in lunghe passeggiate tra i boschi che circondano il borgo, è d’obbligo una sosta alla grotta di Colle Nusca, dove sono conservate tutt’ora pitture rupestri che rappresentano una scena di caccia risalente a migliaia di anni fa.

Sarebbe infinito l’elenco di borghi da visitare in Abruzzo, peculiari e sempre diversi l’uno dall’altro. Ma non si può perdere il fascino dei paesaggi che offre la Piana delle Cinque Miglia, un meraviglioso altopiano nel cuore del Parco Nazionale della Majella.

Qui sorge Pescocostanzo, borgo contornato da cime e pascoli verdi, che nacque nel periodo medievale e venne distrutto da un terremoto a metà del 1400.

L’assetto urbanistico del paese cambiò grazie ad un imponente flusso migratorio di maestranze lombarde, che portò anche alla nascita di una tradizione artigianale e artistica di modellatori della pietra, del marmo, del ferro battuto e del legno. Altra eccellenza pescolana è la tessitura di arazzi, tappeti e la lavorazione del merletto a tombolo.

Pescocostanzo è da sempre città d’arte e cultura: le vie del centro racchiudono una lunga serie di chiese e palazzi rinascimentali e in stile barocco. Dal palazzo del Municipio del XVIII secolo che rappresenta i tipici edifici locali, con la sua torre dell’orologio, alla basilica di Santa Maria del Colle. Intorno al borgo lo splendido panorama del Parco con il Bosco di Sant’Antonio, protetto dal 1985, con le sue fitte faggete.

Risalendo verso L’Aquila, nel Parco naturale del Sirente-Velino, un altro piccolo borgo costruito in epoca medievale dà bella mostra di sé in cima a un colle che domina la Valle dell’Aterno.

È Fontecchio, un agglomerato che sorse anticamente su un insediamento di epoca romana, e che conserva elementi architettonici di pregio come la torre del XIV secolo, con la sua porta fortificata e il suo orologio, tra i più antichi d’Italia.

In Piazza del Popolo, la vecchia fontana del trecento, un tempo utilizzata dalle botteghe che sorgevano a ridosso delle mura. Intorno al borgo, il profondo alveo dell’Aterno dipinge un ampio vallone verde, dominato in lontananza dalle rocce del Sirente.

Rocca Calascio

Seguendo il fiume verso L’Aquila si incontrano – nella stessa valle – le Grotte di Stiffe, una suggestiva località dove una risorgenza, dopo aver percorso un lungo tratto sotto terra, si getta dalle pareti di una grotta dando vita ad un piccolo bacino d’acqua. L’ambiente sotterraneo è regolarmente aperto al pubblico; per gruppi superiori a 20 visitatori è consigliabile prenotare la visita.

Riavvicinandosi al capoluogo, le terre dell’antica Baronia di Carapelle, un dominio feudale che racchiude tre borghi uno più bello dell’altro: Santo Stefano di Sessanio, Castelvecchio Calvisio e Rocca Calascio.

Santo Stefano di Sessanio, con le sue casette in pietra bianca, è inserito in un paesaggio maestoso. Tra le sue viuzze, al cospetto della torre, si nascondono ancora le atmosfere che ne fecero un grande borgo sul finire del ‘500, quando il paese venne ceduto ai Medici di Toscana, i quali governarono fino al 1743.

Castelvecchio Calvisio è invece curioso nel suo impianto urbanistico a forma ellittica, con le strette stradine e le sue case che si ergono a più livelli. Case-mura proteggevano l’abitato e il Palazzo del Capitano, alternate a piccole torri che facevano di Castelvecchio un vero e proprio borgo fortificato.

Rocca Calascio: un nome leggendario, un borgo abbandonato anni e anni fa, che ancora oggi rappresenta uno degli angoli che rimangono più impressi quando si visitano le lande del Parco Nazionale del Gran Sasso.

Dall’antico centro abitato che sorge a 1.480 metri d’altezza, il ciottolato diventa presto sentiero e giunge ai piedi della rocca, tra le più elevate d’Italia, che scruta la valle del Tirino e l’altopiano di Navelli fin dal periodo medievale. Un torrione circondato da una cinta quadrangolare con torri circolari, una scenografia talmente suggestiva da aver ispirato diversi registi che qui ambientarono le loro pellicole.

Tra le più celebri, Ladyhawke del 1985 e Il nome della Rosa del 1986. Dal castello si gode di una vista mozzafiato sui gruppi montuosi più belli dell’Appennino abruzzese, dal Corno Grande al Sirente-Velino, dalla Majella ai Monti della Marsica, con in primo piano il castello e, a fianco, la chiesa a pianta ottagonale di Santa Maria della Pietà.

 

Un trekking su rotaia

 

Nel silenzio della Piana delle Cinque Miglia, due binari inerbiti riposano sotto il sole. Ad un tratto, la quiete viene interrotta da un borbottio via via crescente.

