Mongolia: un mondo oltre il nostro mondo

22 maggio 2020 - 14:00

 

Giorno 7 – Lago Khogsvol

Ho dormito su qualcosa che assomiglia ad un materasso, e le mie ossa hanno ringraziato. La gher, in confronto alle tende coniche degli uomini renna, è un appartamento di lusso: ho spazio per muovermi e aprire la valigia, e non ci sono spifferi.

Così riesco e cambiarmi per la seconda volta in una settimana e a “lavarmi” con le mie amate salviette (una volta scongelate). Ho fatto bene a mettere la sveglia presto e infatti vivo ore magiche ed indimenticabili.

Il giorno nasce sospeso nel silenzio immobile e glaciale. Prima è una piccola fessura all’orizzonte di luce gialla e arancione che timida buca il cielo scuro della notte, poi esplode in un arancio intenso e rosa e viola che raddoppia la sua potenza riflettendosi su uno specchio di ghiaccio.

Rientro in tenda giusto il tempo per riprendermi dal gelo – lo spettacolo di colori è troppo bello – e faccio colazione sull’uscio della gher. Sono in ammirazione, rapita dalla serenità e dalla pace di questo posto. L’unico rumore che si sente è quello del ghiaccio che si rompe, perché al sorgere del sole la temperatura sale e si aprono le crepe.

Per i mongoli che abitano queste sponde tutto questo è quotidianità, infatti non temono il lago, su cui camminano e guidano con fuoristrada e moto (in moto!) senza alcun timore.

Quando sono le 11 e splende il sole i nostri cavalli sono pronti per accompagnarci a vedere il lago dall’alto di una collina. Sono selvaggi e sono stati recuperati nel bosco per noi da un signore che abita qui vicino: ci spiega che ne ha trovati solo 4, per cui la guida – che è anche l’unica a parlare inglese – non potrà accompagnarci. Ci allontaniamo così, in sella a cavalli non addomesticati, senza alcun accorgimento o misura di sicurezza e al trotto.

Non posso negare che siano state due ore impegnative: sali e scendi su sentieri sconnessi, a meno 15, senza riuscire a comunicare con loro. Chiedo di rallentare, in inglese e in italiano, poi opto per alzare la voce e mostrarmi arrabbiata, per fargli capire che vorrei andare più piano.

Alla fine mi arrendo, e faccio l’unica cosa che posso fare per riuscire a rilassarmi: canto. A voce alta. Senza vergogna, anche se con il dubbio di passare per matta.

Ma so che in Mongolia si trascorrono serate intere nelle tende ad intonare tutti insieme canti popolari e da quando sono arrivata, sia nella capitale che nei centri abitati più piccoli, ho notato un quantitativo incredibile di locali karaoke.

I mongoli cantano spessissimo anche da soli e ho già sentito la guida intonare qualche motivo più di una volta.. perciò non ho remore e regalo al mio cavaliere la mia personale selezione di brani di Lucio Battisti. Bastano poche strofe al mio accompagnatore per capire che ho intenzione di cantare sul serio e come immaginavo non gli dispiace affatto.

Spalanca un sorriso con gli occhi che brillano e mi fa cenno di andare avanti. Ad ogni pausa, mentre scelgo il brano da cantare, mi incoraggia a continuare. Non mi sono mai sentita così libera.

Trascorro l’intero pomeriggio a giocare e a lasciarmi incantare da una bambina spuntata dal niente, che non può avere più di sei o sette anni.
È L’emblema della spontaneità. Del cuore aperto. Non mi conosce e nessuno ci ha presentati, ma non ha paura. Non ha visto in me una strana signora con la pelle bianca e gli occhi chiari e rotondi, che parla una lingua incomprensibile.

Ha visto due mani porgerle un quaderno e delle matite colorate (che avevo portato da casa), e una persona disponibile a dedicarle tempo. Le è bastato questo per aprirmi il suo cuore. Imperterrita ha cercato di insegnarmi i nomi di cose e animali disegnati su quel quaderno, ripetendomeli anche più volte quando non capivo, e pretendendo da me di ripetere quello che pronunciavo male.

Mi ha pettinata, truccata, presa per mano e portata a vedere le oche, trascinata sul lago. Per lei ho superato la paura del ghiaccio che si rompe e l’ho accompagnata. Oggi sento una grande nostalgia ripensando a quei momenti e per un mondo in cui puoi capirti anche se usi un altro alfabeto, perché è sufficiente quello del cuore.

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