Mongolia: un mondo oltre il nostro mondo

22 maggio 2020 - 14:00

Giorno 3 – Da Moron a Ulan Ula Somon

Mentre facciamo colazione e cerchiamo di recuperare un po’ di forze, la guida prepara uno stufato di carne e verdure che sarà il nostro pranzo. Verso le 10 ecco arrivare l’autista, Byanbaa, con il nostro mezzo. La mia ignoranza in materia di motori è dilagante, per cui a prima vista guardandolo penso 1) “che meraviglia!” 2) “dove pensiamo di andare con questo trabiccolo??”.

In realtà è un UAZ452, un fuoristrada utilizzato dall’esercito sovietico perché robusto, versatile e a quanto pare mediamente economico. Insomma, il trabiccolo in questione ci ha poi portati ovunque: con quei ruotini che mi preoccupavano tanto viaggia su ghiaccio, neve, terreni sconnessi in mezzo a boschi di larici.. praticamente è un carro armato.

Appena usciti dalla città di Moron ecco la Mongolia che ho sognato da casa studiando l’itinerario: il paesaggio si apre subito in lande sconfinate, dove incontriamo le prime mandrie di montoni e cavalli.

Questi animali potrebbero sembrare abbandonati al loro destino ma c’è sempre un allevatore, da qualche parte, che li controlla e che improvvisamente (ed è capitato spesso) spunta all’orizzonte avvolto nel suo deel (l’abito tradizionale imbottito e lungo sino ai piedi) in sella ad una moto oppure a cavallo.

Dopo aver pranzato sul pulmino, ripartiamo verso il centro abitato dove trascorreremo la notte di capodanno. Percorriamo altre tre ore di strada, facendo soltanto una breve sosta in una gher per due chiacchiere e un thè caldo, e poi proprio quando scolliniamo vediamo scendere il sole dell’ultimo tramonto del 2019.

Si gela e per scendere dal fuoristrada ci vuole una discreta dose di coraggio, ma non posso resistere: il cielo è una tavola che a poco a poco si illumina di stelle ed arriviamo all’oliin pass, dove incontriamo 13 ovoo.

Questi cumuli di sassi a forma di cono sono luoghi di culto sciamanico e si trovano un po’ ovunque sparsi per la Mongolia. La guida ci spiega che chiunque passi di qui fa sosta per lasciare la propria offerta: vodka, cibo, denaro oppure le khadag, tradizionali sciarpe cerimoniali, che si donano anche agli sciamani, solitamente azzurre. Il blu/azzurro è infatti il colore della Mongolia: è il simbolo del suo cielo sacro e del Dio Tengri.

L’usanza vuole che si cammini per tre volte in senso orario intorno all’ovoo per esprimere un desiderio. È un modo decisamente originale e poetico per chiudere l’anno.

La sera di capodanno alle 21 – subito dopo una cena decisamente basica e molto lontana dal concetto di “cenone” – crollo in un sonno profondissimo, stremata da tre giorni senza vedere un letto. Mi sveglio soltanto per il brindisi e per mangiare un pezzo di torta che, complici le temperature bassissime, viaggia con noi da due giorni sul fuoristrada, conservandosi perfettamente.

Prendete nota: la Mongolia è quel paese in cui il frigorifero durante l’inverno serve per tenere il cibo AL CALDO. Nonostante il letto non fosse dei più comodi (in pratica, una tavola di compensato) ho finalmente riposato e sono riuscita con coraggio a spogliarmi per cambiare l’intimo termico.

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