Il treno incede arrancando sull’altopiano, attraversa un vecchio passaggio a livello e inizia a rallentare: Roccaraso è appena dietro la curva. I volti curiosi dei passeggeri, affacciati al finestrino, narrano da soli la bellezza di questo luogo.

Sono le suggestioni della ferrovia Sulmona – Carpinone, un antico tracciato che incide l’Appennino dal capoluogo della Conca Peligna fino al Molise.

Era la linea che un tempo vedeva correre i treni rapidi da Pescara a Napoli, in un collegamento tra i due mari d’Italia dalla vocazione prettamente montana. Oggi la linea è chiusa al traffico regolare, ma sopravvive grazie ad alcuni treni turistici effettuati con materiale rotabile storico, organizzati durante alcuni weekend e festività.

La “Transiberiana d’Italia” – come viene soprannominata – parte da Sulmona e da lì inizia la sua corsa verso le valli della Majella. Supera il borgo di Introdacqua, poi Pettorano sul Gizio, dopodiché si tuffa lungo un tracciato dove non c’è strada se non quella ferrata.

Con viste panoramiche da mozzare il fiato raggiunge l’Altopiano delle Cinque Miglia, passando per Rivisondoli-Pescocostanzo, seconda stazione FS più elevata d’Italia dopo quella del Brennero, e Roccaraso. Da qui comincia la lunga discesa verso Castel di Sangro e, successivamente, le valli molisane.

La quintessenza del viaggio lento e della mobilità dolce, un mezzo di trasporto che si sa mescolare con le peculiarità del territorio rispettandole e proponendo uno sguardo alternativo sui suoi borghi e sulla sua natura.

 

Capsule del tempo

 

Nonostante la difficile orografia, l’Aquilano è terra abitata da millenni. Da Capestrano giunge uno dei simboli più antichi della regione, il “Guerriero di Capestrano”, una scultura calcarea originaria del VI secolo a.C. e rinvenuta nella necropoli dell’antica città di Aufinum.

Testimonianze paleolitiche si rintracciano nella Grotta a Male di Assergi, mentre sulla Piana del Fucino vennero ritrovate tracce archeologiche dell’Età del bronzo.

Le popolazioni italiche si alternarono: Piceni, Equi, Sanniti, Peligni, Marsi, poi giunsero i romani che si insediarono nella regione. Nel cuore della Marsica, scrutato da lontano dal Monte Velino, il sito di Alba Fucens conserva ancora oggi i resti di un’antica città romana, fondata sulle terre degli Equi e dei Marsi. Monumento nazionale dal lontano 1902, Alba Fucens venne fondata intorno al 300 a.C. a quasi mille metri d’altitudine.

Un tempo circondata da 3 chilometri di mura, conobbe tempi di ricchezza e prosperità, visibili ancora oggi nel suo maestoso anfiteatro splendidamente conservato. Costruita con la struttura urbanistica tipica dell’epoca romana, si sviluppa lungo il cardo e il decumano, intorno a cui sono visibili un’antica domus, il foro, la basilica, le terme e l’acquedotto.

A pochi chilometri da Alba Fucens, nella Piana del Fucino, un’altra opera d’archeologia ingegneristica si conserva magnificamente: sono i Cunicoli di Claudio, fatti costruire dall’Imperatore romano intorno al 50 d.C.

Al tempo, il bacino del Fucino conteneva infatti un grande lago: per regolare i livelli dell’acqua e bonificare alcuni terreni rendendoli coltivabili fu costruito un sistema di sei cunicoli e 32 pozzi.

Uno dei canali, lungo circa 6 chilometri, rimase per secoli e secoli il cunicolo più lungo mai costruito fino all’inaugurazione del tunnel ferroviario del Frejus in Piemonte. Oltre 25.000 uomini vennero coinvolti nella costruzione di questa opera d’ingegneria, per un processo che vide svuotare le acque del lago definitivamente solo 18 secoli dopo.

 

I Cunicoli di Claudio

Oggi i Cunicoli di Claudio, il sistema di canali costruiti in epoca romana per gestire il flusso delle acque del Fucino, sono gestiti dal Consorzio di Bonifica Ovest del bacino Liri, che ne cura la manutenzione ordinaria.

Per visitarli è dunque necessario prendere contatti con il personale del Consorzio, il quale può accompagnare piccoli gruppi previo accordo.

È invece libero alla visita l’emissario meridionale dei Cunicoli: raggiungibile dal comune di Capistrello, è questo il punto in cui l’acqua proveniente dai tunnel si getta nel fiume Liri che inizia qui il suo corso nell’omonima valle.

La Camera di Commercio dell’Aquila, in funzione del suo ruolo di sostegno allo sviluppo economico generale e di sostegno al sistema delle imprese, ha destinato un contributo all’attività per gli interventi di sistemazione del Parco Archeologico.

 

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